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Sequestro preventivo e prove nuove: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei titolari di quote di una società sottoposta a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento per reati associativi. I ricorrenti sostenevano l’insussistenza dei presupposti per la misura cautelare, basandosi su prove emerse nel dibattimento di primo grado. La Corte ha stabilito che la tendenziale stabilità del sequestro preventivo impedisce la sua revoca sulla base di un’istruttoria dibattimentale non ancora conclusa, salvo casi di manifesta evidenza dell’insussistenza del reato, non ravvisata nel caso di specie. Il sequestro preventivo resta quindi efficace fino alla conclusione del giudizio di primo grado.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo: le prove emerse in dibattimento non bastano a revocarlo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31787 del 2024, offre chiarimenti cruciali sulla stabilità del sequestro preventivo e sul peso delle prove che emergono durante il processo. La Corte ha stabilito che le risultanze di un’istruttoria dibattimentale ancora in corso non possono, di norma, giustificare la revoca di una misura cautelare reale, a meno che non emerga una prova schiacciante dell’insussistenza del reato. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un’istanza di dissequestro presentata dai tre titolari formali delle quote di una società, gestrice di un esercizio commerciale. L’intero compendio societario era stato sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale a carico del marito di una delle socie, indagato per reati associativi di stampo mafioso.

Secondo l’accusa, l’indagato era il ‘gerente di fatto’ e l’effettivo proprietario della società, la quale sarebbe stata utilizzata per finalità illecite legate all’associazione criminale. I ricorrenti, invece, contestavano questa ricostruzione, chiedendo la revoca del sequestro. Essi sostenevano che le prove raccolte durante il dibattimento di primo grado, tra cui le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, dimostravano una realtà diversa: l’indagato non era un gestore per conto della cosca, ma una vittima di richieste estorsive.

Il Tribunale del Riesame aveva respinto la richiesta, confermando la misura cautelare. Contro questa decisione, i tre soci hanno proposto un unico ricorso cumulativo in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e il sequestro preventivo

I ricorrenti hanno basato la loro impugnazione su due motivi principali:

1. Violazione di legge: Sostenevano la mancanza dei presupposti per il sequestro preventivo sia ai sensi dell’art. 416-bis, comma 7, c.p. (mancanza della prova del ruolo di ‘gerente di fatto’) sia dell’art. 240-bis c.p. (mancanza della prova che l’attività fosse usata per ‘ripulire’ denaro sporco). Hanno evidenziato come le nuove prove smentissero l’ipotesi accusatoria originaria.
2. Vizio di motivazione: Lamentavano che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato le nuove prove e le specifiche deduzioni difensive, limitandosi a fare riferimento all’ordinanza genetica del sequestro, emessa anni prima e senza tener conto degli sviluppi dibattimentali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. In via preliminare, ha rilevato un vizio procedurale: essendo state emesse tre distinte ordinanze dal Tribunale del Riesame (una per ciascun ricorrente), non era ammissibile un unico ricorso cumulativo. La Corte ha quindi esaminato solo la posizione di una ricorrente, dichiarando inammissibili de plano i ricorsi degli altri due.

Nel merito, la Cassazione ha ritenuto la deduzione dei ricorrenti inammissibile.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nel principio della ‘tendenziale permanenza’ del sequestro preventivo fino alla conclusione del giudizio di primo grado. La Corte ha spiegato che la disciplina processuale, in particolare l’art. 323 c.p.p., delinea chiaramente i casi in cui la misura perde efficacia, come ad esempio a seguito di una sentenza di assoluzione.

I giudici hanno chiarito che consentire una rivalutazione completa del quadro probatorio sulla base di un’istruttoria dibattimentale non ancora conclusa significherebbe eludere questa disciplina. Le prove che emergono in dibattimento possono legittimare la revoca del sequestro solo in casi eccezionali, ovvero quando dimostrino in modo palese e incontrovertibile (‘manifesta evidenza’) l’insussistenza del fatto di reato presupposto. Nel caso in esame, tale evidenza manifesta non è stata riscontrata.

La Corte ha sottolineato che l’ordinanza impugnata aveva motivato, in modo non illogico, sulla perdurante esistenza degli elementi a sostegno della misura cautelare reale. Di conseguenza, il tentativo di ottenere una revoca basata su una valutazione parziale delle prove processuali è stato respinto.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure cautelari reali: il sequestro preventivo, una volta superato il vaglio iniziale e quello del riesame, è destinato a rimanere efficace fino alla sentenza di primo grado. Le emergenze del dibattimento possono incrinarne la validità solo di fronte a prove di innocenza talmente evidenti da rendere ingiustificata la prosecuzione della misura. La decisione conferma quindi l’elevata soglia richiesta per ottenere il dissequestro di un bene durante la fase processuale, garantendo stabilità alla misura cautelare e rimandando la valutazione complessiva del materiale probatorio alla sede naturale della decisione finale.

Una prova emersa durante il dibattimento può giustificare la revoca di un sequestro preventivo?
Di norma no. Secondo la Corte, il sequestro preventivo è destinato a rimanere efficace fino alla sentenza di primo grado. La sua revoca può essere giustificata dalle prove dibattimentali solo in casi eccezionali, ossia quando da esse emerga una ‘manifesta evidenza’ dell’insussistenza del fatto di reato che sta alla base del sequestro.

Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due dei tre appellanti?
Per un motivo procedurale. I tre ricorrenti avevano presentato un unico atto di ricorso (ricorso cumulativo) contro tre distinte ordinanze emesse dal Tribunale del Riesame, una per ciascuno di loro. La Corte ha ritenuto tale modalità non conforme alla legge, in quanto ciascun ricorrente avrebbe dovuto impugnare specificamente l’ordinanza che lo riguardava. Inoltre, ciascuno aveva impugnato anche le ordinanze non emesse nei propri confronti.

Qual è la posizione del terzo interessato, ritenuto un intestatario fittizio, nel procedimento di sequestro?
Il terzo interessato, anche se indicato come intestatario fittizio di un bene, è pienamente legittimato a contestare non solo la fittizietà dell’intestazione, ma anche la sussistenza dei presupposti oggettivi della confisca, come il ‘fumus commissi delicti’ e il ‘periculum in mora’. Infatti, l’assenza di tali presupposti rafforzerebbe la tesi della natura reale, e non fittizia, della sua titolarità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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