Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 43886 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 43886 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Cina il 09/01/1977 avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del Tribunale della Libertà di Cosenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha invocato declaratoria di inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 4 marzo 2024 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cosenza, accogliendo la richiesta del pubblico ministero del 15 febbraio 2024 con riferimento ai reati fiscali contestati agli originari capi 114 reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000- e 115 -reato di di cui all’art. 4 d.lg 74/2000- ha disposto a)il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, di beni fungibili (denaro, titoli e/o investimenti mobiliari) che rappresentano il profit dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000 fino alla concorrenza del valor complessivo di euro 309.782/90, che risultino nella disponibilità della ditta individuale di cui è titolare RAGIONE_SOCIALE, con riferimento alla data di commissione dei reati per cui è pendente il presente procedimento; ha disposto, altresì, b)qualora in fase di esecuzione di quanto sopra non fosse possibile rinvenire l’intero importo del profitto del reato sopra indicato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni, sia mobili che immobili, anche pervenuti successivamente alla commissione dei reati per cui si procede, da individuarsi in sede di esecuzione del sequestro del pubblico ministero, in possesso dell’indagato COGNOME
Con richiesta di riesame ex art. 324 cod.proc.pen. Chen, a mezzo del patrocinatore e difensore di fiducia, ha invocato la revoca del decreto di sequestro preventivo (eseguito col sequestro di euro 1.448,06 sul conto corrente presso la Banca Popolare di Bari, filiale di Cosenza, INDIRIZZOINDIRIZZO e col sequestro del ‘negozio’ con apposizione dei sigilli all’attività, avendo posto sotto sequestro la “merce ivi presente” ed in attesa di inventario per la quantificazione, per l’esecuzione del provvedimento gravato).
La difesa ha rilevato il “difetto delle condizioni legittimanti l’adozione d provvedimento, sotto il profilo delle condotte ascritte in positivo al Chen”, lamentando l’insussistenza del fumus dei reati tributari in contestazione, e rappresentando che le indagini, costituite da due filoni -uno relativo al controllo fiscale effettuato nei confronti della ditta nella titolarità dell’indagato, l concernente l’uso indebito di reddito di cittadinanza come da rubrica- avrebbero evidenziato una contraddizione quanto alla configurabilità di entrambi i reati. Secondo prospettazione difensiva, infatti, gli eventuali profitti illeciti deriva dall’uso indebito di carte RDC, non potrebbero essere presi in considerazione al fine dell’evasione fiscale (così nella ordinanza del Tribunale di Cosenza). Inoltre ha rilevato il difetto di motivazione in ordine al periculum in mora da parte del giudice per le indagini preliminari, limitatosi a sostenere che vi è il rischio che il patrimon dell’indagato, all’esito del giudizio, potrebbe rimanere incapiente.
3. Il Tribunale di Cosenza ha, nel rigettare l’istanza, dapprima illustrato i dati fattuali costituiti dagli esiti delle indagini della GdF, che hanno comprovato il superamento delle soglie di punibilità delle condotte di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000, con specifica indicazione dell’entità e della provenienza dei ricavi sottratti alla tassazione, per ciascun anno di imposta di riferimento.
Ha rammentato la consolidata giurisprudenza di legittimità in merito alla assoggettabilità a tassazione anche dei redditi di derivazione illecita.
Ha, quanto al periculum, rilevato come il provvedimento del giudice per le indagini preliminari ha dato contezza delle spregiudicate condotte del Chen relativamente ad operazioni bancarie effettuate nel periodo di riferimento per importi particolarmente rilevanti, a dimostrazione non solo delle effettive disponibilità economiche, ma, anche, della concreta possibilità di sottrazione di tali disponibilità al soddisfacimento dei crediti tributari.
Avverso l’ordinanza del tribunale per il Riesame Chen ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per cassazione, ex art. 606.1ett.b e c cod.proc.pen. per violazione e falsa applicazione, degli artt. 321 cod.proc.pen. e 240 cod.pen., nonché in relazione all’art. 493-ter cod.pen. e 4 e 5 d.lgs n. 74/2000; ex art 606, comma 1, lett e), cod.proc.pen., per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento sia al fumus che al periculum, nonché e soprattutto per la palese violazione di norme procedurali concernenti le indagini preliminari, gli esiti di queste e la instaurazione di un procedimento penale ex novo in capo al prevenuto.
Assume la difesa la illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto al materiale investigativo fondante fumus e periculum in mora.
Deduce -dalla struttura del ricorso sembrerebbe riepilogando i motivi posti a sostegno della istanza di riesame- l’esistenza di pregresse indagini a carico di Chen nell’ambito di due procedimenti penali, nn. 1448/2021 RGNR e 2573/2021 RGNR (pendenti per reati di cui agli artt. 640-bis, 493-ter, 648-bis cod.pen. 132 TUB, in concorso).
Il materiale investigativo relativo -secondo prospettazione inutilizzabile per non essere stato Chen messo nelle condizioni di difendersi in difetto di qualsivoglia notifica delle attività a suo carico- sarebbe stato ‘trasfuso’, almeno in parte, nel procedimento n. 429/2024 RGNR; effettuata una verifica fiscale a carico di NOME da parte della Guardia di Finanza nel novembre 2023, definita con verbale del 16 gennaio 2024, la quantificazione dei redditi relativi alle operazioni pos oggetto di indagine nei due più vetusti procedimenti sarebbe stata complessivamente determinata e, poi, la relativa nota/informativa della polizia giudiziaria sarebbe
stata versata agli atti del procedimento oggetto del presente ricorso; tanto premesso lamenta a) inesistenza di una “cosa pertinente al reato”: i ricavi ritenuti dalla procura e in relazione ai quali è stata disposta misura non sono dimostrati da documento alcuno; b)la contestazione di cui all’art. 493-ter cod.pen., contestata in concorso al ricorrente, per la somma di C 62.180,00 (capi 3-11) “confligge con la ricostruzione delle rubriche di cui agli artt. 4 e 5 D.Lgs. 74/2000”; c)nel procedimento 429/2024 RGNR, iscritto a carico di Chen per i reati di cui agli artt. 493-ter cod.pen. e 4 e 5 dlgs n. 74/2000, nel quale è stato proposto il ricorso in esame, non vi sono atti di indagine afferenti ad operazioni pos relative agli anni 2019 e 2020 da cui ottenere ricavi sottratti a tassazione quantificati nel decreto di sequestro; d)gli atti di cui ai procedimenti nn. 1448/2021 RGNR e 2573/2021 RGNR, sarebbero “geneticamente” inutilizzabili per non esservi mai stata “alcuna notifica di ‘garanzia’ e/o proroga di indagini” tali da consentire a Chen l’esplicazione dei suoi diritti difensivi; e)la motivazione del giudice per le indagin preliminari sul periculum peccherebbe in termini di concretezza, benchè il Tribunale di Cosenza la abbia validata.
Lamenta che il Tribunale avrebbe eluso l’onere motivazionale a)facendo appello alla sentenza Sez. 3, n. 18575/2020, che statuisce che il reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000 sussiste anche qualora l’evasione dell’imposta riguardi redditi di derivazione illecita; b) facendo appello alla sentenza Sez. 3, n. 53656/2018, che statuisce che il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 sussiste anche qualora l’evasione dell’imposta riguardi redditi di derivazione illecita; pronunce il cui decisum sarebbe inconferente rispetto alle questioni sottoposte all’esame del Tribunale.
Reitera la questione della intrinseca contraddittorietà tra le due ipotesi delittuose ascritte, art. 493-ter cod,pen. e artt. 4 e 5 d.lgs 74/2000; dell’inesistenza di accertamento in ordine ai ricavi da porre a tassazione; l’incertezza sulla imputabilità in via esclusiva o concorsuale a Chen dei reati di cui all’art. 493-ter cod.proc.pen..
Invoca, conclusivamente, l’annullamento della ordinanza impugnata.
Con requisitoria scritta la Procura generale ha, innanzi tutto, dedotto che il ricorso per cassazione nei confronti di ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile anche quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’ iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, in tal caso integrandosi la violazione dell’art. 125 c.p.p. (tra le altre, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Ha rilevato che sotto tale profilo non può dirsi che la motivazione adottata dal provvedimento impugnato con riguardo alla sussistenza del fumus e del periculum sia meramente apparente o incomprensibile.
Il Tribunale del riesame ha valutato la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, e motivato sulla sussistenza del “periculum” . Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive non hanno pregio, ponendosi al di fuori dell’ambito cognitivo, assai ristretto, previsto dall’art. 325, cod. proc. pen., che limita la ricorribilità per cassazione al solo vizio di violazione di legge.
Ha perciò invocato declaratoria di inammissibilità del ricorso con le statuizioni consequenziali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va innanzi tutto chiarito che -come premesso dallo stesso ricorrente e pacificamente riscontrabile dagli atti- il presente procedimento attiene al sequestro, diretto e per equivalente, disposto a carico di NOME COGNOME in qualità di titolare dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” sito in Cosenza al INDIRIZZO in relazione ai reati fiscali contestati agli originari capi 114 -reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000- e 115 -reato di di cui all’art d.lgs. n. 74/2000- .
Ogni questione relativa agli altri titoli di reato, e, nella specie, alle originariament contestate violazioni dell’art. 493-ter cod.pen., è, dunque, eccentrica rispetto al merito del sequestro. E, rispetto ad essa, v’è palese carenza di interesse.
Si osserva infatti che l’interesse alla proposizione della impugnazione non consiste nella mera aspirazione all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, dovendo essere rivolto a conseguire un risultato utile; in tema di impugnazioni, invero, il riconoscimento del diritto al gravame è subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un’utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso; ; (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 29643 del 05/06/2019, Rv. 276749 – 01; Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016 Rv. 269199 – 01; Sez. 5, n. 28600 del 07/04/2017 Rv. 270246 – 01).
Ciò premesso il Collegio rileva, innanzi tutto, come, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge, per questa dovendosi intendere – quanto alla motivazione della relativa ordinanza – soltanto l’inesistenza o la mera apparenza (v., ex multis, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710 – 01; Sez. 3, n. 35133
del 07/07/2023, Messina, n.m.; Sez. 3, n. 385 del 6/10/2022, COGNOME, Rv. 283916).
In tale categoria rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, ma non l’illogicità manifesta o la contraddittorietà, le quali possono essere denunciate nel giudizio di legittimità soltanto tramite il motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (ex plurimis, sez. 5, 11 gennaio 2007, n. 8434, rv. 236255; sez. 6, 21 gennaio 2009, n. 7472, rv. 242916; sez. un., 28 gennaio 2004, n. 5876, rv. 226710).
Ciò determina l’automatica inammissibilità dei profili di censura nella parte in cui si lamenta vizio di motivazione. Tanto involge ogni lagnanza, già sottoposta alla attenzione del Tribunale di Cosenza, secondo postulazione difensiva contraddittoriamente e non logicamente affrontata dal Tribunale cosentino.
Partitamente a)1′ inesistenza di una “cosa pertinente al reato” quanto ai ricavi in relazione ai quali è stata disposta misura, asseritamente non dimostrati da documento alcuno, c)l’assenza nel procedimento 429/2024 RGNR di atti di indagine afferenti ad operazioni pos relative agli anni 2019 e 2020 da cui ottenere ricavi sottratti a tassazione e quantificati nel decreto di sequestro, comunque, afferenti a quelle imputazioni che già si è detto esulare dall’ambito di cognizione di questa Corte già solo perchè postulati in relazione ad ipotesi di reato estranee a quelle per cui è stata disposta cautela reale; b)la intrinseca contraddittorietà tra le contestazioni di cui all’art. 493-ter cod.pen.,e quelle di cui agli artt. 4 e 5 D.Lgs 74/2000″, ancora una volta neppure sindacabile in questa sede per la assenza della imputazione del sequestro alle condotte di cui all’art. 493-ter cod.pen. oltre che per la pacifica configurabilità del concorso tra le due fattispecie; d)la lamentata “genetica” inutilizzabilità degli atti dei procedimenti nn. 1448/2021 RGNR e 2573/2021 RGNR, estranei al presente; e)la carente motivazione del giudice per le indagini preliminari sul periculum, che peccherebbe in termini di concretezza, benchè il Tribunale di Cosenza la abbia validata.
Quanto alle censure ulteriori, formalmente rubricate quali violazione di legge, deve, del pari, affermarsene l’inammissibilità in quanto o non si ravvisa l’interesse del ricorrente ad una decisione sul punto (negli stessi termini già sopra esplicitati) o, comunque, manifestamente infondate.
3.1. Ciò vale, innanzi tutto, per la ritenuta violazione di norme procedurali, questione manifestamente infondata.
Premesso che non si ravvisa irregolarità alcuna nella nuova iscrizione di un procedimento a carico di un soggetto sulla scorta di estrazione di atti investigativi e procedimentali eventualmente originati nell’ambito di altro procedimento
(l’evenienza di stralci di posizioni soggettive e/o oggettive in relazione a particolari tipologie di reati è tutt’altro che eccezionale e scorretta e rientra, comunque, nei poteri del pubblico ministero procedente) e fondanti la necessità di indagini ulteriori, si rileva che, per quanto è dato conoscere in questa sede, non emergono irregolarità procedimentali degne di nota, non certamente la violazione dei presidi difensivi allegati dalla difesa a sostegno della pretesa inutilizzabilità delle risultanze di indagine .
3.2. Reitera la difesa la questione della intrinseca contraddittorietà tra le due ipotesi delittuose ascritte, art. 493-ter cod,pen. e artt. 4 e 5 d.lgs 74/2000, sostanzialmente rivendicando l’impossibile configurazione dei reati fiscali in ordine a proventi in ipotesi illeciti.
Si ribadisce, in primis, come già argomentato, che la prima contestazione è estranea alla contestazione per cui il sequestro è stato disposto.
In ogni caso conferma questo collegio quanto già reiteratamente affermato da questa Corte, da ultimo con Sez. 3, n. 18575 del 14/02/2020 Rv. 279500 – 01, secondo cui « Il reato di dichiarazione infedele dei redditi ai fini Irpef di cui all’a 4 d.lgs. n. 74 del 2000 sussiste anche qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, salvo che i relativi proventi siano stati assoggettati sequestro o confisca penale nello stesso periodo di imposta in cui si è verificato il presupposto impositivo, dal momento che solo in tale ipotesi i provvedimenti ablatori determinano, in relazione al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., una riduzione del reddito imponibile» e, precedentemente, N. 53656 del 2018 Rv. 275452 – 01, N. 7411 del 2010 Rv. 246095 – 01, N. 7713 del 1997 Rv. 209151 – 01. Del pari, Sez. 3, n. 53656 del 03/10/2018 Rv. 275452 01, ha affermato il principio «E’ manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e 36, comma 34-bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, nella parte in cui queste disposizioni prevedono, al fine di non commettere il reato di omessa presentazione della dichiarazione di redditi, l’obbligo di presentare la dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, ancorchè riguardi redditi provenienti da attività illecita, in quanto i principio del “nemo tenetur se detegere” opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già avviato e deve ritenersi recessivo rispetto all’obbligo di concorrere alle spese pubbliche previsto dall’art. 53 Cost.», ribadendo il decisum di N. 53656 del 2018 Rv. 275452 – 01, N. 7411 del 2010 Rv. 246095 – 01, N. 7713 del 1997 Rv. 209151 – 01.
Anche in parte qua il motivo è inammissibile.
3.3. Quanto alle censure in tema di inesistenza di accertamento in ordine ai ricavi da porre a tassazione, e incertezza sulla imputabilità in via esclusiva o concorsuale
a Chen dei reati di cui all’art. 493-ter cod.proc.pen., non può che rammentarsi quanto già rilevato in ordine alla eccentricità delle questioni rispetto a quanto posto a base della disposta misura ablativa.
Per completezza argomentativa si rileva che il Tribunale del riesame ha valutato la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato e tale motivazione deve essere letta unitamente all’ordinanza genetica che aveva puntualmente argomentato la sussistenza di tale requisito. Il Tribunale del riesame ha, altresì, motivato sulla sussistenza del “periculum” evidenziando le spregiudicate condotte del Chen, relative alle operazioni bancarie effettuate nel periodo di riferimento, per importi particolarmente rilevanti, a dimostrazione della concreta possibilità di sottrazione di tali disponibilità al soddisfacimento dei crediti tributari.
Al cospetto di tanto, le doglianze difensive tutte risultano manifestamente infondate e deve dichiararsene l’inammissibilità con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 9 ottobre 2024 La Consigliere est. COGNOME Il Presidente