Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2390 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2390 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di TRIBUNALE DI TREVISO nei confronti di:
COGNOME NOME nata a VENEZIA il 24/11/1980;
COGNOME NOME nato a VENEZIA il 23/08/1958;
avverso l’ordinanza del 17/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Treviso
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
lette le memorie dei difensori delle persone sottoposte a indagine, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 17 maggio 2024 del Tribunale di Treviso che ha
revocato il decreto del 27 marzo 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale che, nel procedimento penale iscritto a carico di COGNOME COGNOME e COGNOME NOME per i reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, e 38-bis d.lgs. n. 81 del 2015, nonché a carico della RAGIONE_SOCIALE per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 25-quinquiesdecies, lett. a) e d), d.lgs. n. 231 del 2001, aveva ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta delle disponibilità finanziarie della società fino all’ammontare di euro 1.384.558,78 corrispondente all’imposta sul valore aggiunto complessivamente evasa negli anni di imposta 2017-2021 o, in subordine, dei beni mobili ed immobili in disponibilità della COGNOME e del COGNOME per un valore equivalente a detto profitto.
1.1.Con il primo motivo deduce l’omessa motivazione in ordine alla natura fittizia del rapporto intercorrente tra RAGIONE_SOCIALE, destinataria delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e quest’ultima società, mancando lamenta il ricorrente – un confronto con quanto argomentato dal giudice per le indagini preliminari in ordine alla inesistenza soggettiva delle prestazioni fatturate da RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima indicate nelle dichiarazioni presentate ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
1.2.Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 1, comma 1, lett. a), e 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per aver il Tribunale del riesame escluso che il corrispettivo dell’appalto commisurato al costo orario di ciascun lavoratore costituisse elemento indiziario della fittizia interposizione di manodopera. Secondo il Tribunale si tratterebbe di metodo di determinazione del corrispettivo lecitamente mutuata dai criteri tariffari di riferimento stabiliti per i servizi di facchinaggio. Tale ragionamento, lamenta, è illogico perché oggetto della contestazione non è la reale effettuazione delle prestazioni bensì la loro riferibilità a soggetto giuridico diverso dall’emittente la fattura.
1.3.Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, sotto il profilo della motivazione apparente, avendo il Tribunale del riesame escluso la sussistenza del fumus boni iuris in base alle sole dichiarazioni di COGNOME NOME, presidente dell’associazione datoriale RAGIONE_SOCIALE, e di COGNOME NOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, omettendo di evidenziare, nel riportare le dichiarazioni di quest’ultimo, che le spese di noleggio dei macchinari venivano riaddebitate in fattura ai committenti, come emerge dai documenti contabili, e non considerando i plurimi indicatori della natura fittizia delle prestazioni costituiti da documentazione contabile ed extra-contabile, dalle sommarie informazioni rese de decine di lavoratori e dagli scambi di mail.
2.Con articolata memoria a firma congiunta, i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per il primo, Avv. NOME COGNOME per la seconda, hanno chiesto il rigetto del ricorso.
3.Con ulteriore memoria del 27 novembre 2024, i medesimi difensori hanno replicato alla richiesta del PG di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato insistendo con la richiesta di rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
2.0sserva il Collegio:
2.1.oggetto del decreto di sequestro preventivo è il profitto complessivo dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 commessi negli anni 2018-2022 (in relazione agli anni di imposta 2017-2021) ascritti alla COGNOME ed al COGNOME nella rispettiva qualità di amministratrice di fatto, la prima, e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, il secondo;
2.2.si ipotizza, in particolare, che RAGIONE_SOCIALE avesse fraudolentemente interposto RAGIONE_SOCIALE per mascherare attività di somministrazione di manodopera in violazione del d.lgs. n. 276 del 2003; si tratterebbe, in tesi accusatoria, di una fittizia duplicazione del soggetto di imposta funzionale a frapporre uno schermo fittizio fraudolento di appalti in realtà (e di fatto) stipulati da RAGIONE_SOCIALE con conseguente inesistenza delle prestazioni fatturate nei suoi confronti da RAGIONE_SOCIALE, società, quest’ultima, costituita al solo fine di violare il divieto di rinnovi di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati da RAGIONE_SOCIALE;
2.3.ulteriore argomento a sostegno della inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate è costituito dalla natura simulata dei contratti di appalto stipulati da RAGIONE_SOCIALE (per la cui esecuzione veniva impiegato personale alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE); si afferma, cioè, che i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE operassero sotto le direttive delle imprese appaltanti (grossisti-committenti), che il corrispettivo fosse commisurato al costo orario di ogni singola unità lavorativa aumentato del margine necessario a coprire eventuali accidenti e spese (malattie e assenze, per esempio), che non vi fosse un obbligo di risultato o di realizzazione dei servizi;
2.4.di conseguenza, le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE hanno generato in favore di quest’ultima importi non
detraibili dall’imposta sul valore aggiunto, così consentendo un’evasione dell’IVA nei termini indicati al § 1 del “Ritenuto in fatto”;
2.5.a sostegno della propria decisione, il Tribunale del riesame, alla luce degli elementi prodotti dai difensori, ha escluso, in primo luogo, e quantomeno a livello indiziario, l’inesistenza oggettiva della prestazioni fatturate da RAGIONE_SOCIALE ed ha anzi sostenuto la reale fornitura, ad opera di quest’ultima, dei servizi di facchinaggio in favore dei committenti/grossisti operanti presso il Mercato agroalimentare di Padova (MAAP), servizi oggetto dei contratti di appalto stipulati da questi ultimi con RAGIONE_SOCIALE quale mandataria ed interlocutrice negoziale verso l’esterno dell’ATI costituita con la mandante RAGIONE_SOCIALE ed in rappresentanza di quest’ultima;
2.6.il Tribunale ha altresì escluso la inesistenza soggettiva delle prestazioni fatturate sul rilievo che: a) si tratta di appalti di servizi e non di opera con conseguente inesistenza di un obbligo di risultato; b) i corrispettivi sono stati determinati mutuando i relativi criteri tariffari (il costo orario di ciascun lavoratore) da quelli stabiliti per i servizi di facchinaggio dall’organismo di controllo dell’Autorità di sorveglianza del settore, ossia l’Ispettorato territoriale del lavoro; c) le direttive fornite dai committenti/grossisti/appaltanti al personale impiegato per l’esecuzione dei contratti di appalto si limitavano a indicazioni sul posizionamento della merce, alla sua esposizione, alla pesatura, indicazioni non demandabili per forza di cose all’appaltatore, in linea, peraltro, con le modalità tipiche di esecuzione dei contratti di appalto aventi ad oggetto servizi di facchinaggio nei mercati all’ingrosso; d) RAGIONE_SOCIALE aveva dato prova del suo potere datoriale documentando l’invio di lettere di richiamo disciplinare ai propri dipendenti in relazione al mancato uso di DPI e alle assenza ingiustificate; e) solo una parte dei beni di proprietà delle imprese committenti venivano utilizzati per l’esecuzione dei contratti di appalto, essendo stato per converso documentato il noleggio di altri mezzi strumentali; f) RAGIONE_SOCIALE sopportava costi di locazione pari ad euro 11.000 l’anno per dotarsi di locali da adibire a proprio recapito in situ; g) VIVA pagata da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE è stata interamente dichiarata e versata da RAGIONE_SOCIALE; allo stesso modo, VIVA pagata dai committenti è stata dichiarata e versata da RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.Tanto premesso, ricorda il Collegio che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge.
3.1.Come reiteratamente affermato dalla Corte di cassazione, «in tema di riesame delle misure caute/ari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma
1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice» (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710 – 01; si vedano, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224611-01, e, in motivazione, Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; tra le più recenti, Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119 – 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Rv. 257007-01; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Rv. 252430-01; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129 – 01).
3.2.Motivazione assente è quella che manca fisicamente (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, n.m.; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, cit.) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Rv. 252898-01).
3.3.Motivazione apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Rv. 196361 – 01), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Rv. 197465-01; Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999, Rv. 213486-01; Sez. 1, n. 43433 dell’8/11/2005, Rv. 23327001; Sez. 3, n. 20843, del 28/04/2011, Rv. 250482-01) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del 13/03/1992, Rv. 190883-01; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, Rv. 254161 – 01) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 – 01; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Rv. 260314, secondo cui la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni in ordine al “fumus” del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto).
3.4.Anche l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 38850 del 04/12/2017, Castiglia, Rv. 273812 – 01; Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Rv. 264011; Sez. 1, n. 48253 del 12/09/2017, n.m.; Sez. 3, n. 38026 del 19/04/2017, n.m.; Sez. 3, n. 38025 del 19/04/2017, n.m.).
3.5.In tal caso è onere del ricorrente: a) allegare al ricorso l’elemento indiziario dirimente di cui eccepisce l’omesso esame; b) dare prova della sua effettiva esistenza tra gli atti trasmessi al tribunale del riesame o comunque della sua acquisizione nel corso dell’udienza camerale; c) spiegarne la natura decisiva alla luce sia della limitata cognizione del giudice del riesame (cui non può essere demandato un giudizio anticipato sulla responsabilità di chi chiede il riesame del provvedimento cautelare reale) (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 14823 del 30/11/2016, dep. 2017, Lochi, n.m., secondo cui «poiché il cd. “effetto devolutivo” del riesame deve essere inteso nel senso che il tribunale è tenuto a valutare, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, ogni aspetto relativo ai presupposti della misura cautelare (“fumus commissi delicti” e, nel sequestro preventivo,” periculum in mora”) (Sez. 3, n. 35083 del 14/04/2016, Talano, Rv. 267508), il vizio denunciabile come violazione di legge deve riguardare l’omessa motivazione su questioni decisive sottoposte al Tribunale del riesame ed evincibili dagli atti ad esso trasmessi o dalle produzioni difensive (atti, compresi quelli investigativi, la cui esistenza il ricorrente ha comunque l’onere di provare nella loro fisica collocazione tra quelli a disposizione del Tribunale e allegare al ricorso)»).
3.6.Nel caso di specie, pur a fronte di una motivazione oggettivamente esistente e tutt’altro che apparente che indica le ragioni di fatto (prima ancora che di diritto) della oggettiva esistenza delle fatture e della loro riferibilità alla società che le aveva emesse, coglie nel segno il terzo motivo (in esso assorbiti i primi due).
3.7.Premesso che il Pubblico ministero ha assolto al proprio onere allegando, in particolare, la richiesta di sequestro preventivo ed il relativo decreto, va sottolineato che nella valutazione del “fumus commissi delicti”, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa (così, da ultimo, Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677). Ciò, tuttavia, non legittima l’ampliamento dei motivi di ricorso ai casi non consentiti dall’art. 625, cod. proc. pen. Il ricorso per cassazione proposto avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen. non può mai trasmodare nella critica del modo con cui il Tribunale ha valutato gli indizi di reato perché, in questo modo, il vizio realmente eccepito riguarda la motivazione, non la sua fisica esistenza o la sua palese irrazionalità.
3.8.È noto che ai fini della adozione del sequestro preventivo sono sufficienti gli indizi di reato, indipendentemente dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale (Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257383; Sez. 6, n. 10618 del 23/02/2010, COGNOME, Rv. 246415; Sez. 1, n. 15298 del 04/04/2006, COGNOME, Rv. 234212).
3.9.0rbene, il fatto indiziante è di per sé normalmente significativo di una pluralità di fatti non noti, per cui in tal caso si può pervenire al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi solo applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. (così Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230). Ma tale operazione comporta la trasformazione dell’indizio in prova e comporta una regola di giudizio diversa da quella richiesta in sede cautelare reale. Poiché infatti l’indizio ha valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – del reato per il quale è stato adottato il sequestro preventivo, quello di segno contrario deve essere di natura tale da privare l’indizio accusatorio, con immediata evidenza, persino di tale portata possibilistica, così che si possa giungere alla conclusione che il sequestro è stato adottato in assenza, appunto, di indizi. Non è perciò coerente con il tipo di giudizio tipico della fase cautelare reale opporre all’indizio accusatorio uno uguale e di segno contrario che comunque non priva il primo della sua astratta attitudine a ricondurre il fatto nell’ambito della fattispecie di reato ipotizzata.
3.10.In altri termini, la possibile spiegazione alternativa del fatto indiziante non vale ad escludere, in sede cautelare reale, la sussistenza dell’indizio stesso, sicché solo nel caso in cui la configurabilità del reato appaia manifestamente impossibile il giudice del riesame è tenuto a revocare la misura (Sez. 2, n. 1148 del 25/02/1994, COGNOME, Rv. 197302 – 01; Sez. 1, n. 24944 del 26/05/2004, COGNOME, non mass.; nello stesso senso, Sez. 6, n. 316 del 04/02/1993, COGNOME, Rv. 193854 – 01, secondo cui, in tema di riesame dei decreti di sequestro preventivo, non è ipotizzabile una “piena cognitio” del tribunale della libertà, cui è conferita esclusivamente la cognizione in ordine alla legittimità dell’esercizio della funzione attribuita alla misura coercitiva reale e, quindi, al perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri delle cautele reali, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, un potere riservato al giudice del procedimento principale. E ciò perché, in caso contrario, verrebbe surrettiziamente utilizzata la procedura incidentale – implicante una “cognitio piena” sulle modalità di esercizio di un potere strumentale – in un preventivo accertamento del “meritum causae”, così determinando una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di uno stesso procedimento; per di più in un sistema in cui alla potenziale conflittualità dei
“decisa” non corrisponde un criterio in grado di comporre le conseguenti inevitabili antinomie. Ma, se un tale potere non può essere attribuito al giudice del riesame – e, quindi, pure in sede di sindacato di legittimità – quando si contesti la sussistenza dei presupposti di fatto dell’imputazione per farne derivare conseguenze solo indirettamente legate alla cautela su cui in via esclusiva deve incentrarsi il controllo del giudice del procedimento incidentale, perché aventi come effettivo oggetto la procedura principale, un simile controllo non può essere sottratto a tale giudice quando l’addebito che ha determinato l’utilizzazione della cautela sia così difforme dall’ipotesi di reato astrattamente ipotizzata da incidere, deviandola, sulla stessa funzione della misura. Ne consegue che l’unico potere che sul “meritum causae” il giudice del riesame è abilitato ad esercitare si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui tale difformità sia rilevabile “ictu oculi” e da impedire alla misura di perseguire il suo fine tipico mai in grado comunque di essere realizzato, proprio per essere risultata impossibile, anche in ipotesi, ed indipendentemente dalla natura “rebus sic stantibus” della verifica, quanto addebitato all’inquisito. Di conseguenza, solo nel caso in cui la configurabilità del reato appaia manifestamente impossibile il giudice del riesame è tenuto a revocare la misura).
3.11.Più recentemente, si è ribadito che il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari che è di delibazione non piena, ancorato alla verifica delle condizioni dì legittimità della misura cautelare reale, da parte del Tribunale del riesame, che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo della congruità degli elementi rappresentati con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 267007; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Privitera, Rv. 263053; Sez. 5, n. 24589 del 18/04/2011 COGNOME, Rv. 250397). Diversamente, si finirebbe con lo utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr. Sez. 6, n. 316 del 04/02/1993, COGNOME, Rv. 193854; Sez. 3, 14/10/1994, COGNOME, non massimata sul punto; Sez.3, n. 1970 del 26/04/1996, COGNOME, non massimata sul punto) (Sez. 3, n. 18216 del 14/02/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 16883 del
•
22/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 14639 del 14/02/2024, RAGIONE_SOCIALE, non mass; Sez. 3, n. 47910 del 10/10/2023, COGNOME, non mass.).
3.12.11 Tribunale non fa buon governo di questi principi perché, pur dando espressamente atto delle deduzioni difensive che a suo giudizio escludono, a livello indiziario, la sussistenza del reato, non dà però conto degli elementi di prova, dichiarativi e documentali, indicati dal Gip a sostegno della conclusione contraria, né spiega in che modo le produzioni difensive escludono in radice la sussistenza indiziaria dei reati quantomeno nei termini sopra spiegati.
3.13.1n quest’ottica, nemmeno l’effettivo pagamento dell’IVA è, in questa fase del procedimento, argomento decisivo, tale da neutralizzare di per sé la portata indiziante dei fatti indicati dal GIP (e richiamati dal PM) a sostegno della inesistenza delle prestazioni oggetto delle fatture indicate nelle dichiarazioni.
3.13.1.La questione non riguarda la astratta possibilità, da parte del committente, di detrarre VIVA effettivamente pagata per le prestazioni (anche solo soggettivamente inesistenti) erogate nei suoi confronti e regolarmente dichiarata e assolta anche dall’emittente la fattura, bensì il modo con cui questa vicenda si inserisce nel complesso quadro indiziario e nei rapporti tra la società emittente e quella utilizzatrice le fatture, non senza considerare che tale aspetto riguarda, semmai, non tanto l’astratta sussistenza materiale del reato (sotto il profilo della esistenza o meno delle prestazioni), quanto, piuttosto, del dolo specifico di evasione il quale, come noto, può essere escluso in sede cautelare reale solo se la sua mancanza emerga ictu ()culi (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276015 – 01; Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 266896 – 01; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 259337 – 01; Sez. 2, n. 2808 del 02/10/2008, COGNOME, Rv. 242650 – 01; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, COGNOME NOME, Rv. 240521 – 01).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Treviso competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 03/12/2024.