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Sequestro preventivo denaro: prova della provenienza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro un sequestro preventivo denaro. Nonostante l’indagato avesse presentato documentazione fiscale, i giudici hanno ritenuto che i redditi dichiarati l’anno precedente fossero troppo bassi per giustificare il possesso di quella somma, considerati i costi della vita. Il ricorso è stato respinto perché contestava la valutazione dei fatti, non una violazione di legge.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Denaro: Quando la Dichiarazione dei Redditi Non Basta?

Il sequestro preventivo denaro è uno strumento incisivo a disposizione dell’autorità giudiziaria, spesso utilizzato nelle indagini per reati come lo spaccio di stupefacenti. Ma cosa succede quando l’indagato sostiene che i soldi sequestrati provengano da fonti lecite, come il proprio lavoro? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 20363/2025, offre chiarimenti cruciali, sottolineando che la semplice produzione di una dichiarazione dei redditi potrebbe non essere sufficiente a superare i dubbi sulla provenienza del contante.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ascoli Piceno, riguardante una somma di 1.035 euro. Il sequestro era legato a indagini per il reato di spaccio di lieve entità. L’indagato si era opposto al provvedimento, presentando un’istanza di riesame e fornendo documentazione per attestare la provenienza lecita del denaro.

Il Tribunale del riesame, tuttavia, confermava il sequestro. Pur riconoscendo la documentazione prodotta dalla difesa, i giudici ritenevano che i redditi dichiarati l’anno precedente (circa 11.000 euro) fossero troppo esigui per giustificare la disponibilità di quella somma in contanti, una volta considerati i costi ordinari della vita e il pagamento di un affitto. In sostanza, il reddito lecito era presumibilmente già stato consumato per le necessità quotidiane.

L’indagato decideva quindi di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge e una motivazione illogica da parte del Tribunale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si basa su un principio fondamentale che governa il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali.

Secondo l’art. 325 del codice di procedura penale, il ricorso contro le ordinanze emesse in sede di riesame è consentito solo per violazione di legge. Questo significa che la Cassazione non può riesaminare i fatti o la valutazione delle prove operata dal giudice del riesame, ma solo controllare che la legge sia stata applicata correttamente. Una motivazione mancante o meramente apparente equivale a una violazione di legge, ma una motivazione esistente, per quanto discutibile nel merito, non può essere censurata in sede di legittimità.

Le Motivazioni: Sequestro Preventivo e Prova della Disponibilità Economica

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che le critiche mosse dall’indagato non riguardavano una reale violazione di legge, bensì una contestazione della valutazione fattuale operata dal Tribunale del riesame. Quest’ultimo, infatti, aveva fornito una motivazione solida e non apparente per confermare il sequestro preventivo denaro.

Il ragionamento del Tribunale, avallato dalla Cassazione, è stato il seguente:
1. Analisi della Proporzionalità: La somma sequestrata nell’ottobre 2024 non poteva essere giustificata dai redditi dichiarati nel 2023.
2. Valutazione del Costo della Vita: I giudici hanno considerato che un reddito di circa 11.000 euro annui è “ridotto” se si tiene conto del costo della vita e delle spese fisse, come l’affitto di un alloggio.
3. Presunzione di Consumo: Di conseguenza, era logico presumere che quel reddito fosse stato speso per le esigenze primarie, rendendo sproporzionata e ingiustificata la disponibilità della somma in contanti sequestrata.

La motivazione del Tribunale, quindi, non era né mancante né illogica, ma basata su un’analisi concreta degli elementi a disposizione, inclusa la documentazione difensiva. Per questo motivo, il ricorso è stato giudicato un tentativo inammissibile di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione del merito della vicenda.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un importante principio: per contrastare un sequestro preventivo denaro, non basta dimostrare di avere un reddito, ma è necessario provare che quel reddito sia congruo e sufficiente a giustificare la disponibilità di contante, al netto delle spese essenziali. La valutazione del giudice si estende alla sostenibilità economica complessiva della persona indagata.

Inoltre, la pronuncia conferma i rigidi limiti del ricorso per cassazione in materia cautelare. Chi intende impugnare un’ordinanza di sequestro davanti alla Suprema Corte deve concentrarsi esclusivamente sulla denuncia di vizi giuridici (violazioni di legge), come una motivazione inesistente o palesemente contraddittoria, evitando di riproporre argomenti che attengono alla valutazione dei fatti, di esclusiva competenza dei giudici di merito.

È sufficiente presentare una dichiarazione dei redditi per provare che il denaro sequestrato ha un’origine lecita?
No. Secondo questa sentenza, non è sempre sufficiente. Il giudice può valutare se il reddito dichiarato sia congruo rispetto al costo della vita e alle spese sostenute dall’interessato. Se il reddito è considerato troppo basso per aver permesso di accantonare la somma sequestrata, la giustificazione può essere respinta.

Posso chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove relative a un sequestro preventivo?
No. Il ricorso per cassazione contro misure cautelari reali, come il sequestro, è ammesso solo per ‘violazione di legge’, come una motivazione mancante o meramente apparente. Non è possibile chiedere alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti o delle prove, che è di competenza esclusiva del Tribunale del riesame.

Cosa si intende per ‘motivazione meramente apparente’ in un provvedimento di sequestro?
Significa che la giustificazione fornita dal giudice per disporre o confermare il sequestro è talmente superficiale, illogica, contraddittoria o generica da equivalere a una totale assenza di motivazione. In questo caso, la Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del riesame fosse invece concreta, logica e basata su elementi oggettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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