Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27741 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27741 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Campobasso il 10/10/1951; avverso l’ordinanza del 27/01/2025 del Tribunale di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con , rinvio della ordinanza impugnata relativamente alle annualità 2016/2020 e senza rinvio relativamente all’annualità 2014, con rigetto del motivo di ricorso relativo alla determinazione delle soglie di punibilità; uditi gli avvocati NOME COGNOME del foro di Bologna, e NOME COGNOME del foro di Bari, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso, con l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata relativamente ai primi due motivi di ricorso e con l’annullamento con rinvio per il terzo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 gennaio 2025, il Tribunale di Bari ha rigettato l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 14/07/2024 che ha rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto nei suoi confronti con decreto del 23/02/2022.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo dei difensori di fiducia, propone ricorso per cassazione, articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., lamenta violazione degli artt. 12-bis, commi 1 e 2, e 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui il provvedimento impugnato ha escluso di dover ridurre il sequestro nonostante l’avvenuta estinzione del debito tributario per gli anni 20162020 e l’acquisizione degli atti attestanti l’accertamento con adesione.
La difesa deduce che, a fronte della somma di euro 2.708.555,03 mantenuta in sequestro dal Tribunale del riesame di Bari in relazione alla violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 per periodi di imposta dal 2014 al 2020, il debito tributario relativo agli anni di imposta dal 2016 al 2020 era stato quantificato dall’Agenzia delle entrate, in sede di accertamento con adesione, in complessivi euro 1.576.440,76, già corrisposti dal ricorrente, previo dissequestro e restituzione delle somme corrispondenti, così residuando in sequestro la somma di euro 1.132.114,27.
Pertanto, sul presupposto che l’ablazione definitiva di un bene non può essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa, la difesa sostiene che il sequestro preventivo debba essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati, poiché altrimenti si verrebbe a determinare una inammissibile duplicazione sanzionatoria, avendo il Tribunale cautelare ritenuto non in essere alcun sequestro per le imposte relative alle annualità 2016-2020 e ritenuto comunque di mantenere, per le annualità 2014-2015, il sequestro di tutta la somma ancora sottoposta a vincolo, chiaramente e sproporzionatamente superiore all’imposta evasa per quegli anni, quantificata in complessivi euro 279.947,00.
Lamenta, conseguentemente, la violazione dell’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, a prescindere dal fumus, per le annualità dal 2016 al 2020, non sussiste più il periculum, essendosi estinto il debito tributario.
Ma lamenta, altresì, la violazione dell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, dal momento che, avendo il legislatore previsto la mancanza di pericolo concreto di dispersione della garanzia patrimoniale, quando il debito tributario è
in corso di estinzione, a fortiori non potrà farsi luogo ad alcun sequestro quando il debito sia già compiutamente estinto.
Lamenta, infine, la difesa la violazione dell’art. 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, perché gli atti di accertamento con adesione, già acquisiti agli atti del procedimento, costituiscono prova nel processo penale e impediscono al giudicante di individuare un profitto superiore.
2.2 Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., lamenta violazione dell’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, nonché degli artt. 2 cod. pen., 25 Cost., 7 par. 1 CEDU, nella parte in cui, a fronte di un’imposta evasa di euro 100.242,00 per l’annualità 2014, viene mantenuto il sequestro ravvisando il fumus del reato, nonostante la soglia per la rilevanza penale fosse stata innalzata ad euro 150.000,00 dal d.lgs. n. 158 del 2015; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., nullità ai sen dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per omessa motivazione dell’ordinanza in ordine ai motivi devoluti con appello, alle pag. 24 e ss. riferibili all’annualità 2014.
Deduce la difesa che, fino al 2015, la soglia di punibilità del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 era fissata in euro 50.000,00, elevata ad euro 150.000,00 dal d.lgs. n. 158 del 2015, e nuovamente abbassata ad euro 100.000,00 dal dl. n. 124 del 2019, per cui, dovendosi applicare tra tutte le norme che si sono avvicendate successivamente alla commissione del fatto quella più favorevole, vale a dire quella con la soglia di punibilità più alta, non poteva ravvisarsi, per la violazione contestata relativa all’anno di imposta 2014, il fumus del reato, essendo detta violazione sotto soglia a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015.
2.3 Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., lamenta violazione degli artt. 4, comma 1, lett. a), e 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché dell’art. 3 Cost., nella parte in cui il Tribunale non ha utilizzato, per le annualità 2014-2015, i parametri utilizzati dall’Agenzia delle entrate per gli anni 2016-2020, applicando i quali l’imposta evasa sarebbe risultata inferiore alla soglia di punibilità.
Lamenta la difesa che, essendo intervenuto un accertamento dell’Agenzia delle entrate che ha condotto alla estinzione del debito tributario per gli anni 20162020, l’accertamento di una maggiore imposta per quegli stessi anni in sede penale non avrebbe alcuna ragione d’essere, per cui si verrebbe a determinare una situazione processuale nella quale per gli anni 2016-2020 verrebbero utilizzati determinati parametri valutativi e, per gli anni 2014-2015, sarebbero adottati criteri divergenti, con violazione dei canoni di logicità, razionalità e coerenza nel trattamento dei consociati che impongono di trattare situazioni eguali in maniera analoga e situazioni diverse in maniera difforme.
3. E’ pervenuta memoria dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale, in riferimento al primo motivo di ricorso, si ribadisce che la valutazione effettuata dal Tribunale di Bari si pone in frontale contrasto con l’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, il quale prevede che il sequestro dei beni finalizzato alla confisca non è dispgsto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, con l’unica deroga del concreto pericolo di inadempimento del contribuente, non essendo prevista, tra le ipotesi derogatorie, l’eventuale indicazione di un maggior profitto di evasione da parte del pubblico ministero. Nel caso di specie, si evidenzia inoltre, che la pretesa tributaria è stata integralmente soddisfatta e non residuano crediti esigibili in capo all’Agenzia delle entrate. Richiama, sul punto, giurisprudenza di legittimità, di cui non ha tenuto conto l’ordinanza impugnata, in base alla quale, una volta intervenuto l’integrale adempimento dell’obbligazione tributaria, non vi sarebbe più spazio per il provvedimento ablatorio, dovendosi attribuire rilevanza determinante alla quantificazione del profitto operata in via amministrativa. Del resto, le disposizioni di cui agli artt. 10-bis, comma 2, lett. a), 10-ter, lett. a), 13, comma 3-ter, 13bis, 20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000 pongono in posizione di centralità l’accordo con l’amministrazione erariale e la determinazione del debito tributario da parte di quest’ultima, mentre il Tribunale non spiega quali siano gli elementi che consentirebbero di determinare ricavi in misura superiore a quella determinata nell’accertamento con adesione e disattende irragionevolmente il contenuto della perizia disposta nel procedimento di prevenzione, essendo stata disposta una integrazione non riguardante le annualità oggetto di accertamento.
In riferimento al terzo motivo di ricorso, si ribadisce che l’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 pone una presunzione di insussistenza delle esigenze cautelari, ove integrati i presupposti richiamati dalla norma, non essendo astrattamente configurabile una confisca che ecceda l’entità del debito erariale già estinto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo ricorso è fondato.
1.1 Costituisce principio consolidato quello secondo cui, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione
definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, COGNOME, Rv. 258903; nello stesso senso Sez. 3, n. 13521 del 14/01/2025, Piacentino, non mass.; Sez. 3, n. 44519 del 17/09/2024, Recupero, Rv. 287272, in materia di transazione fiscale omologata ex art. 182-ter legge fall.; Sez. 3, n. 38908 del 19/9/2024, Peri, non mass.).
Il Tribunale cautelare non ha fatto buon governo del principio richiamato che costituisce declinazione del principio di proporzionalità, anche in ragione del fatto non contestato che il ricorrente ha definito il suo debito tributario per gli anni 2016-2020 in sede di accertamento con adesione, provvedendo al versamento della somma complessiva di euro 1.576.440,76, previo dissequestro del corrispondente importo.
1.2. Deve essere ricordato, in proposito, che, secondo un principio giurisprudenziale condiviso dal Collegio, la circostanza che il contribuente abbia interamente versato all’erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle entrate, con riguardo alle annualità 2016-2020, si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che è ritenuto essere il profitto del reato e, per l’effetto, di procedere al mantenimento del sequestro finalizzato alla confisca medesima, limitatamente ai periodi di imposta menzionati.
Il principio, affermato sotto la vigenza della precedente previsione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, interpretata nel senso che la disposizione secondo cui, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferiva alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, la conciliazione giudiziale, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016, COGNOME, Rv. 267334; Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Rv. 266037), va oggi certamente ribadito sotto il vigore della nuova previsione dell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 che ha attribuito espressa rilevanza agli accordi sul debito tributario intervenuti con l’amministrazione erariale, stabilendo che, salvo sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti.
Ed il principio è a fortiori operante laddove non di solo impegno ad adempiere alla obbligazione tributaria si tratti ma, come nel caso di specie, di effettivo
adempimento di essa, comprensivo di interessi e sanzioni (Sez. 3, n. 32282 del 20/06/2024, Maxim, Rv. 286711; Sez. 3, n. 32213 del 09/05/2018, COGNOME, non mass.).
1.3. Né può avere un significativo rilievo il fatto, che vi sia divergenza fra la quantificazione dell’imposta evasa contestata nel capo di incolpazione e ritenuta dal Tribunale sulla base delle conclusioni dei consulenti tecnici del Pubblico ministero, e l’accertamento del suo ammontare da parte dell’Erario, ossia del creditore, sia in ragione della nuova previsione del comma 2 dell’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000, attestante il favor del legislatore per le forme di definizione del profilo strettamente tributario delle vicende connesse alla violazione delle disposizioni penali di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 che consentano comunque all’Erario di conseguire il pagamento delle imposte ritenute dovute, sia in virtù del principio secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase (Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024, COGNOME, Rv. 28683; Sez. 6, n. 12084 del 26/01/2023, COGNOME, Rv. 284568), con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso, ad es., di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria (oggi Corte di giustizia tributaria), con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, COGNOME, Rv. 264789).
Non può essere perciò considerato pertinente il richiamo al principio del “doppio binario”, ossia al fatto che le determinazioni assunte dall’Agenzia delle entrate non sono vincolanti per il giudice penale; un principio del genere, infatti, trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo (Sez. 3, n. 32282 del 20/06/2024, Maxim, cit.; Sez. 3, n. 32213 del 09/05/2018, COGNOME, cit.).
1.4. In definitiva, una volta che l’adempimento è intervenuto, il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e l’esigenza di recupero delle imposte evase decade, con la conseguenza che, ferma restando la sussistenza del reato, l’esigenza di disporre la misura cautelare reale viene necessariamente meno, proprio perché l’apparato penale è calibrato sull’esigenza di recupero delle imposte evase o non dichiarate.
Ora, in relazione agli anni di imposta 2016-2020, deve ritenersi che, in conseguenza del perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, con il pagamento di quanto richiesto da parte dell’Agenzia delle entrate, viene meno la necessità di mantenere il sequestro a garanzia del credito erariale. Consegue che, essendo il sequestro stato parametrato su un importo di evasione quantificato – per quegli anni – in complessivi euro 2.708.555,03 nell’ordinanza del Tribunale cautelare di Bari del 09/06/2022 (detratta dall’importo complessivo delle imposte evase la somma di euro 241.949,11 versata in sede di dichiarazioni integrative: v. pag. 15 dell’ordinanza), così recepito nel decreto che dispone il giudizio del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del 14/12/2023, ed essendo stato versato in sede di accertamento con adesione l’importo complessivo di euro 1.576.440,76, deve essere disposto il dissequestro della somma di euro 1.132.114,27 che ancora residua in sequestro a garanzia delle imposte evase per gli anni 2016-2020.
2. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso fondato.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito, a più riprese, che, nel succedersi di più norme nel tempo, salvo che sia intervenuto giudicato, si applica la legge più favorevole anche se successivamente ne sia intervenuta altra di maggiore severità, pure se di minor rigore rispetto alla iniziale previsione, giacché, in tema di successione di leggi penali, l’applicazione retroattiva della legge più favorevole permane anche se, successivamente, la stessa venga modificata in senso meno favorevole, venendo così ripristinate le pene più severe previste da altra legge anteriore che la legge “mitior” aveva a sua volta modificato (Sez. 2, n. 35079 del 07/07/2009, Sylla, Rv. 244631; nello stesso senso, Sez. 3, n. 57107 del 17/05/2017, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 40106 del 27/09/2012, Kandji, non mass.).
Pertanto, nel caso di specie, con riferimento all’anno di imposta 2014, coglie nel segno la censura difensiva secondo la quale il reato era stato commesso prima della entrata in vigore della novella di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 che aveva elevato la soglia di punibilità da euro 50.000,00 ad euro 150.000,00, così escludendo la rilevanza penale delle evasioni d’imposta che, come quella contestata nel presente giudizio relativamente al periodo di imposta 2014, sebbene superiori alla soglia di euro 50.000,00, siano tuttavia inferiori alla soglia di euro 150.000,00, restando ininfluente l’ulteriore modifica apportata dal d.l. n. 124 del 2019 che ha nuovamente abbassato ad euro 100.000,00 la soglia di punibilità.
Anche in questo caso deve pertanto essere disposto il dissequestro della somma di euro 100.242,00, sequestrata a garanzia dell’imposta evasa per l’anno
2014, in ragione della quantificazione operata nell’ordinanza cautelare del 09/06/2022, poi riportata nel decreto che dispone il giudizio.
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Sul presupposto che l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge, e che, quindi, in sede di legittimità, non possano essere devolute censure relative al vizio di motivazione sotto il profilo della illogicità e/o contraddittorietà della motivazione, lo sviluppo argomentativo contenuto nell’ordinanza sul punto riguardante la contestazione del metodo di ricostruzione dell’imposta evasa rappresenta il frutto di una esauriente e razionale rassegna degli elementi prospettati, in questa sede non censurabile.
In coerenza con quanto affermato da questa Sezione nella sentenza n. 10384 del 23/01/2023, che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza pronunciata sulla richiesta di riesame, il Tribunale cautelare ha, infatti, affermato che la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare reale deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto, altrimenti si finirebbe con lo utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale
Del resto, occorre ricordare che l’accertamento con adesione è un accordo stipulato con l’Agenzia delle Entrate prima che venga instaurato il contenzioso e consente di ottenere, in sede tributaria, la riduzione delle sanzioni al terzo del minimo, mentre, in sede penale, il pagamento delle somme dovute prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado costituisce una circostanza attenuante e non si applicano le sanzioni accessorie.
Ora, la difesa, nel denunciare un profilo di violazione di legge, ovverosia dell’art. 20 d.lgs. n. 74 del 2000, che prevede che «gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato», sostanzialmente contesta la mancata applicazione agli anni di imposta 2014 e 2015 dei criteri metodologici di ricostruzione della base imponibile seguiti dall’Agenzia delle entrate per determinare la base imponibile degli anni di imposta 2016-2020 in sede di accertamento con adesione, senza che risulti che la stessa Amministrazione erariale abbia effettuato un simile accertamento per gli anni di imposta 2014 e 2015, fondato sugli stessi criteri utilizzati per gli anni 2016-2020, e senza che il ricorso abbia illustrato, con la
dovuta specificità, i diversi metodi seguìti e le differenze tra essi intercorrenti.
Consegue la infondatezza del motivo di ricorso.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, l’impugnata ordinanza deve essere annullata senza rinvio limitatamente al sequestro della
complessiva somma di denaro di euro 1.232.356,27 relativamente agli anni di imposta 2014, 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, conseguendone il dissequestro e la
restituzione di quanto ancora sottoposto a cautela reale per il predetto titolo agli aventi diritto. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro della somma di denaro di euro 1.232.356,27 di cui ordina il dissequestro e la
restituzione all’avente diritto. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di
competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 03/07/2025.