Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37196 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37196 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/05/2025 del TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG, nella persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile e dell’AVV_NOTAIO, difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo, Sezione per il Riesame, ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 10/04/2025 dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il medesimo Tribunale. Il provvedimento cautelare reale, funzionale alla confisca ex art. 240-bis c.p. e 301, co. 5, d.P.R. n. 43/1973, anche per equivalente, aveva ad oggetto beni immobili nella disponibilità della ricorrente, indagata per il delitto di cui all’art. 291-quat D.P.R. n. 43/1973 e altri reati fine.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, COGNOME, deducendo, con plurimi e articolati motivi, la violazione di legge e il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. ” relazione agli art. 321 c.p.p.”.
2.1. Con un primo motivo, la ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p. e 125, co. 3, c.p.p., nonché il vizio di motivazione. Si sostiene che il Tribunale del Riesame ha erroneamente qualificato come “vizio formale” la carenza di motivazione sul periculum in mora che aveva condotto all’annullamento di un precedente e analogo provvedimento di sequestro. Secondo la difesa, tale omissione costituirebbe un vizio di natura sostanziale, attenendo a un requisito costitutivo della misura cautelare reale, la cui assenza impedisce il controllo giurisdizionale sulla compressione del diritto di proprietà. Di conseguenza, l’annullamento del primo decreto avrebbe dovuto precludere la riemissione di un nuovo provvedimento fondato sui medesimi elementi.
2.2. In stretta connessione con il primo motivo, si deduce la violazione del principio del ne bis in idem cautelare. L’annullamento del primo provvedimento di sequestro avrebbe dato luogo alla formazione di un “giudicato cautelare”, inibendo la reiterazione di un provvedimento avente ad oggetto lo stesso fatto e sorretto da questioni già dedotte o deducibili. Si richiama giurisprudenza di legittimità sull’efficacia preclusiva endoprocessuale del giudicato cautelare.
2.3. Con un terzo motivo, si censura la motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di sussistenza del periculunn in mora. Il Tribunale avrebbe illogicamente desunto il rischio di dispersione dei beni dalla natura degli stessi (beni immobili, non facilmente occultabili e trasferibili solo con atto pubblico) e da una errata interpretazione delle conversazioni intercettate. La trattativa per la vendita dell’immobile di INDIRIZZO, si argomenta, era finalizzata non a disperdere il patrimonio, ma a estinguere un mutuo gravante “sull’immobile di Trabia”, in un’epoca in cui l’indagata non poteva avere sentore dell’indagine in corso.
2.4. Con un quarto motivo, si lamenta la violazione del criterio della “ragionevolezza temporale” tra l’epoca di acquisto dei beni (anni 2017, 2020 e 2021) e l’epoca di commissione dei reati, siccome contestati (a partire da maggio 2022). Il Tribunale avrebbe disatteso il consolidato orientamento giurisprudenziale, anche delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale, secondo cui la confisca ex art. 240-bis c.p. presuppone una correlazione cronologica tra l’attività criminosa e l’incremento patrimoniale, dovendo l’accumulo di risorse illecite precedere o essere quantomeno contestuale all’acquisto del bene, essendo naturalisticamente inconcepibile che l’effetto (l’acquisto) possa preesistere alla causa (la condotta illecita).
2.5. Con un ultimo, articolato motivo, si contesta il vizio di motivazione in ordine al presupposto della sproporzione finanziaria. Il Tribunale avrebbe omesso
di considerare le specifiche deduzioni difensive relative alla reale composizione del nucleo familiare della ricorrente (convivente con la compagna e non con il nucleo d’origine), ai redditi autonomi da essa percepiti e non correttamente computati (da lavoro dipendente e da locazione), e alla giustificazione della provenienza dei beni, acquistati tramite mutuo bancario e altre risorse lecite. Si ribadisce che la sola sproporzione, peraltro qui contestata, non sarebbe sufficiente a legittimare la misura ablativa in assenza di una mancata giustificazione sulla provenienza dei beni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è articolato in motivi non consentiti o manifestamente infondati e, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la loro intima connessione, sono manifestamente infondati.
In relazione alla prospettata violazione della preclusione processuale intervenuta a seguito dell’annullamento del primo decreto di sequestro, il Tribunale ha correttamente rimarcato che l’annullamento del precedente provvedimento impositivo del vincolo sul bene era stato disposto per carenza di motivazione in ordine al periculum in mora, giungendo quindi alla condivisibile conclusione che non era intervenuta, sul punto, alcuna valutazione esplicita o anche solamente implicita che costituisse ostacolo alla rinnovazione della richiesta di sequestro.
Le valutazioni del Tribunale risultano aderenti alle posizioni della giurisprudenza di legittimità, che ha ripetutamente affermato che “il provvedimento cautelare reale annullato per motivi formali può essere reiterato a seguito di domanda del Pubblico ministero (Sez. 6, n. 43213 del 27/10/2010, COGNOME, Rv. 248804 – 01, secondo cui la preclusione processuale determinata dal cosiddetto “giudicato cautelare” opera solo nel caso in cui via sia stato un effettivo apprezzamento, in fatto o in diritto, del materiale probatorio e dell’imputazione provvisoria, non conseguendo tale effetto, invece, alle decisioni che definiscano l’incidente cautelare in relazione ad aspetti meramente procedurali; nello stesso senso, Sez. 4, n. 4273 del 28/11/2008, COGNOME, Rv. 242502 – 01; Sez. 2, n. 35482 del 12/07/2007, COGNOME, Rv. 238082 – 01)” (Sez. 3, n. 43365 dell’8/10/2024, Carta).
In tale indirizzo ‘meritano di essere segnalate, in quanto relativa a fattispecie assai simili a quella in esame, le sentenze che hanno enunciato il principio secondo cui l’annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al “periculum in mora” non osta all’emissione, nei confronti
Lk della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l’emissione della misura (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171 – 01; Sez. 3, n. 27635 del 21/5/2025, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 3, n. 26990 del 21/5/2025, COGNOME).
Nel caso di specie, il primo annullamento non ha comportato alcuna valutazione circa l’effettiva insussistenza del pericolo, ma si è limitato a censurarne la mancata esplicitazione argomentativa. Ne consegue la piena legittimità del nuovo provvedimento con cui il G.I.P. ha inteso colmare la pregressa lacuna motivazionale, senza che possa opporsi alcuna preclusione. La distinzione, proposta dalla difesa, tra vizio “formale” e “sostanziale” in relazione alla motivazione sul periculum non ha pregio in questo contesto, poiché ciò che rileva ai fini della preclusione è la presenza o meno di una delibazione sul merito del presupposto, delibazione che nel primo annullamento è pacificamente mancata.
Venendo alle ulteriori censure, va ricordato che nella nozione di “violazione di legge”, per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non la contraddittorietà o l’illogicità manifesta della stessa, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, COGNOME; seguite da Sez. 6, n. 7472, del 21/1/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, COGNOME; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME; Sez. 2, n. 5807, del 18/1/2017, Rv. 269119; più recentemente, Sez. 3, n. 32603 del 23/6/2025, COGNOME NOME).
Non può pertanto essere proposta come violazione della legge, sostanziale o processuale, la scarsa persuasività degli argomenti spesi dal Tribunale per fondare la decisione di rigetto dell’istanza di riesame.
In tale ambito si inseriscono le censure difensive non ancora esaminate.
Venendo al tema del periculum, la valutazione delle doglianze difensive non può che muovere dai principi enunciati dalla Sezioni Unite (n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01) in tema di sequestro preventivo finalizzato · alla confisca. La sentenza ha precisato . che “il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di
cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege”. Tale pericolo non può che riguardare il rischio di dispersione del bene prima del giudizio.
3.1 Orbene, il Tribunale del Riesame ha fornito una motivazione congrua e non apparente, ancorando il giudizio sulla sussistenza del pericolo a una pluralità di elementi convergenti: la “personalità negativa degli indagati”, il “carattere transnazionale del sodalizio criminoso”, le “difficoltà economiche dei nuclei familiari” e, in modo dirimente, il contenuto delle conversazioni intercettate del 29/11/2024 e 13/12/2024, dalle quali emergeva l’intento della ricorrente di alienare uno degli immobili sequestrati.
A fronte di tale apparato argomentativo, le censure difensive si risolvono in una mera contrapposizione interpretativa. Sostenere che la vendita fosse finalizzata a ridurre di € 50.000,00 il mutuo gravante sulla villa di Trabia, come si legge nel ricorso, oltre ad afferire a una parte soltanto del prezzo derivante dall’immobile di INDIRIZZO e a non precludere la configurazione del rischio di dispersione delle garanzie patrimoniali, risultando, per il combiNOME disposto degli artt. 104 bis disp. att. del cod. proc. pen. e 52 d.lgs. n. 159/2011, il diritto credito della banca mutuante non pregiudicato dalla confisca in presenza di una serie di presupposti, dei quali solo l’anteriorità del credito, allo stato, può riteners sussistente, costituisce una tesi alternativa, peraltro considerata e disattesa dal giudice del merito cautelare, il cui apprezzamento è precluso in questa sede. Non può, infatti, ritenersi apparente una motivazione che faccia discendere dall’intenzione dell’indagata di vendere l’immobile di INDIRIZZO il rischio che, in caso di confisca, resti più difficoltoso o impossibile il futuro recupero del bene o del suo equivalente da parte dello Stato.
Il quarto motivo, concernente la violazione del principio di “ragionevolezza temporale”, è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte, pur richiedendo una correlazione cronologica tra l’attività illecita e l’arricchimento patrimoniale, non impone una perfetta e meccanica sovrapposizione temporale, ma esige un giudizio di “ragionevolezza” da condursi in concreto. Il Tribunale ha ritenuto che l’acquisto dei beni negli anni 2020 e 2021 non fosse “eccessivamente antecedente” rispetto all’inizio dell’attività associativa contestata (maggio 2022), concludendo che i cespiti “non possono ritenersi ictu oculi estranei al reato”.
Tale valutazione costituisce un apprezzamento di fatto, sorretto da una motivazione, peraltro neppure illogica, che si sottrae, in questa sede, al sindacato di legittimità. Il lasso temporale individuato, nel contesto di un’associazione criminale complessa e strutturata, non appare prima facie tale da escludere ogni collegamento tra i proventi illeciti in via di accumulazione e gli investimenti immobiliari. La censura della ricorrente, che postula una necessaria anteriorità della condotta illecita rispetto a ogni singolo acquisto, propone un criterio eccessivamente rigido e formalistico, non in linea con la ratio della norma, che è quella di colpire patrimoni la cui formazione appaia ragionevolmente riconducibile, anche in via indiretta o preparatoria, all’attività delittuosa e con gli arresti di quest Corte, che sin dalla sentenza delle Sezioni unite Montella ha precisato che, essendo irrilevante il requisito della “pertinenzialità” del bene rispetto al reato per cui si proceduto, la confisca dei singoli beni “non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in època anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo r’eato” (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226490 – 01) “purché sia comunque rispettato il criterio di “ragionevolezza temporale” che impone di escludere dalla sua applicazione i beni che siano “íctu ocul’i” estranei al reato perché «acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione» (così le sentenze delle Sezioni Unite del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221; 17/12/2003, Montella, Rv. 226490; Sez. U, 27421 del 25/02/2021, Crostella Rv. 281561 – 01)” (Sez. 1, n. 11987 del 6/12/2024 (dep. 2025), Bat).
5. L’ultimo motivo è inammissibile, in quanto volto a ottenere una non consentita rivalutazione del compendio probatorio in ordine alla sproporzione patrimoniale.
La ricorrente contesta nel merito le risultanze degli accertamenti patrimoniali, opponendo una diversa ricostruzione dei propri redditi e della composizione del proprio nucleo familiare. Si tratta di doglianze prettamente fattuali, che esulano dai poteri cognitivi della Corte di cassazione.
Il Tribunale ha fondato la propria decisione sulle risultanze documentali degli accertamenti condotti dalla Polizia Giudiziaria, che avevano evidenziato una “sperequazione finanziaria scalare annua del nucleo familiare della COGNOME … sempre di segno ampiamente negativo (- euro 187.902,80)” per gli anni dal 2015 al 2022. Ha inoltre correttamente richiamato il principi ” secondo cui, a fronte della dimostrazione della sproporzione da parte dell’accusa, grava sull’interessato l’onere di fornire una giustificazione concreta e
attendibile della legittima provenienza dei beni.
La motivazione dell’ordinanza impugnata non è né mancante né apparente; essa dà, infatti, conto delle ragioni per cui ha ritenuto sussistente il presupposto
della sproporzione. Le argomentazioni difensive forniscono ricostruzioni alternative che non tengono in alcun conto le valutazioni del GIP – che ha sostenuto che lo stipendio apparentemente erogato dalla RAGIONE_SOCIALE era “fittizio”, che le rate del mutuo erano sproporzionate alle possibilità economiche dell’indagata e che la sproporzione scalare era insorta già nell’anno 2015, accentuandosi negli anni successivi- limitandosi a fornire una diversa lettura degli elementi acquisiti, il che non integra un vizio deducibile con il ricorso ex art. 325 cod. proc. pen.
4. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando. la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9/10/2025