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Sequestro preventivo a terzi: la prova della titolarità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una madre contro il sequestro preventivo di una somma di denaro cointestata con il figlio, indagato per gravi reati. La Corte ha confermato che, in caso di sequestro preventivo a terzi, spetta al terzo dimostrare non solo la titolarità del bene, ma anche la sua lecita provenienza, soprattutto in presenza di una sproporzione reddituale dell’indagato.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo a terzi: l’onere della prova sulla provenienza dei fondi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia di misure cautelari reali, in particolare riguardo al sequestro preventivo a terzi. Quando un bene è cointestato tra un indagato e un soggetto estraneo ai reati, su quest’ultimo ricade un preciso onere probatorio per ottenerne la restituzione. Analizziamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’indagine per gravi reati in materia di stupefacenti a carico di un soggetto. Nel corso delle investigazioni, le autorità disponevano il sequestro preventivo di un libretto postale cointestato all’indagato e a sua madre, la quale era del tutto estranea ai fatti contestati al figlio.

Inizialmente, il sequestro colpiva l’intera giacenza. La madre proponeva appello al Tribunale del Riesame, che accoglieva parzialmente la sua istanza. Il Tribunale, infatti, riduceva il vincolo cautelare alla sola somma di 5.000 euro, corrispondente a un versamento in contanti effettuato in una data specifica. La motivazione di tale decisione risiedeva nel fatto che, mentre il resto delle somme sul libretto era riconducibile alla pensione della donna, per quel versamento specifico ella non era stata in grado di fornire una prova convincente né sulla provenienza del denaro, né sulla sua effettiva titolarità. Al contrario, i giudici evidenziavano una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati dal figlio indagato e il suo patrimonio complessivo.

La madre, ritenendo l’ordinanza ingiusta e carente di motivazione, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge.

Il Sequestro Preventivo a Terzi e i Limiti del Ricorso in Cassazione

Prima di esaminare la decisione, è utile ricordare due punti fondamentali. Primo, il ricorso per Cassazione contro le ordinanze in materia di misure cautelari reali, come il sequestro, è consentito solo per violazione di legge. Questo significa che la Suprema Corte non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme e la logicità della motivazione. Un vizio di motivazione rileva solo se è talmente grave da essere considerato ‘inesistente’ o ‘meramente apparente’.

Secondo, il sequestro di beni sproporzionati rispetto al reddito, previsto dall’art. 240-bis del codice penale, si applica anche quando i beni sono formalmente intestati a terzi, ma si ha ragione di ritenere che l’indagato ne abbia la disponibilità.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della donna manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.

I giudici hanno stabilito che la motivazione del Tribunale del Riesame non era né assente né apparente, ma al contrario ben argomentata. Il Tribunale aveva correttamente applicato i principi che regolano il sequestro preventivo a terzi, ponendo l’accento sulla mancata dimostrazione, da parte della ricorrente, della provenienza lecita e della titolarità esclusiva della somma di 5.000 euro.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha chiarito che, in casi come questo, il terzo interessato che chiede la restituzione di un bene sequestrato ha un onere probatorio preciso. Non è sufficiente affermare di essere il proprietario del bene; è necessario fornire elementi concreti che dimostrino:

1. La titolarità o la disponibilità effettiva del bene.
2. L’assenza di qualsiasi collegamento concorsuale o strumentale con i reati contestati all’indagato.
3. La provenienza legittima dei fondi o dei beni in questione.

Nel caso specifico, la ricorrente non ha fornito alcuna prova convincente riguardo all’origine dei 5.000 euro versati in contanti. A fronte di questa carenza probatoria e della palese sperequazione reddituale del figlio cointestatario, il Tribunale ha legittimamente ritenuto che tale somma fosse riconducibile ai proventi illeciti dell’indagato.

La motivazione del provvedimento impugnato è stata quindi ritenuta ‘ampiamente esistente, esauriente e tale da escludere quella assenza o apparenza’ che avrebbe potuto configurare una violazione di legge.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di sequestro a terzi. La decisione sottolinea che la mera cointestazione di un bene con un soggetto indagato espone il terzo al rischio di subire un vincolo cautelare. Per liberare il bene, non basta una semplice affermazione di estraneità ai fatti, ma occorre una ‘probatio diabolica’: dimostrare con prove concrete e credibili l’origine lecita e la propria esclusiva disponibilità del bene. In assenza di tale prova, specialmente quando l’indagato presenta un profilo reddituale incongruo, la presunzione che il bene sia frutto di attività illecite prevale, legittimando il mantenimento del sequestro.

Quando un bene cointestato con un indagato può essere sequestrato?
Un bene cointestato può essere sequestrato quando vi sono indizi che lo collegano ai proventi di un reato. Nello specifico, la misura cautelare può colpire la parte di valore che risulta sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati dall’indagato.

Cosa deve dimostrare il terzo proprietario per ottenere la restituzione del bene sequestrato?
Il terzo proprietario, estraneo al reato, deve fornire una prova adeguata non solo della sua titolarità o disponibilità del bene, ma anche della sua provenienza legittima e dell’inesistenza di collegamenti con i reati per i quali si procede nei confronti dell’indagato.

Un vizio di motivazione giustifica sempre un ricorso in Cassazione contro un sequestro?
No, il ricorso per Cassazione contro le ordinanze in materia di sequestro è ammesso solo per violazione di legge. Un vizio di motivazione può essere fatto valere solo se è così radicale da renderla totalmente assente o meramente apparente, al punto da non rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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