Sequestro per sproporzione: la Cassazione chiarisce i limiti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38234/2024, ha affrontato un caso cruciale in materia di stupefacenti, delineando i confini applicativi del sequestro per sproporzione. La pronuncia stabilisce che è possibile sequestrare ingenti somme di denaro trovate in possesso di un soggetto indagato per detenzione di droga, anche in assenza di prove dirette di episodi di spaccio, qualora non vi sia una giustificazione plausibile sulla loro provenienza e risultino sproporzionate rispetto ai redditi leciti. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati.
I Fatti del Caso
Il procedimento trae origine da un’operazione di polizia giudiziaria che ha portato all’arresto di un uomo. Durante un controllo, l’indagato, già attenzionato dalle forze dell’ordine, è stato trovato in possesso di oltre 360 grammi di eroina, occultati a bordo della sua autovettura. La successiva perquisizione domiciliare, estesa all’abitazione condivisa con la convivente, ha permesso di rinvenire ulteriori 22 grammi della stessa sostanza, un bilancino di precisione, materiale per il confezionamento e una somma di circa 11.580 euro in contanti.
Contestualmente, la convivente è stata trovata in possesso di una borsa contenente un sacchetto sottovuoto con all’interno altri 29.150 euro. L’ammontare complessivo del denaro, pari a oltre 40.000 euro, è stato sottoposto a sequestro preventivo, ritenuto provento di attività illecite.
L’Ordinanza del Tribunale del Riesame e il Ricorso in Cassazione
La difesa dell’indagato ha impugnato il provvedimento di sequestro davanti al Tribunale del Riesame, sostenendo l’illegittimità della misura. Secondo il ricorrente, non essendo stato provato alcun episodio di cessione di stupefacenti, ma solo la detenzione, il denaro non poteva essere considerato profitto del reato. Inoltre, la difesa lamentava che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato la documentazione fiscale e reddituale prodotta, che avrebbe dimostrato una lecita capacità economica.
Il Tribunale del Riesame ha rigettato la richiesta, confermando il sequestro. Contro questa decisione, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, ribadendo le medesime argomentazioni.
L’Applicazione del Sequestro per Sproporzione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. Il fulcro della decisione non risiede nella qualificazione del denaro come profitto diretto del reato di detenzione, ma nell’applicazione di un diverso istituto: il sequestro per sproporzione, previsto dall’art. 85-bis del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti).
I giudici hanno chiarito che, mentre per la confisca del denaro come profitto di spaccio è necessario provare la cessione della droga, il sequestro e la successiva confisca per sproporzione si basano su due presupposti differenti:
1. La disponibilità di beni o altre utilità di valore sproporzionato rispetto al proprio reddito.
2. L’impossibilità per l’interessato di giustificarne la legittima provenienza.
Nel caso di specie, questi presupposti erano entrambi presenti.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha evidenziato come il contesto generale fosse altamente indiziante. Il rinvenimento di un’enorme quantità di sostanza stupefacente, unitamente a materiale per il confezionamento e a una somma così ingente di denaro contante, creava un quadro probatorio solido (il cosiddetto fumus boni iuris). Gli ermellini hanno sottolineato che i redditi dichiarati dalla coppia tra il 2018 e il 2023, pur leciti, non erano compatibili con l’accumulo di un simile capitale, tenuto conto delle normali spese di vita, del pagamento di un mutuo e di un canone di leasing per l’auto.
Un elemento decisivo è stato anche la modalità di conservazione del denaro: una parte significativa era custodita in un sacchetto sottovuoto, una pratica anomala per risparmi leciti, che solitamente vengono depositati in un conto corrente, e tipica invece dell’occultamento di proventi illeciti.
Infine, la Corte ha respinto l’argomento difensivo sulla ‘ragionevolezza temporale’, spiegando che tale principio si applica a beni come gli immobili, la cui data di acquisto è certa, ma non al denaro, un bene fungibile per sua natura, per il quale è impossibile tracciare il momento esatto dell’acquisizione.
Le Conclusioni
La sentenza consolida un importante principio: nel contrasto ai reati legati agli stupefacenti, gli strumenti di aggressione patrimoniale giocano un ruolo fondamentale. Il sequestro per sproporzione permette di colpire i patrimoni illeciti anche quando non si riesce a provare il singolo atto di spaccio che li ha generati. È sufficiente dimostrare la sproporzione tra i beni posseduti e i redditi leciti, unitamente alla mancanza di una giustificazione credibile. Questa pronuncia ribadisce che chi detiene ingenti somme di denaro, specialmente in un contesto legato a gravi reati, ha l’onere di fornire una spiegazione ragionevole e documentata della loro origine, pena il rischio di vedersi sequestrare e confiscare tali beni.
È possibile sequestrare denaro a una persona trovata con della droga, anche senza la prova che l’abbia venduta?
Sì, è possibile. La Cassazione ha chiarito che, anche se non si prova il reato di spaccio (cessione), si può procedere al sequestro del denaro in base al principio di sproporzione, come previsto dall’art. 85-bis del d.P.R. 309/1990. Questo avviene quando la somma è palesemente sproporzionata rispetto ai redditi leciti della persona e non ne viene fornita una giustificazione credibile.
Cosa significa esattamente ‘sequestro per sproporzione’?
Significa che l’autorità giudiziaria può sequestrare beni (incluso il denaro) di cui un indagato ha la disponibilità quando il loro valore è eccessivo e ingiustificato rispetto al suo reddito dichiarato o alla sua attività economica. L’onere di dimostrare la provenienza lecita di tali beni ricade sull’indagato.
Perché il modo in cui era conservato il denaro è stato considerato importante?
La conservazione di una grande somma di denaro (quasi 30.000 euro) in un sacchetto sottovuoto anziché in un conto corrente bancario è stata ritenuta una modalità anomala e sospetta. Secondo la Corte, questa pratica è inspiegabile per risparmi di origine lecita e rafforza l’ipotesi che si tratti di proventi derivanti da un’attività illegale che si voleva occultare.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 38234 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38234 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di VERONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME per il rigetto
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, mediante l’ufficio del difensore impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame di Verona emessa in data 22/03/2024 con la quale è stata rigettata la richiesta di riesame avente per oggetto il provvedimento di sequestro preventivo, emesso nell’ambito del procedimento in materia di sostanze stupefacenti, riguardante la somma di euro 41.590 rinvenuta nella disponibilità del ricorrente e della coindagata NOME.
La difesa lamenta con un unico motivo di ricorso l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza del Tribunale di Verona; in particolare ritiene la difesa che la motivazione offerta non tiene conto che non è stato accertato nemmeno un singolo episodio di cessione di sostanza stupefacente e pertanto non vi sono in atti elementi sufficientemente validi a far ritenere che il denaro posto in sequestro sia provento di un’attività delittuosa. Inoltre il tribunale del riesame non ha considerato la documentazione difensiva prodotta volta a dimostrare la posizione fiscale ed il reddito dell’indagato unitamente ad una lecita attività lavorativa.
Il tribunale, a parere della difesa, ha inteso definire in modo sproporzionato il possesso della somma in sequestro non tenendo conto della documentazione allegata.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio osserva innanzitutto che si procede per il reato di detenzione ad uso non esclusivamente personale di oltre 380 grammi di eroina rinvenuti nella disponibilità dell’odierno ricorrente e della convivente NOME in data 19/02/2024 quando il ricorrente, già pedinato dalla polizia giudiziaria, veniva fermato e trovato in possesso di oltre 360 grammi di eroina a bordo dell’auto a lui in uso in un involucro che teneva tra le gambe. A seguito della perquisizione presso l’abitazione in uso al ricorrente e alla convivente venivano rinvenuti altri 22,30 grammi di eroina ubicati all’interno di un cassetto della cucina nonché un bilancino di precisione, materiale per il confezionamento e plurime mazzette di denaro complessivamente pari a 11.580 euro. Nell’immediatezza dei fatti la convivente veniva trovata con una borsa contenente un sacchetto sottovuoto contenente altri 29.150 euro in banconote.
Tale somma veniva posta in sequestro preventivo perché ritenuta frutto dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti esercitate dall’indagato con il concorso materiale e morale della compagna convivente o comunque pertinente al commercio di stupefacenti tenuto conto sia del contesto dell’arresto in flagranza sia dei gravi precedenti specifici a carico dell’indagato e in ragione dei modesti redditi leciti di entrambi i coindagati conviventi, come desumibili dalla banca dati RAGIONE_SOCIALE.
Il Collegio, atteso che non si procede per il reato di cessione di sostanze stupefacenti ma per quello di detenzione a fine di spaccio, osserva che in relazione a quest’ultimo reato il denaro rinvenuto nella disponibilità dell’imputato può essere sottoposto a confisca solo nel caso in cui ricorrano le condizioni previste all’art. 240-bis cod. pen., applicabile in ragione del rinvio operato dall’art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Questa Corte ha chiarito che in relazione al reato di detenzione non è consentita la confisca del denaro nè ai sensi dell’art. 240 cod. pen., né ai sensi dell’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. cit., applicabili invece all’ipotesi di cessione di sostanza stupefacente, non sussistendo il necessario nesso tra il denaro oggetto di ablazione e il reato di mera detenzione per cui è affermata la responsabilità (Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, Rv. 283248-01).
Nella fattispecie il sequestro preventivo è avvenuto in ragione non soltanto dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in ordine alla contestata condotta di detenzione di stupefacente del tipo eroina ma anche per la sproporzione tra la disponibilità di tale somma e i redditi degli indagati. L’ordinanza del Tribunale di Verona sviluppa una serie di condivisibili osservazioni e argomentazioni circa il possesso dell’ingente somma di denaro in sequestro che tenuto conto del contesto dell’arresto, delle indagini di polizia giudiziaria che hanno portato ad attenzionare l’odierno ricorrente, nonché del rinvenimento della sostanza stupefacente e delle modalità di custodia della somma di denaro, evidenziano una più che sospetta provenienza illecita e comunque una sproporzione rispetto alle condizioni reddituali della coppia trovata nel possesso della somma.
Si deve osservare al riguardo che l’ordinanza impugnata dà atto che il sequestro è avvenuto anche in applicazione dell’art. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 che con riferimento anche al delitto di detenzione di sostanza stupefacente dispone la confisca dei beni o di altre utilità di cui l’imputato abbia la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito e di cui non posso giustificare la legittima provenienza.
A tal riguardo è bene rilevare che il contesto in cui è avvenuto l’arresto del ricorrente e il sequestro della sostanza stupefacente unitamente alla
somma di denaro è già ex se estremamente significativo di un collegamento tra una fattispecie di reato, ancorché non di cessione, in materia di stupefacenti e il possesso di una ingente somma di denaro rispetto al quale da parte dell’indagato deve essere particolarmente significativa la giustificazione della disponibilità della somma di denaro in sequestro. Nel caso specifico gli elementi raccolti alla base del provvedimento di sequestro non sono seriamente contrastati dalla documentazione prodotta dalla difesa e richiamata nel ricorso che ha introdotto l’odierno giudizio.
Infatti, le somme lecitamente percepite dalla coppia come desumibili dalla dichiarazione dei redditi relative alle annualità dal 2018 al 2023 non consentono un così rilevante accumulo di denaro. Pur considerando il possibile risparmio di una coppia, le necessità derivanti da ordinari bisogni di vita e dal pagamento delle rate del mutuo dell’immobile di proprietà della NOME, nonché il pagamento del canone del leasing relativo all’autovettura in uso all’indagato è ragionevole ritenere che lecitamente non era possibile accumulare una ingente somma di denaro. Peraltro nulla è stato allegato circa il periodo di accumulo di tale ipotetico risparmio al fine di poterlo correlare ai redditi dichiarati.
È mancato quindi qualsiasi ragionevole e accettabile spiegazione che possa costituire una ragionevole e credibile giustificazione di una tale sproporzione. Il fumus, invero, è dimostrato anche dalle condizioni di custodia del denaro inspiegabilmente tenuto in una confezione sottovuota nell’abitazione della coppia, anziché versato regolarmente nel conto corrente che era nella disponibilità della NOME.
Devono respingersi anche le considerazioni della difesa circa il principio ermeneutico della ragionevolezza temporale del sequestro della somma di contanti in ragione dell’asserita notevole distanza tra il momento di acquisizione del bene e la commissione del reato. Si tratta infatti di un principio giurisprudenziale valido per i beni – ad esempio immobili – dei quali è agevole individuare la data di acquisto e trarne delle conseguenze di ordine cronologico rispetto al momento del rinvenimento della disponibilità del bene stesso. Ma nel caso in cui si tratti di bene fungibile, come il denaro, non controllabile e non documentabile circa il momento in cui è entrato nella disponibilità dell’indagato o di terze persone a lui collegate, ogni deduzione circa un’associazione temporale tra l’acquisizione della somma, la disponibilità e il sequestro della stessa, non ha alcun fondamento logico in ordine alla ragionevolezza temporale; principio valido soltanto laddove il bene in sequestro consente di valutarne il momento dell’origine, quello dell’acquisizione e quello del sequestro.
Sulla base di tali argomentazioni l’ordinanza impugnata appare in linea con l’applicazione dell’art. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 perché dà conto in modo esauriente, convincente e logico delle deduzioni riguardanti l’evidenza del possesso sproporzionato rispetto al proprio reddito nonché dell’assenza di una credibile giustificazione.
Il ricorso appare quindi infondato e deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2024
Il Consigliere estensore