Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8146 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8146  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Cina il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 17/05/2023 del Tribunale di Cagliari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 maggio 2023, il Tribunale di Cagliari ha rigettato la richiesta di riesame proposta dall’interessato avverso il decreto di sequestro preventivo del Gip dello stesso Tribunale, emesso il 6 aprile 2023, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 2 del d.gs. n. 74 del 2000.
 Avverso l’ordinanza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censura la violazione dell’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., già eccepita con memoria del 16 maggio 2023, per l’omessa traduzione in lingua cinese dell’informazione di garanzia e di quella sul diritto di difesa, nonché del decreto di sequestro preventivo, non essendo l’indagato in grado di comprendere la lingua italiana. Il Tribunale avrebbe fatto riferimento a mere presunzioni, ovvero ad una procura notarile, ad una procura ai difensori di fiducia, ad una e-mail alla Guardia di Finanza in lingua italiana e recanti la sottoscrizione dell’indagato; si tratterebbe di testi predisposti da altri soggetti che ne avevano illustrato il contenuto all’indagato stesso, il quale altrimenti non sarebbe stato in grado di comprenderlo.
2.2. In secondo luogo, si denuncia la violazione degli artt. 125 e 321, cod. proc. pen., nonché dell’art. 2 del d.gs. n. 74 del 2000. Non si sarebbero considerati i documenti allegati alla memoria difensiva del 16 maggio 2023, rappresentati da fatture, bonifici di pagamento, mastrini contabili, bilanci, registri Iva, attraverso quali si sarebbe dimostrato che le fatture ritenute oggettivamente false secondo l’ipotesi accusatoria erano state oggettivamente pagate e che la genericità del loro oggetto era comune anche ad altre fatture, non compilate da società “RAGIONE_SOCIALE“. La difesa sostiene che l’indicazione RAGIONE_SOCIALE fatture nella contestazione provvisoria è errata e riporta l’elenco di alcune fatture per le quali non erano state effettuate contestazioni di falsità. Mancherebbe, inoltre, ogni considerazione circa la corrispondenza tra i flussi di denaro contante incassati giornalmente e le somme successivamente versate nel conto corrente intestato all’indagato. Tale corrispondenza – secondo la prospettazione difensiva – evidenzia la legittimità degli acquisti.di merce da parte di grossisti che si recavano presso lo stabilimento; circostanza che giustificherebbe la mancanza di documenti di trasporto; mentre i pagamenti, trattandosi di vendita al dettaglio di beni di modico valore, non avvenivano con bonifico o con strumento elettronico. Infine, il numero RAGIONE_SOCIALE fatture contestate sarebbe assai esiguo rispetto a quelle complessivamente emesse nei confronti della ditta individuale dell’indagato e verificate come legittime dall’RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione degli degli artt. 125 e 321, cod. proc. pen., vista l’insussistenza del esigenze cautelari reali. Sarebbe apparente la motivazione del Tribunale, nella parte in cui ritiene sussistente il concreto pericolo di dispersione del denaro, perché non si sarebbe considerato che nelle annualità dal 2018 al 2023 non era stata riscontrata nessuna irregolarità; mentre la misura applicata starebbe creando un grave nocumento alla ditta – che ha 11 dipendenti – rispetto alla quale le fatture oggetto di contestazione per operazioni esistenti sono in numero ristretto, a fronte di quelle regolari.
2.4. La difesa ha depositato memoria, con la quale ribadisce quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRMÒ
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, avverso le ordinanze emesse nel procedimento di riesame RAGIONE_SOCIALE misure cautelari reali, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge e che in tale nozione vengono compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Si è altresì specificato che, in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, è preclusa ogni censura relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente mancante – che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza dell’obbligo stabilito dall’art. 125 cod. proc. pen. – e della motivazione apparente (ex plurimis, Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Rv. 274693; Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti cautelari reali, deve rilevarsi l’inammissibilità ·dei motivi di impugnazione formulati nel caso in esame, per la non riconducibilità dei vizi prospettati alla categoria della violazione di legge.
1.1. Il primo motivo di doglianza, riferito alla mancata traduzione di atti del procedimento, su rilievo che l’imputato non comprenderebbe la lingua italiana, è inammissibile e comunque manifestamente infondato. Esso è solo formalmente riferito alla violazione dell’art. 143 cod. proc. pen., ma in realtà diretto a contestare la motivazione del provvedimento impugnato.
Va ricordato che, in tema di traduzione degli atti ex art. 143 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2014, il diritto all’assistenza all’interprete non discende automaticamente dallo status di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto indefettibile dell’accertata incapacità di comprensione della lingua italiana (ex plurimis, Sez. 2, n. 30379 del 19/06/2018, Rv. 273246; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239693). Dunque tale diritto deve essere escluso quando l’incapacità di comprensione dell’italiano non emerge dall’iter processuale e l’imputato non evidenzia in alcun modo la sua incapacità. Al contrario, la capacità
di comprensione della lingua italiana può essere desunta dalla redazione in italiano di atti a firma dell’interessato, come, ad esempio, l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato o la procura.
Ciò è quanto è avvenuto nel caso di specie, in cui l’imputato, che opera da anni come imprenditore in Italia: ha rilasciato procura notarile il 27 dicembre 2016, nella quale è espressamente indicato che l’atto è stato letto davanti al comparente, che dichiara di approvarlo; ha rilasciato procura in italiano ai difensori; ha inviato una mail alla Guardia di Finanza scritta in italiano; non ha mai invocato l’esercizio del diritto alla traduzione di atti.
1.2. Le considerazioni svolte sub 1 si attagliano anche al secondo e al terzo motivo di doglianza – che possono essere trattati congiuntamente – solo formalmente riferiti alla violazione degli artt. 125 e 321, cod. proc. pen. o dell’art. 2 del d.gs. n. 74 del 2000, ma in realtà diretti a contestare una motivazione non inesistente né apparente e perciò preclusi ex art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Quanto al profilo degli indizi di reato, il Tribunale ha correttamente evidenziato la creazione di un impianto contabile diretto a sviare l’attività di accertamento tributario, avvalorando in modo artificioso l’esistenza di dati inseriti in dichiarazione, avendo l’imputato trattato con società non operanti, perché costituite per periodi di poco superiori all’anno, prive di beni strumentali, prive di automezzi, prive di merci acquistate effettivamente, non intestatarie di utenze, emittenti fatture a contenuto del tutto generico. Né il meccanismo fittizio è escluso dalla presenza di un flusso di pagamenti, perché la formazione di fondi neri passa normalmente proprio attraverso la contabilizzazione di fatture fittizie accompagnate da dazioni di denaro. E tali circostanze non sono state contestate dalla difesa la quale fa riferimento ad una mancata considerazione della documentazione contabile e fiscale presentata, in realtà dotata di una valenza probatoria del tutto generica quanto all’effettività RAGIONE_SOCIALE prestazioni oggetto RAGIONE_SOCIALE fatture in contestazione, a fronte di una contestazione basata proprio sulla discrepanza fra la regolarità dell’apparenza formale e la sostanza illecita dell’attività svolta dall’indagato.
Analoghi rilievi valgono quanto al periculum in mora, che è stato motivatamente ricavato dal fatto che l’interessato ha utilizzato il sistema RAGIONE_SOCIALE fatture per operazioni inesistenti in due distinti annualità, mentre la natura fungibile del denaro sottoposto a sequestro e il pericolo di dispersione ad esso connaturato, valutati unicamente alla propensione mostrata dall’uso di espedienti volti a dissimulare la realtà economica, coerentemente dedotta dalle condotte in contestazione, fanno emergere una personalità tutt’altro che rassicurante sul piano del mantenimento della garanzia patrimoniale.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 10/11/2023.