Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 24568 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 24568 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato il 30/07/1965 a TRANI COGNOME NOME nato il 11/08/1974 a TRANI NOME nato il 12/06/1974 a TRANI avverso l ‘ordinanza in data 02/04/2025 del TRIBUNALE DI TRANI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME si è riportato riporta agli scritti difensivi;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOMECOGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME (quest’ultima come terza interessata), per il tramite dei rispettivi procuratori speciali, impugnano l ‘ordinanza in data 02/04/2025 del Tribunale di Trani, che ha rigettato l’istanza di
riesame proposta avverso il decreto in data 18/02/2025 del G.i.p. del Tribunale di Trani, che ha disposto il sequestro preventivo di denaro e di beni in relazione al delitto di usura.
Deducono:
NOME COGNOME ed NOME COGNOME (quest’ultima quale terza interessata).
2.1. Violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. e dell’art. 240 -bis cod. pen., per la mancata indicazione del profitto illecito.
I ricorrenti premettono che il sequestro impugnato è stato emesso dopo che altro precedente sequestro era stato annullato perché non era stato motivato il periculum in mora .
Il pubblico ministero ha rinnovato la richiesta indicando quale finalità del sequestro la confisca allargata.
Precisa, tuttavia, che non vi sono elementi per individuare l’entità del profitto illecito e, conseguentemente, non è possibile stabilire quale e quanta parte della somma sequestrata sia qualificabile come profitto illecito.
Sulla base di tali rilievi, si sostiene che il tribunale «ha confuso il disposto di cui all’art. 240 -bis cod. pen. (da applicarsi solo dopo una sentenza di condanna) con il disposto dell’art. 240 cod. pen. (sequestro delle somme derivanti dal reato o per equivalenza), non avendo a oggi contezza di quale sia l’importo da ricondurre all’illecito profitto».
Si aggiunge che la somma rinvenuta presso l’abitazione del COGNOME era nella disponibilità di sua moglie, che così si vedeva sottratta il suo denaro.
«Sul punto è evidente -scrive la difesa- come al fine di poter valutare la correttezza del sequestro anche nei confronti di terzi, era di fondamentale importanza statuire a quanto ammontasse l’illecito profitto, se solo si considera che in assenza di tanto si è ritenuto opportuno dover sequestrare tutto, sotto l’egida di una norma, quale l’art. 240 -bis c.p., che avrebbe dovuto trovare applicazione solo ed esclusivamente dopo l’intervento di una sentenza di condanna».
Ulteriori censure si rivolgono al requisito del periculum in mora , al cui riguardo si denuncia la mancanza di concretezza in riferimento al rapporto di pertinenza con il reato e in relazione al pericolo che la libera disponibilità comporti il pericolo di protrazione del reato o dei suoi effetti , con l’ulteriore precisazione che qualora il sequestro sia stato richiesto a fini impeditivi, non può essere confermato dal tribunale ritenendo sussistenti i presupposti del sequestro finalizzato alla confisca.
3. NOME COGNOME
3.1. Violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. e dell’art. 240 -bis cod. pen., oltre che vizio di motivazione apparente.
Si osserva che il Tribunale, pur riconoscendo la solidità economica del nucleo famigliare di NOME, ha tuttavia confermato il sequestro di tre Rolex senza nulla argomentare circa il requisito della sproporzione richiesto dall’art. 240 -bis cod. pen. ai fini della confisca, senza neanche accertare il valore degli orologi e dei monili in sequestro.
Si rimarca come la sproporzione non possa essere ricavata dall’esame dei siti social , dai quali la Guardia di Finanza ha ricavato un elevato tenore di vita, fatto di viaggi e frequenti cene al ristorante.
Viene denunciato il vizio di omessa motivazione anche con riguardo al denaro sottoposto a sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nel senso di seguito specificato.
1.1. Bisogna anzitutto precisare che il sequestro in esame è stato disposto in relazione al reato di usura, rispetto al quale è prevista l’ist ituto della confisca in casi particolari, così come disciplinata dall’art. 240 -bis cod. pen., che in continuità con il previgente art. 12-sexies decreto legge 8/6/1992 n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7/8/1992, n. 356) dispone che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti ivi contemplati, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
L’art. 240bis , comma secondo, cod. pen. prevede, inoltre, che nei casi previsti dal comma primo, quando non fosse possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo aveva la disponibilità, anche per interposta persona.
A fronte della struttura di tale strumento ablatorio, è stato osservato che «poiché ai sensi dell’art. 321, comma secondo, cod. proc. pen., il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca, prescindendo dalla sussistenza dei presupposti previsti dal primo comma del suddetto articolo, e poiché, in relazione all’art. 12 sexies , è sempre disposta, in caso di condanna o di applicazione di pena patteggiata per il delitto di usura, la confisca dei beni o delle altre utilità che rientrino nella disponibilità
dell’imputato e dei quali egli non sappia giustificare la provenienza, il sequestro preventivo dei beni disposto nei suoi confronti deve ritenersi pienamente legittimo, qualora si ritenga la sussistenza del “fumus” in ordine agli elementi costitutivi del reato in questione» (Sez. 1, Sentenza n. 469 del 19/01/1999, Fedele, Rv. 212591 -01).
Con l’ulteriore precisazione che «le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell’art. 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 , consistono, quanto al fumus commissi delicti , nell’astratta configurabilità di una delle ipotesi criminose previste, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità e, quanto al periculum in mora , nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della provenienza lecita degli stessi beni (Sez. 5, n. 20818 del 24/03/2009, Salvatore, Rv. 243942 -01).
Quindi «il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca allargata ex art. 240bis cod. pen. deve contenere la concisa motivazione del periculum in mora , che non può essere ritenuto esistente in base alla sola titolarità, da parte del soggetto destinatario della misura, di un patrimonio inferiore a quello suscettibile di confisca, neppure quando l’oggetto del vincolo è costituito da un bene fungibile quale il denaro (Sez. 6, n. 45268 del 18/09/2024, Guido, Rv. 287311 -01).
L ‘analisi del dato normativo , in uno con l’interpretazione datane da questa Corte, consentono la schematizzazione dei contenuti che deve avere la motivazione di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata.
Vale la pena rimarcare che il sequestro preventivo ha natura cautelare, inteso ad anticipare gli effetti ablatori quando nelle more del giudizio sorga il pericolo di dispersione dei beni destinati alla confisca.
Tanto vale a evidenziare la manifesta infondatezza dell’assunto esposto dalla difesa di COGNOME e COGNOME là dove sostiene che per disposti il sequestro è necessario che sia sopravvenuta la condanna.
In realtà, la funzione del sequestro preventivo è proprio quello di anticipare gli effetti propri della confisca già prima e nell’attesa della sentenza di condanna.
2.1. Tanto precisato, i giudici del provvedimento cautelare reale così definitivo, sono tenuti a indicare gli elementi concreti da cui emerge il fumus commissi delicti in relazione ad alcuno dei reati contemplati dall’art. 240 -bis cod. pen., cui segue l’indicazion e degli elementi fattuali da cui emerge il requisito della sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto,
ovvero la mancata giustificazione della provenienza lecita di beni di cui abbia la disponibilità.
La motivazione, infine, non può mancare di fornire gli indicatori che abbiano fatto ritenere che la libera disponibilità dei beni possa portare alla loro dispersione nelle more del giudizio.
Questa sintetica indicazione degli elementi necessari a giustificare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata serve a evidenziare come l’entità del profitto e il rapporto di pertinenzialità con il reato non siano richiesti per giustificare la misura ablatoria, risultando sufficiente il solo fumus della commissione di alcuno dei c.d. reati spia, considerati dallo stesso legislatore generatori di un profitto illecito.
Da qui la manifesta infondatezza dei ricorsi di COGNOME e di COGNOME nella parte in cui si dolgono della mancata quantificazione del profitto illecito prodotto dalla commissione dei reati contestati.
In tal senso è già stato affermato che «ai fini della confisca cd. ‘ allargata ‘ prevista dall’art. 240bis cod. pen., a nulla rileva il quantum ricavato dalla commissione dei cd. “reati spia”, dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, purché dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata (Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, dep. 2022, Aprovitola, Rv. 282687 -01).
Quanto al requisito del fumus commissi delicti , va premesso che esso non viene contestato né da NOME nè da COGNOME e COGNOME.
Quest’ultima, peraltro, non avrebbe avuto titolo per contestarlo, in quanto terza interessata.
Va ribadito, infatti, che «in caso di sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240bis cod. pen. avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere (Sez. 2, n. 1251 del 07/11/202C4, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287474 -01).
4.1. Va comunque osservato che il requisito del fumus è stato rinvenuto dai giudici nei contenuti delle conversazioni intercettate, dalle dichiarazioni rese da NOME NOME e dalla documentazione bancaria acquisita, in ciò rendendo una motivazione conforme al principio di diritto a mente del quale nella valutazione del
fumus commissi delicti , quale presupposto del sequestro preventivo, «il giudice non può limitarsi alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali, delle contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa» (Sez. 3, n. 8152 del 12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285966 -01).
I ricorrenti COGNOME e COGNOME sembrano dolersi della violazione del divieto del bis in idem là dove, nella esposizione della vicenda processuale, evidenziano che un precedente sequestro era stato annullato per la mancata motivazione sul periculum in mora .
Il tema è già stato affrontato da questa Corte, che ha negato che in tale ipotesi si configuri la violazione del divieto del bis in idem, puntualizzando che «in tema di misure cautelari reali, l’annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al periculum in mora non osta all’emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l’emissione della misura» (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171 -01).
Il provvedimento impugnato, poi, risulta correttamente giustificato nei confronti di COGNOME e COGNOME in relazione al requisito della sproporzione.
A tale riguardo i giudici hanno osservato che i redditi del nucleo famigliare di COGNOME erano del tutto esigui, perché composto dal reddito di cittadinanza percepito dalla moglie e da circa 8.000,00 euro complessivi prodotti in due anni dall’indagato, così che risultava ingiustificata la disponibilità contante di una somma di denaro pari a 63.000 euro.
La scarsa capacità reddituale della COGNOME ha indotto i giudici a ritenere che quella somma di denaro non fosse nella sua disponibilità.
Da qui la manifesta infondatezza delle deduzioni sviluppate sul punto dai ricorrenti.
A eguale conclusione non si può giungere per la posizione di NOMECOGNOME il cui ricorso risulta fondato quando denuncia il vizio di omessa motivazione resa in relazione al requisito della sproporzione.
A tale proposito va ribadito che «in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui all’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8
giugno 1992, n. 306, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen.), non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive» (Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407 -02).
Nel caso in esame, ciò che rende la motivazione viziata dall’apparenza è proprio la mancata indicazione di parametri di squilibrio economico suscettibili di verifica oggettiva.
Il ricorrente, invero, ha evidenziato come lo stesso tribunale avesse rilevato come il nucleo famigliare di NOME si mostrasse economicamente solido, pur non risultando redditi prodotti nell’ultimo anno.
A fronte di tale dato, i giudici hanno ritenuto il requisito della sproporzione sulla base di un esame di quanto postato sui social network dai componenti della famiglia dell’indagato, da dove hanno ricavato che gli stessi avevano spesso viaggiato per turismo e avevano spesso frequentato ristoranti, così mantenendo un tenore di vita elevato.
L’esame delle abitudini degli indagati e dei suoi famigliari, però, così come estrapolato in maniera necessariamente superficiale dalle immagini e/o dai commenti dei social network, non hanno alcun rilievo ai fini del giudizio della sproporzione, in quanto da essi non si ricavano i costi in concreto sostenuti per viaggiare e per pranzare e/o cenare in ristoranti, così mancando una specifica indicazione della spesa effettivamente sostenuta annualmente dal nucleo famigliare di NOME per dedicarsi a tali attività.
In mancanza di una precisa indicazione della spesa sostenuta, viene meno uno dei necessari termini di raffronto dello squilibrio economico, non potendosi procedere alla comparazione tra costi e redditi prodotti, così risultando impossibile verificare se quelli siano sproporzionati rispetto a questi.
A ciò si aggiunga che nel provvedimento non si fa alcun cenno al valore dei monili, degli orologi e, più in generale, del valore complessivo di quanto sottoposto ad ablazione, così perpetuandosi il vizio ora evidenziato.
Va, dunque, affermato che in tema di sequestro finalizzato alla confisca cd. allargata ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen., deve ritenersi viziato da motivazione apparente e, perciò, mancante, il provvedimento che, in punto di valutazione del requisito della sproporzione, indichi soltanto la misura dei redditi del nucleo familiare dell’indagato, ma non anche il valore di acquisto dei beni, del denaro e/o delle utilità nella sua disponibilità, così mancando uno dei termini di raffronto necessario alla verifica e alla valutazione della sussistenza dello squilibrio economico posto a base del provvedimento ablatorio.
Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato in relazione alla valutazione della sproporzione nei confronti di NOMECOGNOME con rinvio al tribunale per nuovo esame sul punto.
A eguale conclusione di annullamento con rinvio deve pervenirsi nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME in relazione al requisito del periculum in mora.
8.1. Va premesso che, nel caso di sequestro preventivo con finalità di confisca, la motivazione del periculum in mora non può esaurirsi nel prendere atto della confiscabilità del bene, pretendendosi l’esposizione delle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio (in tal senso, cfr. tra molte, Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, dep. 2023, Beni, Rv. 284313 -01; Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 -01), per l’esistenza di elementi concreti che facciano ritenere sussistente il pericolo che, nelle more del giudizio, la cosa venga modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata.
A tale ultimo proposito la sentenza delle Sezioni Unite Ellade -ora citata- ha spiegato che l’esigenza anticipatoria correlata alla confisca è «rapportata appunto alla ratio della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, di cui non si può non cogliere il parallelismo rispetto al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen. che, analogamente, e con riferimento, tuttavia, alla necessità di garantire l’effettività delle statuizioni relative al “pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato”, presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività di dette statuizioni, anch’esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono. E proprio in relazione al sequestro conservativo deve allora ricordarsi come queste Sezioni Unite abbiano -chiarito, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sull’estensione del giudizio prognostico richiesto ai fini della valutazione di tale presupposto, che per l’adozione del 4 sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore, necessario solo a fronte di un patrimonio già di per sé adeguato (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, COGNOME Rv.261118; in termini conformi, da ultimo, Sez. 2, n. 51576 del 04/12/2019, Cavacece, Rv.277813)».
Proprio il richiamo ai requisiti richiesti in relazione al sequestro conservativo, consente la traslazione in sede di sequestro preventivo dei principi pure fissati in quella materia, al cui riguardo è stato spiegato che «ricorre il periculum in mora ,
presupposto del sequestro conservativo, se il rischio di perdita delle garanzie del credito sia apprezzabile in relazione a concreti e specifici elementi riguardanti, da un lato, l’entità del credito e la natura del bene oggetto del sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non potesse il periculum in mora essere giustificato sulla sola considerazione che la cosa sequestrata si identificasse in un’ingente somma di denaro, per sua natura suscettibile di pericolo di dispersione)», (Sez. 6, n. 20923 del 15/03/2012, COGNOME, Rv. 252865 -01).
8.3. Ciò premesso, non può che rilevarsi come l ‘ordinanza impugnata non osservi proprio tale ultimo obbligo argomentativo, atteso che il pericolo di dispersione viene giustificato facendosi esclusivo riferimento all’importo sequestrato e alla sua naturale fungibilità.
I giudici del riesame, infatti, nel giustificare il periculum in mora , così scrivono: «Quanto alla motivazione del periculum in mora, essa appare esplicitata nel decreto impugnato e condivisibile con riferimento al pericolo di modifica, dispersione o alienazione. E’ chiaro, infatti, che la notevole entità delle somme e dei beni individuati nonché la loro natura di beni cioè facilmente trasferibili o occultabili, rende ragionevolmente prospettabile il rischio di condotte tese, appunto, a disperdere quei beni e valori che potrebbero essere destinatari di confisca».
L’apparenza di tale motivazione emerge per due aspetti.
In primo luogo, i giudici non indicano gli elementi specifici e concreti dai quali evincere il pericolo di depauperamento del patrimonio del debitore, non essendo sufficiente un generico riferimento all’importo sequestrato o alla naturale fungibilità dei beni, richiedendosi, a tal fine, l’ accertamento della concreta sussistenza di comportamenti e/o situazioni sintomatici del rischio di modifica, trasferimento, occultamento o, comunque, di dispersione del denaro e dei beni.
In secondo luogo, quale conseguenza della genericità argomentativa dianzi evidenziata, i giudici spendono quest’unica argomentazione senza specificare se essa si riferisca a NOME o a COGNOME, così che deve ritenersi che essa si riferisca a entrambi.
Tanto configura il vizio di omessa motivazione, atteso che la diversa condizione dei due nuclei famigliari, la diversità dei beni rispettivamente sottoposti a sequestro e il rigore argomentativo richiesto in punto di sussistenza del periculum in mora richiedono una valutazione differenziata delle posizioni di ciascuno, che non può essere elusa con le formule indefinite e apodittiche che si rinvengono nel provvedimento impugnato in punto di periculum in mora .
Quanto esposto conduce all’annullamento del provvedimento impugnato in punto di sproporzione nei confronti del solo NOME e in punto di sussistenza del periculum in mora nei confronti di NOME, COGNOME e COGNOME.
L’annullamento va disposto con rinvio al Tribunale, che rinnoverà l’esame sui punti indicati, alla luce dei rilievi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Trani competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p..
Così deciso il 18/06/2025