Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3751 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3751 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE nata a Roma il 15/10/1999
avverso l’ordinanza del 22/07/2024 del Tribunale della libertà di Roma
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., ha rigettato l’istanza di proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Tivoli in data 24 giugno 2024, con la quale è stato convalidato il sequestro preventivo operato dalla Polizia locale di Tivoli in data 14 giugno 2024 del manufatto costruito all’interno del terreno sito in Tivoli, INDIRIZZO distinto in catasto al foglio 65 particella 780, di proprietà dalla ASL Roma 5, ipotizzando il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, che deducono:
2.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 354, 355, 321, commi 3-bis e 3-ter, cod. proc. pen. per incompetenza funzionale del G.i.p. che aveva emesso il decreto di convalida e inosservanza dei termini perentori stabiliti dalla legge, posto che il p.m. non solo non aveva convalidato il sequestro probatorio nel termine perentorio stabilito dall’art. 355 cod. proc. pen., ma aveva trasmesso gli atti al g.i.p. per la convalidata di un sequestro preventivo, di fatto mai eseguito;
2.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., per assenza del decreto di sequestro, essendosi il g.i.p. limitato a ordinare il sequestro preventivo in difformi dalla fattispecie normativa che richiede l’emissione di specifico decreto motivato;
2.3. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, commi 1 e 3-bis, 354, 355, cod. proc. pen., stante l’insussistenza dei presupposti della indifferibilità e urgenza e, comunque, quelli di cui all’art. 312, comma 1, cod. proc. pen., non potendo la libera disponibilità del bene aggravare le conseguenze del reato, posto che il manufatto si trova in quel luogo da tempo immemore;
2.4. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 per insussistenza del fumus, atteso il difetto di violazione edilizia, trattandosi di fabbricato risalente nel tem edificato prima del 1967, e, comunque, stante l’estraneità della Cadile, quantomeno in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo;
2.5. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 44, lett. b) e 3, lett. d) ed e), d.P.R. n. 380 del 2001, in quan secondo la prospettazione difensiva, la ricorrente si sarebbe limitata ad effettuare
una ristrutturazione al fine di salvaguardare un rudere ben identificato da decenni, mediante l’addizione di una tettoia, senza necessità del preventivo rilascio di un permesso a costruire;
2.6. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 44, lett. b) e 3, lett. d) ed e), d.P.R. n. 380 del 2001, posto la RAGIONE_SOCIALE non ha realizzato personalmente il manufatto in questione, e, quindi, non può rispondere per un fatto da lei non commesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono manifestamente infondati.
2.1. La vicenda processuale si lascia così riassumere:
in data 14 giugno 2024 gli operanti della Polizia Locale del Comune di Tivoli procedettero, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., al sequestro d’urgenza del manufatto sito nell’area di cui alla particella 780 del foglio 65 del Nuovo Catasto di Tivoli; il 16 giugno fu trasmessa la notizia di reato al Pubblico ministero;
in data 17 giugno 2024, il Pubblico Ministero riqualificò il sequestro d’urgenza effettuato dalla p.g. in sequestro preventivo e, in pari data, ne richiese la convalida al g.i.p., che provvide nei termini previsti dall’art. 321, comma 3-ter, cod. proc. pen.
2.2. Ciò posto, la ricorrente non si confronta con il costante orientamento di questa Corte di legittimità, qui da ribadire, secondo cui rientra tra i poteri de Pubblico Ministero la qualificazione come probatorio o preventivo del sequestro operato in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria (Sez. 4, n. 21000 del 26/04/2016, COGNOME, Rv. 266863; Sez. 3, n. 26916 del 14/05/2009, COGNOME, Rv. 244241; Sez. 6, n. 2061 del 17/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227896).
2.3. Nel caso in esame, non è dato ravvisare alcuna violazione di legge, posto che il pubblico ministero, come era suo potere, ha riqualificato in sequestro da probatorio a preventivo, richiedendone la convalida e la contestuale emissione del decreto entro le quarantotto ore dalla ricezione del verbale, come previsto dall’art. 321, comma 3, cod. proc. pen., convalidata che interveniva nei termini di cui all’art. 321, comma 3-ter, cod. proc. pen.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3.1. In diritto, va premesso come non sia revocabile in dubbio che il perkulum in mora richiesto per l’adozione del sequestro preventivo impeditivo debba presentare i caratteri della concretezza e dell’attualità, ciò che questa Corte ha da tempo avuto modo di precisare con orientamento sempre ribadito (Sez. U., n. 23 del 14/12/1994, dep. 1995, NOME, Rv. 200114; Sez. 3, n. 42129 del 08/04/2019, M., Rv. 277173; Sez. 6, n. 56446 del 07/11/2018, Deodati, Rv. 274778); pertanto, spetta al giudice del merito cautelare compiere, con adeguata motivazione, un’attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all’illecito penale.
In particolare, nel caso di sequestro preventivo di opere costruite abusivamente, la valutazione che il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi atti nenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività ( Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, COGNOME, Rv. 223722).
L’obbligo di motivazione deve dunque riguardare le conseguenze della libera disponibilità del bene sul regolare assetto del territorio (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812), ciò che può assumere carattere pregiudizievole anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive corre late (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono e a., Rv. 265195).
3.2. Nella vicenda in esame, il Tribunale cautelare ha attestato la sussistenza del pericolo di aggravamento della lesione dell’interesse protetto dai reati ipotizzati in relazione al fatto che i lavori erano ancora in corso di esecuzione, sicché è evidente che, con riguardo a questi, vi era il pericolo, concreto e attuale, di aggravare le conseguenze del reato, pericolo fronteggiabile con l’apposizione del vincolo reale sulle opere ritenute, allo stato, abusive.
3.3. A fronte di tale motivazione, non rileva la circostanza che il manufatto si trovi in quel luogo da tempo, posto che l’oggetto della contestazione è la realizzazione, in assenza di permesso di costruire, dei porticati e di un muro di recinzione in calcestruzzo con cancellate: opere certamente non preesistenti, essendo in corso di realizzazione al momento dell’accertamento del fatto.
I restanti motivi, con cui si contesta, a vario titolo, la sussistenza del fumus commissi delicti e l’ascrivibilità del reato alla ricorrente, sono inammissibili.
4.1. Si rammenta che, in tema di reati edilizi, anche a seguito della modifica all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ad opera dell’art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia solo quelli final zati al recupero di fabbricati preesistenti di cui sia conservata traccia, dovendo l’immobile oggetto di ristrutturazione presentare caratteristiche funzionali o identitarie coincidenti con quelle del corpo di fabbrica preesistente (Sez. 3, n. 1670 del 06/10/2022, dep. 2023, p.m. in c. Severini, Rv. 284056).
Si è chiarito, inoltre, non possono non considerarsi organismi edilizi, infatti, «i porticati coperti, non solo in relazione alla loro autonoma utilizzabilità, ma anche in considerazione del fatto che realizzano un vero e proprio corpo di fabbrica, avente incidenza concreta e ben visibile sulla fisionomia dell’immobile, di cui vengono ad essere mutati il volume complessivo e l’aspetto esteriore (Sez. 3, Sentenza n. 8521 del 17/03/2000, COGNOME, Rv. 217363; Sez. 3, n. 7613 del 06/05/1994, COGNOME, Rv. 198409).
4.2. Tanto premesso – e ricordato che, in materia cautelare reale, non è deducibile il vizio di motivazione se non quanto si traduca in una violazione di legge per effetto di una totale mancanza ovvero dell’apparenza del ragionamento giustificativo – il Tribunale cautelare, pur dando atto che alcune parti del manufatto non erano di recente edificazione (come il tetto e alcuni muri della parte interna), ha tuttavia evidenziato che le mura esterne, i due porticati ed i tramezzi interni – che erano, invece, ancora in corso di edificazione, come attestato dallo stato grezzo e dalla presenza di ponteggi all’esterno – non possono considerarsi edilizia libera, ciò che, appunto, integra il fumus del reato oggetto di incolpazione provvisoria, stante l’assenza del necessario permesso di costruire.
4.3. Il Tribunale, inoltre, ha rilevato, per un verso, che non vi è nemmeno prova della effettiva preesistenza del manufatto e, conseguentemente, del rispetto delle caratteristiche funzionali ed identitarie del corpo di fabbrica preesistente, né, per altro verso, che questo non fosse originariamente abusivo, posto che la ricorrente si è limitata ad affermare che trattasi di immobile costruito antecedentemente al 1967, ma senza produrre, al proposito, alcuna documentazione.
4.4. Quanto, poi, alla riconducibilità, anche dal punto di vista soggettivo, del fatto di reato alla ricorrente, il Tribunale ha dato le opere in esame erano state commissionate dalla stessa Cadile, nei cui confronti è stata ravvisata, quantomeno, la colpa, stante la totale assenza di qualsivoglia richiesta alle competente autorità per procedere alla realizzazione di importanti opere edilizie, e dovendosi comunque ribadire che il difetto dell’elemento soggettivo del reato può essere rilevato dal giudice della cautela reale purché esso emerga ictu ocu/i, cioè sia di immediato rilievo (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, COGNOME e altro, Rv.
266896; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 259337; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, p.m. in c. COGNOME, Rv. 240521), il che, appunto, non ricorre nella vicenda qui al vaglio.
4.5. A fronte di tale apparato motivazionale – che certamente non può dirsi né mancante, né apparente – le censure difensive, per un verso, appaiono del tutto generiche, perché sono incentrate sulla asserita legittimità del manufatto, quando, come detto, oggetto di provvisoria incolpazione è la realizzazione di una serie di attività edilizie senza alcuna autorizzazione, e, per altro verso, attengono a profili ricostruttivi del fatto, che esulano dalla nozione di violazione di legge.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/12/2024.