Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7465 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7465 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna avverso l’ordinanza 16/09/2024 del Tribunale di Ravenna, sezione per il riesame
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate del sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con le quali è stato chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata; letta la memoria difensiva depositata in data 27/12/2024 dall’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia della RAGIONE_SOCIALE con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Ravenna, in accoglimento della richiesta di riesame presentata da RAGIONE_SOCIALE, annullava il decreto
emesso in data 02/08/2024 con il quale – per quanto rileva in questa sede – il Giudice per le indagini preliminari di Ravenna aveva disposto il sequestro preventivo, in relazione al reato di cui all’art. 640 bis cod. pen. dei crediti di imposta presenti nel cassetto fiscale della RAGIONE_SOCIALE, acquistati il 30/09/2021 dalla società RAGIONE_SOCIALE che li aveva ricevuti da tre unità condominiali (Cesarino, INDIRIZZO e Trieste INDIRIZZO), nell’ambito del c.d. “bonus facciate”, previa fatturazione riportante l’indicazione della esecuzione di lavori non ancora realizzati e corrispettivi fraudolentemente “gonfiati”.
Il Tribunale accoglieva la tesi difensiva per la quale i crediti oggetto della cessione ( da RAGIONE_SOCIALE) si erano confusi con altri di analoga natura già presenti nel cassetto fiscale della società, come dimostrato dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE nei successivi anni 2022-2023 e 2024 aveva compensato crediti identificati dal codice tributo 6925 (e quindi riconducibili al c.d bonus facciate) per un ammontare ben superiore a quelli ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE Tale confusione aveva conseguentemente determinato l’impossibilità di determinare la sorte di questi ultimi che addirittura potevano anche non essere più presenti nel cassetto fiscale della cessionaria RAGIONE_SOCIALE in quanto dalla stessa già utilizzati.
Ne derivava, secondo il Tribunale, che il sequestro disposto dal Giudice per le indagini preliminari dei crediti presenti nel cassetto fiscale andava qualificato non come “impeditivo”, bensì’ “per equivalente”, misura che non poteva essere disposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE in ragione della qualifica di terzo in buona fede rivestita dalla stessa, poiché estranea alle condotte illecite sottese alla generazione dei crediti oggetto di cessione.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna deducendo erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 321, comma 1, codice di rito e 121, comma 1, lett. b), Legge n. 77 del 2020 con riferimento alla asserita inapplicabilità del sequestro preventivo impeditivo ai crediti di imposta ceduti anteriormente al giorno 1 maggio 2022.
Rileva il ricorrente:
-che il Tribunale ha fondato la propria decisione sul presupposto che, all’epoca della cessione dei crediti da RAGIONE_SOCIALE, non era ancora stato introdotto il sistema di tracciamento delle cessioni di crediti da bonus, previsto solo a partire dal giorno 1 maggio 2022, mediante l’attribuzione di un codice identificativo, da riportare in tutte le comunicazioni delle successive cessioni; alla luce di ciò ha qualificato il vincolo apposto dal giudice per le indagini
preliminari in termini di sequestro per equivalente, non consentito nei confronti del terzo in buona fede;
che è affermazione congetturale quella per cui i crediti di imposta ceduti dalla New General s.p.a. avrebbero addirittura potuto non trovarsi nel cassetto fiscale della RAGIONE_SOCIALE s.p.a.;
che il ragionamento del Tribunale tradisce un equivoco di fondo e cioè che i crediti di imposta non tracciati e ceduti si trasformino in beni fungibili assimilabili al denaro;
che la giurisprudenza di legittimità ha, invece, più volte affermato che la mancanza di un codice identificativo non muta la natura del credito di imposta il quale non acquista una natura fungibile assimilabile al denaro;
a ragionare diversamente, si arriverebbe al paradosso di consentire la libera circolazione dei crediti di imposta illeciti ceduti a terzi in buona fede prima del 1 maggio 2022 non potendo essere oggetto di sequestro impeditivo, mentre quelli ceduti successivamente potrebbero essere sottoposti a tale vincolo.
3.Con memoria scritta il difensore della RAGIONE_SOCIALE (ora divenuta RAGIONE_SOCIALE) evidenzia il difetto di prova in ordine al necessario nesso di pertinenzialità tra la res illecita ed il provvedimento ablativo per due ordini di ragioni:
(a) all’interno del cassetto fiscale della società dopo il 2021 (periodo in cui aveva acquistato i crediti fiscali da New General) erano confluiti altri benefici fiscali rientrati nella categoria “bonus facciate” cod. tributo 6925, derivanti da altre cessioni o da lavori dalla stessa società eseguiti;
(b) RAGIONE_SOCIALE, nell’ottobre 2021, ha ceduto tutti i crediti fiscali di cui al cod. tributo 6925 a Poste Italiane.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
Con il provvedimento annullato a seguito della ordinanza qui impugnata dal Procuratore della Repubblica il Giudice per le indagini preliminari disponeva il sequestro preventivo c.d. impeditivo ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen. dei crediti di imposta oggetto del delitto di truffa in pubbliche erogazioni riferibile all società RAGIONE_SOCIALE e presenti nel cassetto fiscale della cessionaria RAGIONE_SOCIALE, terza estranea all’illecito ed in buona fede.
Il Tribunale di Ravenna, in sede di riesame, ha invece qualificato il disposto vincolo ablativo in termini di sequestro per equivalente del profitto del reato finalizzato alla confisca, non consentito, tuttavia, nei confronti di soggetti terzi
estranei al reato; ciò sul presupposto che, in assenza di elementi identificativi, la misura avrebbe colpito non esattamente i crediti originati dalle artificiose condotte poste in essere dalla società RAGIONE_SOCIALE, ma una massa indistinta di crediti presenti nel cassetto fiscale della cessionaria RAGIONE_SOCIALE di importo equivalente a quelli oggetto di indagine.
Tale impostazione non può essere accolta.
Al riguardo si osserva, in continuità con i principi già espressi sullo specifico tema dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701), che l’assenza di uno specifico codice identificativo (introdotto soltanto con disposizioni successive) non si traduce nell’assegnazione al credito di una natura prettamente fungibile, come fosse una somma di denaro.
Dalla lettura combinata del decreto di sequestro preventivo disposto in via d’urgenza dal Pubblico Ministero (pagg. 101-103 e 109) e del relativo provvedimento di convalida con contestuale imposizione del vincolo emesso dal Giudice per le indagini preliminari (pagg. 30 e 31), emerge come l’oggetto della misura ablatoria è individuato in modo specifico e dettagliato, richiamando, anche nel loro preciso ammontare, i crediti di imposta “bonus facciate” riconducibili ai lavori edili presso i Condomini Trieste 21 e COGNOME ritenuti inesistenti che risultavano acquisiti dalla RAGIONE_SOCIALE e successivamente ceduti alla RAGIONE_SOCIALE la quale li custodiva nel proprio cassetto fiscale in quanto non ceduti (come risultato dagli accertamenti presso la banca dati Prisma).
Tanto non consente alcuna assimilazione di questi crediti ad una indistinta somma di denaro, né trasforma in un bene fungibile ciò che, per contro, possiede ab origine un’effettiva e propria individualità.
Del resto, come correttamente evidenziato dal ricorrente, ove si desse rilievo alla presenza o meno di un codice identificativo, si giungerebbe alla paradossale conseguenza per la quale i crediti di imposta illeciti da bonus ceduti in data antecedente al 1 maggio 2022 non sarebbero sottoponibili a sequestro impeditivo perché non tracciabili e quindi potrebbero liberamente circolare, mentre lo sarebbero quelli – di identica natura – ricevuti dal cessionario in buona fede successivamente a tale data per il solo fatto che ad essi sia attribuito un codice identificativo.
Il vincolo apposto con il provvedimento genetico non può dunque definirsi una forma indebita di sequestro per equivalente disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. in quanto funzionale alla confisca, misura che, si badi, il Giudice per le indagini preliminari ha, invece, contestualmente disposto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE a cui era da ricondursi la truffa in pubbliche erogazioni.
Esso rappresenta un sequestro di natura impeditiva il quale – come da orientamento di legittimità del tutto consolidato e da ribadire in questa sede –
richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato (configurabile nella specie) e non tra quest’ultimo ed il suo autore, sicchè esso può riguardare anche le cose di proprietà di un terzo, estraneo all’illecito e in buona fede, nel caso in cui la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (da ultimo Sez. 3 n. 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691; Sez.3, n. 24065 del 11/04/2024, Scossa, Rv 286552; Sez. 3 n. 9833 del 15/12/2023 – dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 286877).
Ed è evidente che la circolazione del credito di imposta derivante da un’attività illecita a monte, possa creare un pericolo di protrazione e/o aggravamento delle conseguenze del reato, proprio in ragione del fatto che il terzo cessionario può utilizzare il credito acquistato per cederlo a sua volta o per portarlo in compensazione.
L’impugnata ordinanza va dunque annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Ravenna, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Ravenna, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Così deciso il 07/01/2025.