Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26990 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26990 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a San Severo il 22/08/1988, avverso l’ordinanza del 07/11/2024 del Tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 novembre 2024, il Tribunale di Potenza ha parzialmente accolto la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenz di convalida del sequestro preventivo di urgenza finalizzato alla confisca dire delle somme di denaro nella disponibilità della ricorrente fino al valore di 85.578,80 (capo 12), di euro 371.564,31 (capo 13), di euro 900.898,50 (capo 14), nonché il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di b mobili, immobili e partecipazioni societarie nella disponibilità del ricorrente alla differenza tra le somme di denaro rinvenute nella disponibilità della ricorr e quelle suindicate rappresentanti il profitto diretto del delitto ex art. 2 d 74 del 2000, contestato nei menzionati capi di incolpazione, di utilizzazione fatture per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali della “RAGIONE_SOCIALE già “RAGIONE_SOCIALE“, di cui la ricorrente era legale rappresentant relative agli anni di imposta 201.9, 2020, 2021, con evasione di IVA e di IRES L’accoglimento parziale riguardava integralmente l’evasione relativa all’anno imposta 2019 e le somme imputate a titolo di evasione IRES relative agli anni d imposta 2020 e 2021 per erronea individuazione della base di calcolo dell predetta imposta, con conseguente riduzione della confisca fino all’ammontare di euro 177.704,77 in relazione al reato di cui al capo 13, di euro 430.864,50 relazione al reato di cui al capo 14.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 325 e 649 cod. proc. pe riferimento al divieto di bis in idem cautelare. Deduce la difesa che l’ordinanza Tribunale di Potenza con la quale era stato annullato il primo decreto di seques preventivo avrebbe ritenuto l’assenza di elementi probatori a sostegno d requisito del periculum in mora, fornendo valutazioni di merito sul punt sostenendo che, per affermare il periculum, erano state valorizzate le medesim risultanze investigative ritenute rilevanti per la sussistenza del fumus commi delicti, così valutando, quantomeno implicitamente, il merito probatorio relativo periculum ed in tal modo precludendo la seconda iniziativa cautelare, in quant assunta in violazione dell’art. 649 cod. proc. pen.
Aggiunge la difesa che i vizi motivazionali ravvisati dal Tribunale del riesam erano solo apparentemente formali, poiché consistenti in lacune probatorie i relazione al periculum in mora, tanto che il secondo decreto di sequest preventivo aveva fatto riferimento ad un novum probatorio per colmare i vuoti
investigativi individuati e censurati dalla ordinanza di annullamento, vale a dire l’annotazione di P.G. del 21/10/2024 che non riguardava la ricorrente e la società da quest’ultima amministrata.
2.2 Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 309, comma 9, 324, comma 7, 125, comma 3, cod. proc. pen., poiché la motivazione del secondo decreto del G.I.P. sarebbe apparente, con impossibilità di esercizio del potere integrativo del Tribunale del riesame.
Lamenta la difesa che il Tribunale aveva ritenuto valida la motivazione del secondo decreto, nonostante le argomentazioni, incentrate sulla “personalità degli indagati” e sui “comportamenti tenuti”, sarebbero del tutto generiche e prive di capacità dimostrativa del periculum in mora, emergendo assenza di indici sintomatici di condotte depauperative del patrimonio, con indebita sovrapposizione tra i requisiti di valutazione del fumus e del periculum, dal momento che le società e i rappresentanti legali sarebbero estranei a qualsivoglia sistema criminoso, essendo stati coinvolti negli accertamenti fiscali in virtù dei rapporti intrattenuti con le società fornitrici, asserite cartiere, e mai attinti contestazioni di natura penale o tributaria; ed anche il richiamo all’annotazione di RG. 76699 del 21/10/2024 sarebbe del tutto ingiustificato, poichè concernente posizioni soggettive estranee alla ricorrente ed alla società dalla ricorrente amministrata, così emergendo una motivazione completamente apparente del periculum in mora.
Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto annullare il provvedimento per la carenza della motivazione, senza poter esercitare, sul punto, alcun potere integrativo.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge, sostenendo che la motivazione dell’ordinanza impugnata sul periculum in mora sarebbe meramente ripetitiva di quella, peraltro assente, contenuta nel decreto emesso dal G.I.P., poiché fondata su assunti meramente assertivi e scollegati da qualsivoglia riferimento a ragioni anticipatorie dell’ablazione, non avendo il Tribunale spiegato quali fossero gli indici concreti di condotte depauperative del patrimonio in vista della futura confisca e avendo motivato la sussistenza del periculum mediante riferimento alle condotte integranti i reati contestati. Aggiunge la difesa che i riferimenti al complessivo valore della somma asseritamente sottratta al fisco ed alla sofisticata strategia e capacità criminale renderebbero la motivazione integrativa del Tribunale del riesame sul periculum in mora completamente carente.
2.4 Con il quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge, lamentando che il secondo decreto aveva pretermesso completamente l’esame della situazione economica della società, evidenziante solidità finanziaria tale da scongiurare
qualsivoglia rischio di dispersione dei capitali. Aggiunge che i numerosi documenti prodotti in sede di riesame (indicati a p. 11, nota 2), garantivano la capienza del patrimonio delle società e l’insussistenza del rischio di sottrazione del profitto alla eventuale e futura confisca, vantando un patrimonio complessivo di oltre otto milioni di euro.
Le argomentazioni sul punto del Tribunale del riesame erano prive di logica, coerenza e ragionevolezza: a) la cessione del capannone industriale in data 24/02/2022 in favore della società “RAGIONE_SOCIALE” rappresentava operazione cristallina tra floride realtà societarie nate dalla storia imprenditoriale familiare dei COGNOME; b) la nomina di NOME COGNOME a rappresentante legale delle società rappresentava la normale conseguenza della decadenza dell’indagata dalla carica a cagione della misura interdittiva; c) l’iter negoziale per l’acquisto del capannone non rappresentava pericolo di dispersione del patrimonio, ma il contrario: l’immobilizzazione patrimoniale costituiva solida garanzia per eventuale confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1 Risulta dal provvedimento impugnato che la nuova ordinanza impositiva del vincolo cautelare è stata emessa quando ancora non era stata depositata la motivazione del precedente annullamento da parte del Tribunale del riesame.
Al riguardo, va ribadito il principio secondo cui, in tema di misure cautelari reali, il principio del ne bis in idem non preclude l’emissione di un nuovo provvedimento di sequestro preventivo sui medesimi beni rispetto ai quali il vincolo, precedentemente disposto, sia stato annullato a seguito di impugnazione, nel caso in cui non sia stata ancora depositata la motivazione dell’ordinanza di annullamento (Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, COGNOME, Rv. 285206), e ciò perché, finché non sono conoscibili le argomentazioni della decisione di annullamento del provvedimento impositivo, non sussistono preclusioni derivanti dal cd. “giudicato cautelare”.
E’ così garantita l’esigenza di evitare “vuoti” di tutela a fronte della necessità di provvedere con urgenza, come accade, ad esempio, nella ipotesi disciplinata dall’art. 27 cod. proc. pen., che prevede la possibilità di adozione di misure cautelari anche da parte del giudice .che, «contestualmente o successivamente», si dichiara incompetente.
Del tutto coerentemente, si è precisato, inoltre, che il principio del ne bis in idem non preclude al pubblico ministero, in pendenza dei termini per proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di annullamento di un decreto di sequestro preventivo e prima del deposito della relativa motivazione, di richiedere
l’adozione di un nuovo vincolo cautelare sui medesimi beni, a condizione che lo stesso si determini a non coltivare il rimedio impugnatorio, in quanto la contemporanea pendenza delle due iniziative cautelari contrasta con il divieto di bis in idem (Sez. 3, n. 20245- del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286326), condizione riscontrabile nella vicenda qui al vaglio, non avendo il pubblico ministero impugnato la precedente ordinanza di annullamento.
1.2. In secondo luogo, da quanto si apprende dall’ordinanza impugnata, il precedente decreto di sequestro preventivo era stato annullato per totale carenza motivazionale in ordine alla sussistenza del periculum in mora.
Ciò chiarito, va richiamato il principio – correttamente indicato dal Tribunale – secondo cui l’annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al periculum in mora non osta all’emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l’emissione della misura (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171), a condizione, anche in tal caso, che il pubblico ministero non abbia impugnato l’ordinanza di annullamento, ciò che determinerebbe una litispendenza cautelare, che – questa sì – contrasta con il divieto di bis in idem, operante tra procedimenti prim’ancora che tra provvedimenti (Sez. 3, n. 43365 del 08/10/2024, Carta, Rv. 287142).
In altri termini, in un caso del genere, il pubblico ministero è tenuto a decidere se coltivare la precedente azione mercé l’impugnazione dell’ordinanza di annullamento o reiterare la domanda, dovendo, in tal caso, esimersi dall’impugnare o rinunciare alla proposta impugnazione al più tardi coevamente alla richiesta del nuovo titolo cautelare.
Nel caso di specie, ribadito che, come anticipato, il pubblico ministero si è limitato a proporre una nuova domanda cautelare, il Tribunale ha correttamente ritenuto che il precedente annullamento fosse intervenuto per un motivo “pacificamente di tipo formale”, cioè “l’assenza/apparenza di motivazione sul periculum”, in quanto la precedente decisione di annullamento adottata dal Tribunale del riesame era fondata sulla considerazione che il G.i.p. aveva solo genericamente fatto riferimento alla natura del denaro e dei beni che sarebbero stati facilmente alienabili, occultabili o disperdibili (p. 19 dell’ordinan impugnata).
Il Tribunale, dunque, aveva giudicato la motivazione del primo provvedimento annullato del tutto apparente, concludendo per la mancanza della motivazione sul presupposto del periculum.
1.3. Infine, vi è un ulteriore elemento, pacificamente ammesso dallo stesso ricorrente – laddove, nell’illustrazione del motivo qui al vaglio, rappresenta che il
secondo decreto era “costretto a dedurre un novum investigativo proprio per colmare i vuoti investigativi individuati e censurati dalla prima ordinanza, ovverosia l’annotazione di P.G. n. 76699/2024 del 24 ottobre 2024” – e che emerge dalla motivazione, ossia che il pubblico ministero, nella nuova richiesta di misura cautelare reale, aveva indicato elementi di novità, desumibili dalla citata annotazione di RG., quali la costituzione di due nuove società, aventi lo stesso oggetto sociale di quelle oggetto di indagine, da parte di altri due indagati, dopo essere venuti a conoscenza dell’attività investigativa svolta nei loro confronti, al verosimile scopo di svuotare il patrimonio, ciò che conforta la legittimità del provvedimento impugnato, in quanto il principio del ne bis in idem non preclude l’emissione di un nuovo sequestro preventivo sui medesimi beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto e successivamente annullato a seguito di impugnazione, allorquando nel secondo provvedimento siano stati valutati dall’autorità giudiziaria elementi precedentemente non esaminati perché non disponibili (Sez. 3, n. 16616 del 18/11/2019, dep. 2020, Iuvinale, Rv. 278947; Sez. 3, n. 24963 del 18/02/2015, Aprovitola, Rv. 264095).
2. Il secondo motivo è infondato.
2.1 Come costantemente predicato da questa Corte di legittimità, la motivazione merita l’appellativo di “apparente” – e, dunque, essa è inesistente solo quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, P.G. in c. COGNOME, Rv. 263100; Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682; Sez. 6, n. 6839 del 01/03/1999, P.G. in c. COGNOME, Rv. 214308).
3.2. Nel caso di specie, il G.I.P. aveva motivato la sussistenza del periculum in mora “tenuto conto della precedente misura reale – che induce verosimilmente gli stessi a trasferire velocemente le proprie ricchezze in vista di un’ulteriore probabile richiesta cautelare negli stessi termini, dalla personalità dei medesimi prevenuti, i quali, infatti, come emerso dalla attività di indagine, hanno dimostrato una non trascurabile capacità organizzativa nel realizzare le descritte condotte illecite, delle modalità dei comportamenti tenuti, che denotano una spiccata attitudine a porre in essere atti volti a sottrarre le somme spettanti allo Stato” (cfr. p. 2 del decreto), nonché, con riferimento alle posizioni di COGNOME e COGNOME, il fatto che costoro, dopo essere venuti a conoscenza dell’attività di indagine, hanno costituito due nuove società aventi lo stesso oggetto sociale di quelle oggetto di indagine, al verosimile scopo di svuotare i patrimoni di queste ultime.
Come correttamente ritenuto dal Tribunale, la motivazione del secondo provvedimento non può definirsi “apparente”, nel senso dinanzi chiarito, in quanto essa ha argomentato la sussistenza del periculum in mora non mediante l’impiego di formule di stile o attraverso un percorso argomentativo oscuro, ovvero facendo discendere automaticamente il periculum dalla mera realizzazione degli illeciti oggetto di incolpazione provvisoria, avendo indicato specifici elementi sintomatici di un pericolo di dispersione, quale, in particolare, la circostanza che tutti gli indagati, venuti a conoscenza della precedente misura poi oggetto di annullamento, medio tempore si potessero adoperare per occultare le somme di denaro profitto dei reati in esame.
Si tratta di una motivazione che, seppur incompleta, certamente non merita l’appellativo di “apparente”.
Su queste basi, il Tribunale ha perciò legittimamente esercitato i poteri di integrazione della motivazione del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di periculum in mora, espressamente previsti dal combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen.
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, congiuntamente esaminati perché incentrati su doglianze riguardanti il periculum in mora, sono inammissibili.
3.1 La giurisprudenza di legittimità ha fissato i criteri di riferimento per ravvisare la sussistenza delle esigenze cautelari necessarie per il mantenimento del sequestro preventivo a fini di confisca.
Come precisato dalle Sezioni Unite, il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ad eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, per le quali è sufficiente la mera indicazione della appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la motivazione deve soffermarsi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato; un’esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
In definitiva, è dunque il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la
confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene al generico riferimento alla natura fungibile del denaro (Sez. 3, n. 23936 del 11/04/2024, Rossi, Rv. 286671), e potendo il giudice valutare ogni elemento presente nel caso concreto, ivi comprese le modalità di realizzazione degli illeciti oggetto di provvisoria contestazione, purché indicativo del pericolo di dispersione del bene.
3.2. Ciò posto, richiamati gli stringenti limiti stabiliti dall’art. 325 cod. pro pen. relativi al sindacato della Cassazione avente ad oggetto le ordinanze relative a provvedimenti cautelari reali – che è circoscritto alla possibilità di rilevare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in íudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656) -, nel caso di specie non può affermarsi che la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, sia omessa o ovvero apparente, in quanto il Tribunale ha desunto il perículum da specifici comportamenti tenuti dagli indagati, vale a dire: da un lato, l’operazione di cessione di un bene aziendale, al prezzo di un milione di euro, tra la RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME in qualità di cedente, e la RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, avvenuta in data 24 febbraio 2022, operazione che, ad avviso del Tribunale, induce a ritenere come l’indagato e la di lui sorella, parimenti indagata, “sono in grado di approntare strategie di gestione patrimoniale a più ampio spettro, sfruttando proprio le loro strutture societarie le loro risorse economiche e non” (p. 21 dell’ordinanza impugnata); dall’altro, la circostanza che, dopo l’applicazione delle misure, sia reali che personali, è stato nominato amministratore sia della RAGIONE_SOCIALE sia della RAGIONE_SOCIALE il padre dell’indagato, NOME COGNOME “circostanza che concorre a denotare la disponibilità dell’intera famiglia ad approntare immediatamente soluzioni in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
presenza di difficoltà connesse alla loro realtà imprenditoriale” (p. 21
dell’ordinanza impugnata), e, in data 18 ottobre 2024, ossia dopo la discovery,
NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ha sottoscritto un contratto preliminare di acquisto di un’unità immobiliare del valore
di 1.150.00 euro, in cui si dà atto del versamento di una caparra confirmatoria di
200.000 euro, di cui, tuttavia, non vi è prova in atti.
Il Tribunale – venendo così al quarto motivo – ha perciò valutato la solidità
patrimoniale e finanziaria del soggetto che deve subire la misura, ritenendola non
“idonea ad escludere la sussistenza del periculum in mora,
in quanto il possibile depauperamento nel tempo della garanzia di attuazione della misura ablativa si
desume, in via di prognosi, dai contegni tenuti dall’indagato, ricavata dagli indici sopra esaminati” (p. 22 dell’ordinanza impugnata).
3.3. A fronte di tale apparato argomentativo, che certamente non può dirsi mancante o apparente, i motivi in esame, laddove censurano la capacità
periculum, dimostrativa degli elementi addotti a sostegno della sussistenza del
si risolvono, a ben vedere, in una critica alla congruità della motivazione, che esula
dal perimetro segnato dall’art. 325 cod. proc. pen.
In conclusione, stante la infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse della ricorrente deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente medesima, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 21/05/2025.