Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6597 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6597 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la ordinanza in data 06/09/2023 del Tribunale di Napoli, ottava sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodedes del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif.,
con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta memoria difensiva a firma AVV_NOTAIO in data 04/01/2024.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 06/09/2023, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto ex art. 322-bis cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME, indagato per il reato di usura, avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 08/06/2023 che aveva respinto l’istanza di dissequestro e restituzione della somma di euro 320.000.
Avverso la predetta ordinanza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. Si è omesso di approfondire la tematica relativa alle intercettazioni e non si è dato seguito ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità sul tema dell rilevabilità della illegittimità e/o della inutilizzabilità degli esiti delle captative. In particolare, i decreti autorizzativi delle disposte intercettazion telefoniche, sebbene originati da attività di indagine connesse ad ipotesi associative finalizzate al riciclaggio di denaro e di beni preziosi, viravano verso le diverse e non previste ipotesi di usura. E’ evidente l’assenza di connessione, ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., tra il reato per cui erano ab origine state disposte le attività di captazione rispetto a quello di usura contestato all’indagato.
Secondo motivo: violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in riferimento all’ipotesi di reato contestata. La modestia degli elementi posti a sostegno del vincolo cautelare è tale da non far ritenere integrato il fumus commissi delicti necessario per l’applicazione della misura reale. A ciò si aggiunga che, nonostante il notevole lasso di tempo trascorso dall’applicazione del vincolo ablativo, ad oggi, non sono stati introdotti, nel patrimonio conoscitivo processuale, ulteriori elementi sintomatici sia dell’attribuibilità della somma di denaro sottoposta a sequestro in capo a NOME COGNOME sia del coinvolgimento generale del ricorrente nell’ipotesi del reato di usura per cui si procede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Del tutto aspecifico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo.
Il ricorrente ha reiterato la deduzione di inutilizzabilità delle intercettazion eseguite nel corso del procedimento in quanto autorizzate in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio del quale sarebbero stati autrici le persone offese dalla condotta usuraria addebitata al COGNOME.
In sede di provvedimento impugnato, il motivo dedotto era stato ritenuto inammissibile in quanto non precedentemente sottoposto al vaglio del giudice procedente.
Il rilievo del giudice del gravame appare del tutto condivisibile.
Invero, in ragione della natura pienamente devolutiva del giudizio di appello cautelare, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dalla parte impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, cosicché al giudice ad quem non è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni neppure prese in esame dal giudice a quo, salva l’ipotesi – qui non ricorrente – di questioni con le quali si deducano o vengano rilevate d’ufficio nullità assolute accertabili in qualsiasi stato e grado (cfr., Sez. 6, n. 19008 del 21/04/2016, S., Rv. 267209; Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015, COGNOME, Rv. 264818; Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786; Sez. 2, n. 3418 del 02/07/1999, Moledda, Rv. 214261); si è anche aggiunto che, se è ben possibile la integrazione della motivazione del provvedimento impugnato da parte del giudice dell’appello cautelare, ciò deve pur sempre avvenire nell’ambito del devolutum (cfr., Sez. 1, n. 27677 del 10/06/2009, COGNOME, Rv. 244718; Sez. 6, n. 1108 del 03/03/2000, COGNOME, Rv. 215849).
3. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
La censura si pone in termini di non condivisione del rilievo attribuito alle risultanze disponibili: peraltro, come condivisibilmente rilevato dalla Procura generale, l’assunto relativo alle giustificazioni “adeguate” in ordine al denaro ed alla documentazione extracontabile viene introdotto solo discorsivamente.
Di contro, il Tribunale ha dato atto di come le indagini avessero consentito di appurare “… che COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME titolari rispettivamente delle ditte “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, avevano ricevuto prestiti a tassi usurari da u molteplicità di soggetti, fra cui COGNOME NOMENOME zio di COGNOME NOMENOME NOME NOME‘NOMENOME NOME corso di una conversazione telefonica, aveva definito il nipote come suo “fidato collaboratore”; che la perquisizione eseguita nell’abitazione del COGNOME aveva condotto al rinvenimento non soltanto di ben 32.000 euro in contanti, ma anche di cambiali … e di appunti nei quali erano indicati somme di denaro e vari
nominativi, fra cui “NOME” (la denominazione della società del RAGIONE_SOCIALE) e “NOME” …”.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 11/01/2024.