Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7540 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7540 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a San Luca (RC) il 23/11/1950, avverso l’ordinanza del 27/09/2024 del Tribunale di Reggio Calabria; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
g
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 settembre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla ricorrente avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria del 10/06/2024, con la quale è stato disposto il sequestro preventivo del libretto postale n. 00031249038 intestato alla ricorrente e al figlio NOME COGNOME cl. ’87. Il Tribunale ha ridotto il sequest sino alla concorrenza di euro 5.000,00, con restituzione dell’eccedenza all’appellante, ritenendo che, rispetto al versamento in contanti di euro 5.000,00, eseguito in data 24/12/2021, l’appellante non era stata in grado di dimostrare l’autore del versamento e la riferibilità alla stessa della somma.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, e 321 cod. proc. pen., per violazione di legge con riferimento alla mancanza di motivazione circa la sussistenza della sproporzione tra i redditi dichiarati e le somme rinvenute presso la abitazione dei ricorrenti.
Deduce la ricorrente che il Tribunale di Reggio Calabria ha omesso di motivare in relazione all’assenza di sperequazione tra la dichiarazione dei redditi della ricorrente e la somma sottoposta a vincolo giudiziario, ovverosia le ragioni per cui la somma di euro 5.000,00 depositata il 24/12/2021 non sarebbe una provvista frutto dei risparmi della stessa, né l’ordinanza indica gli elementi fattuali da cu emergerebbe che la proprietà della somma farebbe capo a COGNOME Antonio ’71, ma si limita ad affermare congetturalrnente la possibile consegna avvenuta oltre un anno prima rispetto al versamento nel libretto postale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In via preliminare deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del
14/03/2017, Rv. 269656). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e riter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Tanto premesso, il ricorso è manifestamente infondato, dovendo ritenersi che, nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione di parziale accoglimento dell’appello cautelare.
2.1 Nel caso in esame, il sequestro è stato disposto in relazione agli artt. 74 (accertato nel periodo febbraio-luglio 2020) e 73-80 (consumato nel giugno 2020) del d.P.R. n. 309/90, ai sensi degli artt. 85-bis d.P.R. n. 309/90 e 240-bis cod. pen., trattandosi di giacenza su libretto postale cointestato alla ricorrente e al figl COGNOME NOME cl. ’87, destinatario quest’ultimo di misura custodiale con ordinanza del 13/03/2023.
In particolare, l’art. 85-bis d.P.R. n. 309/90 dispone che, nei casi di condanna o di applicazione della pena su accordo delle parti a norma dell’articolo 444 cod. proc. pen., per taluno dei delitti previsti dall’articolo 73 d.P.R. n. 309/90, si appl l’articolo 240-bis cod. pen. L’art. 240-bis cod. pen., a sua volta, consente il sequestro di beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati di cu l’indagato risulti titolare, anche per interposta persona, dei quali abbia l disponibilità e non fornisca una credibile dimostrazione della lecita provenienza.
Il Tribunale cautelare, sulla base dei prospetti rilasciati da Poste Italiane i ordine alla movimentazione del libretto postale cointestato nel periodo 2014-2023, ha accertato che le entrate erano costituite quasi totalmente da accrediti pensionistici in favore della ricorrente, risultando per il resto dei versamenti i contante negli anni 2015 e 2016, ritenuti non collegabili ai proventi dei reati spia ascritti al cointestatario, nonché altro versamento di euro 5.000,00 in data 24/12/2021, ritenuto dal Tribunale collegabile ai proventi illeciti del cointestatari non avendo la ricorrente offerto dimostrazione della riferibilità a sé stessa dell’introito.
2.2 Va, in proposito, precisato che, nella fattispecie in esame, non può essere posta in discussione la sussistenza del fumus commissi delicti, posto che l’odierna
ricorrente, in quanto terzo interessato, estraneo al reato, che afferma di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata, non ha titolo per contestare i presupposto applicativo della cautela reale, dovendo limitarsi solo a provare la titolarità o la disponibilità del bene del quale chiede la restituzione e l’inesisten di relazioni di collegamento concorsuale nei reati ascritti all’indagato (Sez. 6, n. 24432 del 18/04/2019 Rv. 276278; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, Rv. 268070; Sez. 6, n. 34704 del 05/08/2016).
E, nell’ambito del perimetro del giudizio di legittimità in tema di misure cautelari reali, limitato come sopra ricordato ai soli profili di violazione di legge, censure svolte nel ricorso sono infondate, avendo il Tribunale di Reggio Calabria adeguatamente e dettagliatamente esposto in motivazione le ragioni per le quali il sequestro sul libretto postale cointestato alla ricorrente e al figlio COGNOME NOME classe ’87 è stato limitato sino alla concorrenza di euro 5.000,00: era stato, infatti, eseguito un versamento in contanti di pari importo in data 24/12/2021 del quale – a differenza delle ulteriori somme dal Tribunale svincolate – non è stata data adeguata dimostrazione della titolarità in capo alla ricorrente della somma versata, né della provenienza legittima della somma stessa, secondo i principi affermati dal costante orientamento di questa Corte; per contro, il Tribunale ha osservato come i redditi del figlio cointestatario, indagato del reato associativo in materia di stupefacenti, palesassero una sperequazione complessiva di euro 338.189,19 nel periodo 1997-2021 e un costante saldo negativo nelle annualità 2011-2021, né potendo ritenersi che la concomitante detenzione del cointestatario COGNOME NOME potesse, per ciò solo, escludere l’ipotesi della provenienza criminosa della somma sottoposta a sequestro.
Una motivazione, quindi, ampiamente esistente, esauriente e comunque sicuramente tale da escluderne quella assenza o apparenza di esistenza che sola concreta il vizio di violazione di legge eccepibile in questa sede.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse della ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente stessa, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di
9,
inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025.