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Sequestro preventivo e reato associativo: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di sequestro preventivo per l’intero profitto di un reato associativo. La sentenza ribadisce che, quando non è possibile determinare la quota di profitto individuale nella fase preliminare, il sequestro preventivo può legittimamente colpire l’intero ammontare nei confronti di ciascun partecipe, in base al principio di solidarietà.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo e Reato Associativo: Quando si Estende a Tutto il Profitto?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11908 del 2025, è tornata a pronunciarsi su una questione cruciale in materia di misure cautelari reali: l’estensione del sequestro preventivo nei confronti dei singoli partecipanti a un reato associativo. La decisione chiarisce in quali circostanze è legittimo applicare la misura sull’intero profitto conseguito dall’associazione, anche nei confronti di chi non ha materialmente partecipato a tutti i reati-scopo. Un principio fondamentale per comprendere la portata di questo strumento nelle indagini complesse.

I Fatti del Caso: Sequestro per l’Intero Profitto Associativo

Il caso trae origine da un decreto di sequestro preventivo di denaro e beni emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Macerata nei confronti di un soggetto, indagato per partecipazione a un’associazione a delinquere. Il Tribunale del Riesame aveva successivamente confermato il provvedimento, rigettando l’istanza presentata dalla difesa dell’indagato.

Avverso tale decisione, il difensore ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due vizi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su due punti principali.
In primo luogo, si contestava la violazione di legge in quanto il sequestro preventivo era stato disposto per un importo corrispondente all’intera somma che si presumeva conseguita dall’associazione criminale. Secondo il ricorrente, tale approccio contrastava con la giurisprudenza, la quale non permette di attribuire a ogni singolo partecipe l’intero profitto derivante da tutti i reati-scopo, specialmente quelli a cui egli non avrebbe direttamente partecipato (nel caso specifico, i reati tributari).

In secondo luogo, si eccepiva la carenza e l’illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata. La difesa sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato le circostanze che smentivano le accuse, come l’assenza di comunicazioni tra il ricorrente e gli altri indagati e l’impossibilità di un’attività di ‘custodia’ di denaro, dato che i trasferimenti erano avvenuti esclusivamente tramite bonifici bancari.

L’Analisi della Corte sul sequestro preventivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti su entrambi i motivi di doglianza.

Per quanto riguarda il primo punto, relativo all’estensione del sequestro preventivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 26654/2008). In caso di pluralità di indagati, il sequestro funzionale alla confisca non dovrebbe eccedere la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente. Tuttavia, la Corte precisa che questa regola trova un’eccezione fondamentale.

le motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che, qualora la natura del reato e la complessità dei rapporti economici non consentano, allo stato degli atti, di individuare con precisione la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente, il sequestro preventivo deve essere disposto per l’intero importo nei confronti di ognuno. Questo si fonda sul ‘canone della solidarietà interna tra i concorrenti’, che li rende responsabili in solido per il profitto illecito. Di conseguenza, nella fase preliminare, era legittimo disporre il sequestro per l’intera somma nei confronti di ciascun partecipante.

Sul secondo motivo, relativo ai vizi di motivazione, la Corte ha ricordato che il sindacato di legittimità sui provvedimenti cautelari reali è limitato alla sola ‘violazione di legge’. In tale nozione rientrano i vizi motivazionali radicali, come la mancanza totale o la mera apparenza della motivazione, ma non le censure sulla tenuta logica del provvedimento. Le argomentazioni del ricorrente sono state ritenute volte a criticare l’iter logico del giudice di merito, un’operazione non consentita in sede di legittimità. Pertanto, anche questo motivo è stato giudicato inammissibile.

le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. La decisione conferma che, nei reati associativi, il principio di solidarietà consente di applicare misure cautelari reali incisive come il sequestro preventivo sull’intero profitto, superando le difficoltà investigative nel definire le singole responsabilità economiche nella fase iniziale del procedimento. La pronuncia, inoltre, delimita chiaramente l’ambito del ricorso in Cassazione avverso tali misure, escludendo una rivalutazione nel merito degli elementi fattuali e concentrando il giudizio sulla corretta applicazione delle norme di diritto.

In un reato associativo, il sequestro preventivo può colpire l’intero profitto del gruppo anche nei confronti di un singolo partecipe?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, se nella fase delle indagini preliminari non è possibile individuare la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente, il sequestro preventivo può essere legittimamente disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, in applicazione del principio di solidarietà interna tra concorrenti.

Quali sono i limiti del ricorso in Cassazione contro un’ordinanza di sequestro preventivo?
Il ricorso per Cassazione contro provvedimenti cautelari reali, come il sequestro preventivo, è consentito solo per motivi attinenti alla violazione di legge. Ciò include vizi radicali della motivazione (mancanza totale, apparenza o illogicità manifesta), ma non consente di censurare la tenuta logica o di chiedere una nuova valutazione dei fatti già esaminati dal giudice del riesame.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte privata che ha proposto il ricorso dichiarato inammissibile viene condannata al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisano profili di colpa nella presentazione del ricorso, anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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