Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9407 Anno 2024
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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9407 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME quale liquidatore giudiziario del concordato preventivo RAGIONE_SOCIALE
avverso la ordinanza del 03/10/2023 del TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 ottobre 2023 il Tribunale di Vibo Valentia rigettava l’appello con il quale l’AVV_NOTAIO, quale liquidatore giudiziario del concordato preventivo della RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto la restituzione del conto corrente della procedura e della somma di 227.900,08 euro, ivi giacente, oggetto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. dello stesso Tribunale.
Il G.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 640-quater cod. pen., della somma di 3.246.430,76 euro (diretto del denaro o per equivalente sui beni mobili o immobili della RAGIONE_SOCIALE) quale profitto del reato di truffa aggravata in danno del Comune di Vibo Valentia in relazione alla esecuzione di un contratto di appalto.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’AVV_NOTAIO, nella suddetta qualità, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge (artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., artt. 94, 113 e 114 d. Igs. n. 14 del 2019).
L’art. 640-quater esclude che possano essere confiscati beni che appartengano a persona estranea al reato, come nel caso di specie.
La sentenza di omologazione chiude la procedura di concordato e da quel momento il debitore non ha più l’amministrazione dei beni, mentre spetta al liquidatore l’assunzione di tutte le iniziative volte alla creazione di un patrimonio utile alla soddisfazione dei creditori ammessi al concordato, generato dalle attività della liquidazione concordataria e giuridicamente distinto da quello del debitore.
Sul conto corrente sequestrato, aperto dalla procedura e alla stessa intestato, la società non aveva alcuna possibilità di accesso.
2.2. Violazione di legge e motivazione mancante o apparente circa la fondatezza delle prospettazioni difensive (artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen).
L’ordinanza ha ignorato il punto centrale delle argomentazioni svolte nell’appello, costituito proprio dalla pacifica circostanza che il conto corrente era intestato non alla società bensì alla procedura, essendo stato aperto dal commissario giudiziale del concordato.
Il Tribunale ha ritenuto legittimo il sequestro sull’erroneo presupposto che le somme giacessero su un conto corrente della società e quindi che fossero nella sua disponibilità.
2.3. Violazione di legge (artt. 640-quater e 322-ter cod. pen.) quanto alla corretta individuazione del profitto del reato.
Le somme rinvenute sul conto sono tutte riconducibili a pagamenti di terzi debitori della società, avvenuti su iniziativa del liquidatore giudiziario e quindi non sono riconducibili alla commissione del reato.
È superabile, infine, l’argomentazione del Tribunale in ordine alla prevalenza della misura cautelare rispetto alla procedura di concordato, in quanto il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 40797 del 2023, richiamato
nell’ordinanza, riguarda il diverso caso dei rapporti tra sequestro preventivo e fallimento.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato perché proposto con motivi infondati, che possono essere congiuntamente trattati.
Il Tribunale ha esaminato tutte le deduzioni difensive e le ha disattese con puntuali argomentazioni, immuni da vizi e da violazioni di legge.
Il sequestro ha avuto ad oggetto somme confluite nella disponibilità della società, suscettibili di essere sottoposte a confisca obbligatoria, ai sensi dell’art. 640-quater cod. pen., avente natura diretta, come statuito dalle Sezioni Unite nelle sentenze COGNOME (n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437) e COGNOME (n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037) con un principio non contestato neppure dal ricorrente.
La società non può essere ritenuta estranea al reato nel momento in cui le è stata contestata la responsabilità amministrativa da reato ai sensi dell’art. 24 del d. Igs. 231 del 2001 e soprattutto – questo il punto dirimente – “il solo fatto che le somme di denaro siano vincolate dalla procedura concorsuale a garantire il soddisfacimento delle pretese creditorie non vale di per sé, fino al momento della effettiva ripartizione delle medesime ai creditori – circostanza questa ancora non realizzatasi nel caso di specie – a far perdere all’ente la titolarità del denaro”, come in conclusione osservato nell’ordinanza impugnata alla luce della recentissima pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 40797 del 22/06/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285144).
Hanno statuito le Sezioni Unite che l’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (nel caso di specie: per reati tributari), evidenziando che i beni del fallito, sebbene acquisiti alla procedura concorsuale, «non possono qualificarsi, come “beni appartenenti a persona estranea al reato” sicché il
GR
curatore fallimentare diviene mero gestore-detentore dei beni dell’imprenditore …Ai fini della confisca, non assume, dunque, rilevanza il criterio dell’effettiv disponibilità dei beni, ma quello, più ampio, della non estraneità al reato tributario del fallito, che conserva la titolarità dei beni attratti alla mas fallimentare sino alla conclusione della procedura». Pertanto, «con l’apertura del fallimento, non muta la titolarità del bene, che resta sempre “del fallito”, laddove il curatore ne è il mero “detentore”, come del resto anche la stessa giurisprudenza amministrativa, in sede di adunanza plenaria, ha riconosciuto».
Il ricorrente si è limitato a sostenere che la pronuncia delle Sezioni Unite ha esaminato una vicenda riguardante i rapporti tra sequestro preventivo e fallimento, ma nella motivazione della sentenza viene richiamata in senso adesivo la «giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha affermato la prevalenza del sequestro preventivo sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale anche qualora la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del sequestro» (v., ad es., Sez. 3, n. 3575 del 01/02/2022, Connmisso, Rv. 283761).
Con specifico riferimento al concordato preventivo, si era già affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della ammissione a tale procedura e della omologazione del concordato, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro: il rapporto tra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull’interesse dei creditori l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso”, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato (Sez. 3, n. 28077 del 09/02/2017, COGNOME, Rv. 270333).
È logico, peraltro, che il principio affermato da ultimo dalle Sezioni Unite debba trovare a maggior ragione applicazione nel caso di concordato preventivo, posto che nel fallimento (oggi liquidazione giudiziale) la perdita di disponibilità dei beni da parte del soggetto sottoposto alla procedura avviene nella misura massima; non è rilevante, dunque, la circostanza enfatizzata dal ricorrente in ordine all’inizio della fase di liquidazione, durante la quale il debitore cessa l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa.
Al rigetto dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/02/2024.