Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22089 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22089 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a San Pietro Vernotico il 07/06/1984
avverso l’ordinanza del 06/11/2024 del Tribunale di Brindisi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le memorie presentate dal difensore dell’imputato, con cui la difesa ribadisce quanto già dedotto, replicando alla requisitoria scritta del Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 6 novembre 2024, il Tribunale di Brindisi ha rigettato l’istanza di riesame presentata da NOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del medesimo Tribunale il 7 ottobre 2024, con cui si era convalidato il decreto d’urgenza del 19 settembre 2024, attraverso il quale il Pubblico Ministero aveva disposto il sequestro preventivo impeditivo e finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto diretto di euro 2.073.785,49, per il reato contestato al capo d) dell’imputazione provvisoria, di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter cod. pen.
Avverso l’ordinanza, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, la difesa lamenta l’assenza di motivazione in ordine all’asserita illegittimità del provvedimento di sequestro emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero e successivamente convalidato dal Gip del Tribunale di Brindisi. Nello specifico, il pubblico ministero, al fine di ottenere l’emissione di detto provvedimento ablativo, avrebbe dovuto seguire l’iter ordinario, avanzando una preventiva istanza al Gip, non potendo disporre autonomamente il sequestro ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis cod. proc. pen., dal momento che la fase delle indagini preliminari risultava ormai conclusa.
2.2. In secondo luogo, si lamentano vizi della motivazione, sul rilievo che il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il fumus commissi delicti in base alle fatture emesse dall’impresa nel 2021, ritenendo erroneamente che al momento della loro emissione i lavori avrebbero dovuto già essere terminati. Secondo la prospettazione difensiva, i lavori oggetto di intervento potevano essere svolti anche successivamente, visto che la normativa relativa al “bonus facciate” non prevede una data certa entro la quale i lavori dovrebbero essere completati. Questa interpretazione sarebbe confermata anche da risposte acquisiti fornite sul punto dell’Agenzia delle Entrate.
La difesa ha depositato memoria, con la quale ribadisce quanto già dedotto, con particolare riferimento alle tempistiche relative agli interventi edilizi oggetto del “bonus facciate”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di doglianza, relativo all’illegittima adozione del sequestro di urgenza da parte del pubblico ministero, è inammissibile.
Va ribadito quanto affermato nell’ordinanza impugnata, laddove si ricorda che non sono impugnabili né il decreto di sequestro preventivo, disposto in via
d’urgenza dal pubblico ministero, né l’ordinanza con la quale il giudice, a norma dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., ne dispone la convalida (ex multis, Sez. U, n. 21334 del 31/05/2005, Rv. 231055; Sez. 5, n. 49616 del 12/10/2016, Rv. 268596; Sez. 2, n. 50740 del 19/09/2019, Rv. 277784). Ciò in quanto il decreto del Pubblico ministero non è ricompreso nell’elencazione di cui all’art. 322bis cod. proc. pen. – norma non suscettibile di interpretazione analogica, attesa la taSsatività dei mezzi di impugnazione – ed ha carattere provvisorio, essendo destinato ad un’automatica caducazione a seguito della mancata convalida ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto dell’autonomo decreto di sequestro giudiziale, che il giudice emette dopo l’ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato
In altri termini, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello (pag. 3 del provvedimento), è rimessa esclusivamente al Gip la valutazione in ordine alla lamentata assenza di situazioni idonee a giustificare l’eccezione alla riserva giurisdizionale, con l’adozione del decreto di urgenza da parte del pubblico ministero e, se interviene la convalida, il Gip stesso è tenuto, a norma dell’art. 321, comma 3-bis cod. proc. pen. ad emettere un proprio decreto di sequestro preventivo che supera il decreto del pubblico, mentre la relativa convalida costituisce l’unico titolo che legittima il vincolo reale sul bene sequestrato.
1.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’erronea valutazione delle fatture emesse dal ricorrente, è inammissibile.
In tema di misure cautelari reali, per principio consolidato di questa Corte, il ricorso contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. U, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608; Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Rv. 269656).
Deve pertanto essere escluso che a fronte dell’approfondita valutazione degli elementi probatori da parte del Tribunale del riesame, in sede di ricorso per cassazione possano essere riproposti, sotto il profilo dell’omessa o mancata motivazione, questioni riguardanti l’accertamento di elementi fattuali attinenti alla fruizione dei benefici fiscali contestati, ove il giudice del riesame abbia comunque compiuto una valutazione.
Ebbene, la doglianza formulata in questa sede, se compiutamente apprezzata al di là della sua intestazione formale, si propone di ripresentare un’alternativa valutazione delle emergenze processuali già vagliate dal Tribunale. Dirimente, in
particolare, è la considerazione fattuale che il difensore non si è fatto carico di offrire una prova o almeno un principio di prova su quanto detto circa una
successiva reale esecuzione dei lavori (non provata neppure con il mero richiamo ai dati identificativi del cliente o del singolo cantiere); cosicché devono essere
ritenuti confermati – secondo la logica valutazione del Tribunale – gli elementi probatori raccolti dalla polizia giudiziaria circa la mancata esecuzione della quasi
totalità dei lavori effettuati. A fronte di un tale quadro indiziario, pienamente sufficiente sul piano cautelare, risultano puramente teoriche le affermazioni
difensive circa la possibilità di emettere la fattura per l’intero importo dei lavori anche prima del loro inizio.
E
ciò rende superflua la disamina del quadro normativo di riferimento, peraltro non compiutamente prospettata neanche dal ricorrente,
che si limita a generiche asserzioni in punto di diritto del tutto sganciate da un’analisi critica della regolamentazione pertinente.
2. Ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., l’inammissibilità
dell’impugnazione si estende anche ai rilievi contenuti nella memoria difensiva depositata successivamente, peraltro sostanzialmente ripetitivi di quelli già
effettuati con il ricorso.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2025.