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Sequestro preventivo cannabis: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imprenditrice agricola contro il sequestro preventivo di cannabis light. La sentenza chiarisce che, in sede di legittimità, non si può contestare l’illogicità della motivazione del giudice del riesame, ma solo la violazione di legge, come una motivazione assente o meramente apparente. Viene ribadito che la vendita di derivati della canapa, anche a basso THC, può configurare reato se non destinata a usi industriali consentiti.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Cannabis: La Cassazione e i Limiti del Ricorso

Il tema della commercializzazione della cosiddetta “cannabis light” continua a essere al centro di dibattiti giurisprudenziali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione di un sequestro preventivo cannabis. Il caso riguarda un’imprenditrice agricola il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile, consolidando principi procedurali cruciali per gli operatori del settore.

I Fatti del Caso: La Coltivazione di Canapa e il Sequestro

La vicenda ha origine dal sequestro preventivo di infiorescenze di canapa commercializzate da un’azienda agricola individuale. L’imprenditrice, indagata per la violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990), si era vista confermare parzialmente il sequestro dal Tribunale del riesame. Secondo l’accusa, la titolare aveva messo in commercio cannabis in violazione della legge 142/2016, che disciplina la filiera della canapa industriale.

Il Ricorso in Cassazione: Fumus Boni Iuris e Periculum in Mora

L’imprenditrice ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando vizi di motivazione sotto un duplice profilo:
1. Fumus boni iuris: Secondo la difesa, i giudici avevano fondato la loro decisione esclusivamente sulla consulenza del Pubblico Ministero, ignorando le conclusioni opposte della consulenza di parte e della relazione dell’Agenzia delle Dogane. Entrambe escludevano effetti psicoattivi nella sostanza sequestrata, con un valore di THC inferiore all’1%.
2. Periculum in mora: La difesa contestava la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, evidenziando la buona fede dell’imprenditrice, il suo stato di incensurata e il costante rispetto delle autorizzazioni amministrative.

La Decisione della Cassazione sul sequestro preventivo cannabis

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto processuale penale: il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo è consentito solo per violazione di legge, e non per vizi di motivazione come l’illogicità manifesta.

I giudici hanno specificato che si ha violazione di legge solo quando la motivazione è del tutto assente o meramente apparente, cioè quando non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione intellegibile, rendendo il ricorso inammissibile su questo punto.

Le Motivazioni: Sequestro Preventivo e i Limiti del Controllo di Legittimità

La Corte ha ribadito che, in materia di sequestro preventivo cannabis, lo standard richiesto è il cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero la semplice esistenza di indizi di un reato. Questo standard è meno rigoroso rispetto ai “gravi indizi di colpevolezza” necessari per l’applicazione di misure cautelari personali. È sufficiente che la situazione concreta possa essere ricondotta a una fattispecie di reato.

Nel merito, la Cassazione ha richiamato la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite “Castignani” (n. 30475/2019), secondo cui la commercializzazione di derivati della coltivazione di cannabis sativa L., anche se a basso contenuto di THC, integra il reato previsto dalla legge sugli stupefacenti, salvo che si tratti di prodotti (come fibre o semi) destinati a usi industriali tassativamente previsti dalla normativa. La mancata valutazione delle consulenze tecniche favorevoli alla difesa è stata considerata irrilevante, in quanto la scelta tra diverse fonti di prova rientra nella valutazione di merito del giudice e non configura una violazione di legge. Anche la motivazione sul periculum in mora è stata ritenuta adeguata e non meramente assertiva.

Le Conclusioni: Implicazioni per gli Operatori del Settore

Questa sentenza conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di cannabis light e stabilisce chiare barriere processuali. L’insegnamento pratico è che contestare un sequestro preventivo in Cassazione basandosi su una presunta illogicità della motivazione del giudice di merito è una strada destinata all’insuccesso. Per avere speranze di accoglimento, il ricorso deve dimostrare una palese violazione di legge, come l’assenza totale di motivazione. Per gli imprenditori del settore, ciò significa che il rischio di subire un sequestro, anche operando in apparente conformità con le norme amministrative, rimane concreto, e le possibilità di ottenerne la revoca in sede di legittimità sono strettamente limitate.

È possibile contestare in Cassazione un sequestro preventivo per manifesta illogicità della motivazione?
No, la sentenza chiarisce che il ricorso per cassazione contro un provvedimento di sequestro preventivo può essere proposto solo per “violazione di legge”. Un vizio di motivazione, come l’illogicità, non è un motivo valido, a meno che la motivazione sia completamente assente o meramente apparente, configurando così una violazione di legge.

Qual è lo standard di prova richiesto per disporre un sequestro preventivo?
Per il sequestro preventivo è sufficiente il “fumus commissi delicti”, ovvero la semplice parvenza di un reato. Questo standard è meno rigoroso dei “gravi indizi di colpevolezza” necessari per le misure cautelari personali e richiede solo che la fattispecie concreta possa essere ricondotta a una figura di reato.

La vendita di infiorescenze di cannabis con basso THC è legale?
La sentenza, richiamando un precedente delle Sezioni Unite (sent. “Castignani”), ribadisce che la commercializzazione dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., anche a basso contenuto di THC, può integrare un reato, a meno che non si tratti di prodotti destinati alla produzione di fibre o ad altri usi industriali consentiti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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