Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9103 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9103 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CREMONA il 16/03/1977
avverso l’ordinanza del 12/06/2024 del TRIBUNALE di BRESCIA, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
RITENUTO IN FATTO
Deve preliminarmente rilevarsi che il provvedimento impugnato in questa sede è quello del Tribunale di Brescia, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, che il 9 luglio 2024 ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia nei confronti di COGNOME il 20 maggio 2024.
Il 23 aprile 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia aveva emesso un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale, eseguita il 2 maggio 2024, nei confronti del ricorrente con riguardo ai reati di cui ai capi
di imputazione 1), 48), 49), 50), 51), 53, relativi alla violazione degli artt. 416, 110, 322, 56, 629, 479 e 319 cod. pen.
In particolare, all’imputato, titolare di una scuola di guida, veniva contestato di aver fatto conseguire a numerosi candidati, in cambio della corresponsione di denaro contante, il certificato di qualificazione del conducente, senza che gli stessi avessero realmente frequentato il corso, così facendo ottenere loro false certificazioni di partecipazione, e di aver predisposto la strumentazione necessaria per il superamento dell’esame teorico per il rilascio della patente di guida, il tutto nell’ambito di un articolato e collaudato meccanismo associativo.
Con il citato provvedimento del 20 maggio 2024 il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero, aveva convertito in sequestro preventivo il sequestro probatorio disposto sulla somma di euro 1.096.090,00 in contanti e di euro 21.590,00 in assegni, operato nei confronti del COGNOME in occasione dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare del 2 maggio 2024, richiamando, quanto al fumus commissi delicti, l’ordinanza cautelare personale del 23 aprile 2024 con riguardo alla gravità indiziaria per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione dei reati di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 475/1925, disponendo il sequestro delle somme rinvenute in quanto profitto dei reati e osservando, in relazione a tale ultima statuizione, che, considerato che si procedeva anche per il reato di corruzione e che in caso di condanna avrebbe dovuto trovare applicazione la confisca per sproporzione ex art, 240-bis cod. pen., il sequestro doveva essere disposto anche ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen.
Il Tribunale, con l’ordinanza del 9 luglio 2024, in questa sede censurata, ha confermato il sequestro ritenendo il fumus commissi delicti con riguardo al reato di cui al capo 52, contestato in termini di autoria mediata (l’indagato avrebbe ingannato la fiducia riposta dalla pubblica amministrazione nell’attività svolta), e con riguardo ai reati di cui ai capi 49) e 50), sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali in atti.
Con riferimento ai delitti integranti la qualifica di pubblico ufficiale in capo al ricorrente (capi 51 e 53) il Tribunale ha osservato che il fatto contestato al capo 51) doveva essere ricondotto nella fattispecie dell’autoria mediata, analogamente a quanto già operato dal Pubblico Ministero in relazione al capo 52); ha ritenuto che la condotta di falsificazione del COGNOME era risultata idonea a indurre in errore la pubblica amministrazione, atteso che l’attestato di superamenti dei corsi (rilasciato dopo aver falsificato il registro delle firme di
presenza e organizzato corsi fittizi) veniva inserito all’interno della procedura amministrativa prevista dalla M.T.C.T. territoriale e dalla regione di appartenenza del candidato; ha ritenuto, invece, insussistente il requisito del fumus commissi delicti con riguardo al reato di cui al capo 53), con la conseguenza che il “reato spia” legittimante il sequestro e la conseguente confisca per sproporzione doveva essere individuato nel delitto di istigazione alla corruzione di cui al capo 48).
Avverso detto provvedimento ha presentato ricorso il COGNOME articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo ha dedotto carenza di motivazione con riguardo alle deduzioni difensive, con conseguente non corretta valutazione del compendio indiziario con riguardo al reato associativo.
Ha assunto, in particolare, la mancanza di un programma criminoso e di una struttura organizzativa e ha contestato la valutazione degli elementi probatori in relazione ai reati di cui ai capi da 2) a 33).
Quanto ai reati di cui ai capi 51) e 52) ha dedotto che gli stessi erano stati contestati in termini di autoria mediata nonostante l’assenza di elementi da cui desumere che l’autore mediato avesse agito con l’intenzione di indurre in errore altri soggetti al fine di far loro commettere un reato, situazione che nella specie doveva essere esclusa in ragione del rapporto tra l’asserita condotta di falsificazione, semmai compiuta nell’interesse e a vantaggio del singolo corsista, e l’attività di valutazione finale demandata alla pubblica amministrazione, successiva e solo eventuale, poiché possibile solo nel casi di effettiva presentazione del candidato all’esame di teoria.
Ha osservato, ancora sul punto, che l’attività compiuta dal privato titolare dell’autoscuola rappresentava solo uno dei requisiti per il conseguimento di una particolare abilitazione alla guida, la cui concessione rimaneva comunque ancorata a una valutazione di esclusiva pertinenza della pubblica amministrazione (come previsto dall’art. 19, comma quarto, del d. Igs. n. 286/2005), e dunque sotto il diretto controllo della medesima.
Con il secondo motivo ha evidenziato che la confisca per sproporzione era stata ancorata al reato di istigazione alla corruzione di cui al capo 48) e in proposito ha dedotto che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, le guardie giurate, ancorché in servizio presso la pubblica amministrazione, svolgevano esclusivamente compiti di tutela delle entità patrimoniali affidate alla loro sorveglianza, e non potevano, pertanto, assumere
la qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio se intervenivano fuori dalle loro attribuzioni istituzionali.
Ha ritenuto, pertanto, che dagli atti emergessero elementi che consentivano di escludere che la guardia giurata, in quel momento e rispetto a quella richiesta avanzata dal correo COGNOME, potesse rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
Ha assunto, inoltre, che il Tribunale aveva errato nel ritenere, senza alcuna motivazione, provata la partecipazione del COGNOME all’episodio, non essendovi prova del fatto che quest’ultimo conoscesse le intenzioni del COGNOME, e non essendovi nemmeno prova del fatto che il COGNOME avesse preso materialmente parte all’ipotizzato tentativo di corruzione, essendo rimasto, il ricorrente, sempre in disparte, fuori dall’edificio dove il detto tentativo sarebbe stato consumato; né poteva essere configurato, nel caso di specie, un concorso morale, così che non era dato comprendere in che cosa fosse consistito il contributo punibile fornito nell’occasione dal COGNOME.
Ha lamentato, poi, la mancata risposta del Tribunale alle argomentazioni difensive concernenti la ritenuta sproporzione tra i beni in sequestro e i redditi del ricorrente, osservando inoltre che, anche a ipotizzare la responsabilità del COGNOME per i fatti ascrittigli, esclusa la ricorrenza delle ipotesi corruttive l’importo sottoponibile a vincolo sarebbe stato comunque inferiore rispetto a quello sottoposto alla misura cautelare reale.
Ha, ancora, dedotto che il venire meno delle ipotesi di reato di cui agli artt. 319 e 322 cod. pen. rendeva illegittimo il sequestro disposto ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., che consentiva il sequestro di disponibilità sproporzionate rispetto al reddito prodotto, e che neppure potevano residuare elementi per mantenere il vincolo ai sensi dell’art. 240 cod. pen., considerato che, come più volte affermato dalla giurisprudenza, tale disposizione richiedeva comunque la prova della pertinenzialità tra la somma sequestrata e il reato commesso.
Deduceva, in conclusione, il vizio di motivazione apparente con riguardo alle deduzioni difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, con il quale la difesa deduce fra l’altro la carenza di motivazione in relazione al fumus del reato di cui all’art. 322, contestato al capo 48), è fondato, rimanendo assorbito l’ulteriore motivo di ricorso.
Si deve premettere che, in materia di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. contro le ordinanze di riesame e ammesso esclusivamente il ricorso per cassazione per violazione di legge.
Nella specie si verte in tema di sequestro finalizzato alla confisca cd. estesa, ex art. 240-bis cod. pen.
La condanna per uno dei cd. reati spia (elencati al comma 1 dell’art. 240-bis cod. pen.) è uno dei presupposti di applicabilità della confisca estesa di cui all’art. 240 bis cod. pen. (fra le tante Sez. 1, n. 8783 del 08/11/2022, COGNOME, Rv. 284378 – 01), che presuppone, infatti, unicamente che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, se questi sia stato dichiarato colpevole di uno dei cc.dd. “reati spia” tassativamente indicati, e che detti beni presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest’ultimo dichiarato ovvero all’attività economica dal medesimo esercitata (Sez. 1, n. 13242 del 10/11/2020, dep. 2021, Fortuna, Rv. 280986 – 01; Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, Aprovitola, Rv. 282687 – 01).
Nella specie, come evidenziato anche dal Tribunale per il riesame che ha emesso il provvedimento impugnato, considerato che la Corte di Cassazione che aveva annullato una precedente ordinanza del Tribunale per il riesame avente ad oggetto i medesimi reati – aveva ritenuto insussistente il fumus commissi delicti in relazione al reato di cui all’art. 319 cod. pen., contestato al capo 53), il “reato spia”, legittimante tale tipologia di ablazione anticipata, è costituito dal delitto di istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 cod. pen., contemplato al capo 48) e contestato, in concorso, al ricorrente COGNOME e a COGNOME NOME “perché, in concorso tra loro, si recavano presso gli uffici della Motorizzazione Civile di Brescia in orario di chiusura al pubblico e COGNOME NOME (con il concorso morale di COGNOME) si rivolgeva a COGNOME NOME, all’epoca dei fatti guardia giurata preposta anche al controllo dell’ingresso in aula di candidati all’esame di teoria per il conseguimento della patente di guida mediante metal detector, e, dietro promessa di un “regalo”, gli chiedeva di evitare un controllo ad un suo amico, NOME NOME (iscritto presso l’autoscuola “Nuova Verola” di Locatelli), candidato all’esame del 22 aprile 2021, e dunque di omettere un atto del suo ufficio, ovvero, in alternativa, di allontanarlo laddove la guardia giurata avesse rilevato la presenza di apparecchiature elettroniche non consentite (e dunque a compiere un atto contrario ai suoi doveri) offerta formalmente ed immediatamente rifiutata dall’incaricato di pubblico servizio”.
In relazione a tale reato la difesa, con il motivo in trattazione, ha dedotto il vizio di mancanza di motivazione in merito alla partecipazione del COGNOME all’episodio delittuoso in parola, evidenziando che il ricorrente “non ha preso materialmente parte all’ipotizzato tentativo di corruzione ed è sempre rimasto in disparte fuori dall’edificio dove detto tentativo si sarebbe consumato” (v. pag. 53 del ricorso per cassazione), osservando che “la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale” (id.) ed ulteriormente osservando che il giudice del riesame aveva omesso di motivare in merito alle dette argomentazioni difensive, e in particolare in merito alla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si fosse manifestata, in rapporto di causalità efficiente con l’attività posta in esser dall’altro concorrente.
Osserva il Collegio, che in relazione al fumus commissi delicti del detto “reato spia”, il Tribunale per il riesame ha ritenuto di motivare esclusivamente con un richiamo alle “valutazioni già espresse in occasione dell’ordinanza del 7 novembre 2023, avente ad oggetto i medesimi presupposti applicativi (con la sola differenza che la somma di denaro contante oggetto dell’odierno vincolo reale, appresa nel corso della perquisizione eseguita il 2 maggio 2024, ammonta ad un importo lievemente inferiore)” (v. pag. 5 dell’ordinanza impugnata), omettendo dunque qualsivoglia considerazione in merito agli elementi in forza dei quali poter ritenere il fumus della condotta contestata al COGNOME al capo 48), in tal modo incorrendo nel vizio di mancanza assoluta di motivazione in relazione alla sussistenza del “reato spia”, che, come sopra evidenziato, costituisce uno dei presupposti di applicabilità della confisca estesa di cui all’art. 240 bis cod. pen., vizio di mancanza assoluta di motivazione che rientra nella nozione di violazione di legge, e pertanto è consentito in tema di impugnazione di misure cautelari reali (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, COGNOME, Rv. 285189 – 01, secondo cui, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, rientrano nella nozione di violazione di legge, per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione ex art. 325, comma 1, cod. proc. pen., anche l’assoluta mancanza di motivazione e la motivazione apparente, sicché il tribunale del riesame, a fronte di specifiche censure mosse dal ricorrente in ordine al “fumus commissi delicti”, è tenuto, nei limiti del giudizio cautelare, a fornire adeguata motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il
ricorso, incorrendo, in caso contrario, nella denunciata “violazione di legge”, cui consegue l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza).
Il ritenuto vizio di violazione di legge, sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione, impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia, competente ai sensi dell’art 324, comma 5, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Così deciso il 07/11/2024