Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17796 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17796 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 07/04/1992
avverso l’ordinanza del 29/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 gennaio 2025 il Tribunale per il riesame di Roma ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di NOMECOGNOME indagato per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, del decreto d sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Roma in data 9 gennaio 2025, avente ad un oggetto una somma di denaro contante, suddivisa in banconote di vario taglio, di importo pari a euro 23.000,00, rinvenuta all’interno di una scatola di scarpe riposta in un armadio.
1.1. Il Tribunale di Roma ha, in particolare, rigettato la richiesta di riesame del sequestro preventivo dell’indicata somma nella ritenuta concreta e attuale ricorrenza del fumus commissi delicti della fattispecie prevista dall’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, altresì dando conto della evidente sproporzione esistente tra i modestissimi redditi patrimoniali percepiti dal nucleo familiare del NOME e l’ingente somma di denaro rinvenuta in suo possesso.
Ciò, per il giudice del riesame, ha correttamente giustificato l’applicazione dell’istituto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per sproporzione, considerato che, ai sensi dell’art. 85-bis D.P.R. n. 309 del 1990, è prevista la confisca obbligatoria del denaro di valore sproporzionato al reddito o alla sua attività economica, di cui la persona non può giustificare la provenienza, altresì ritenuta la palese inattendibilità delle contrarie argomentazioni addotte dall’indagato circa la sua disponibilità del denaro.
Il Tribunale del riesame ha, quindi, ritenuto che il provvedimento genetico avesse adeguatamente giustificato la sussistenza del periculum in mora, facendo riferimento all’indisponibilità di fonti di reddito da parte dell’indagato, nonché a possibile suo reinvestimento del denaro nell’attività illecita, così rendendo necessaria la conferma del decreto impositivo del vincolo reale.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico articolato motivo, violazione di legge, e in particolare degli artt. 125, comma 3, e 321 cod. proc. pen., per carenza di motivazione circa la sussistenza dei requisiti del fumus boní iuris e del periculum in mora nel decreto di sequestro preventivo impugnato.
Quanto, in primo luogo, al requisito del fumus boni iuris, il ricorrente ha eccepito che il decreto di sequestro preventivo non avrebbe recato l’indicazione della condotta criminosa a lui ascritta, per avere previsto solo il mero riferimento ai contestati artt. 74 e 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 nonché un generico richiamo a un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale non emessa nei suoi confronti. Tale ordinanza non gli sarebbe mai stata, conseguentemente,
notificata, né lui avrebbe potuto, comunque, conoscerla stante l’assenza di una effettiva discovery da parte del P.M., consentita solo in esito all’effettuazione degli adempimenti previsti dall’art. 293 cod. proc. pen.
Il fascicolo non era, pertanto, ostensibile nei suoi riguardi, con conseguente evidente lesione delle proprie prerogative defensionali.
Con riguardo al merito, poi, il Tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare come non vi fosse prova alcuna del fatto che il denaro sequestrato costituisse il provento della condotta di spaccio espressamente contestatagli, peraltro risalente a circa due anni prima.
Con riferimento, infine, al periculum in mora, il Lila ha dedotto l’apparenza della motivazione resa dal giudice del riesame, in quanto, a suo dire, inidonea a dimostrare la ricorrenza dell’indicato requisito e, comunque, tale da porsi in termini di incongruente integrazione della insufficiente e inadeguata motivazione resa da parte del primo giudice.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
In primo luogo priva di ogni fondamento è la doglianza con cui il ricorrente ha eccepito la carenza del requisito del fumus boni iuris, per non essere stata indicata la condotta criminosa a lui contestata nel decreto di sequestro preventivo, non potendo essere ritenuto sufficiente a tal fine l’effettuato richiamo agli articoli 74 e 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 nonché a un’ordinanza cautelare non applicata nei suoi confronti.
Deve, infatti, essere osservato come, in termini opposti, nessuna lesione dei diritti defensionali né alcuna carenza motivazionale possa essere ravvisata nel decreto impugnato, atteso che, per come congruamente evidenziato dal Tribunale del riesame, l’ordinanza cautelare personale era, invece, «presente nel fascicolo a disposizione dell’indagato e come tale da lui agevolmente conoscibile in sede di esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame».
La giurisprudenza di legittimità ha già da tempo precisato come la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale sia da considerarsi legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un
legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, d gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664-01).
In conformità a tale ultimo assunto, deve essere osservato, allora, come il provvedimento cautelare personale fosse certamente conoscibile da parte del Lila, né tale ultimo è stato in grado di dimostrarne concretamente la sua non ostensibilità, non avendo prospettato, ad esempio, di avere inutilmente avanzato istanza diretta a ottenere copia dell’atto richiamato, senza veder soddisfatto il suo legittimo diritto.
Stesso giudizio di manifesta infondatezza deve essere espresso, poi, con riguardo alla censura con cui il ricorrente ha lamentato l’insussistenza di riscontri probatori circa la ricorrenza di un nesso di pertinenzialità tra la somma sequestrata e la condotta criminosa ascrittagli, non essendo stato comprovato, in particolare, che il denaro avesse costituito il provento della condotta di spaccio contestatagli.
Orbene, a prescindere da ogni considerazione circa la possibilità di qualificare la suddetta doglianza come violazione di legge – unico vizio rispetto al quale è consentito il ricorso per cassazione, ex art. 325, comma 1, cod. proc. pen. – il Collegio rileva, in termini troncanti, come il vincolo cautelare imposto sulla somma sequestrata non abbia natura impeditiva di rilievo ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., ma sia stato disposto in quanto finalizzato alla confisca per sproporzione, di cui all’art. 240-bis cod. pen., richiamato, in relazione al delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, dall’art. 85-bis dello stesso D.P.R.
L’istituto, infatti, si fonda su diversi presupposti applicativi, non richiedend la diretta riferibilità del denaro alle specifiche contestazioni oggetto di addebito bensì la ricorrenza di una sproporzione tra il denaro posseduto e le capacità economiche dell’indagato. In tal caso, in sede di applicazione del vincolo reale, il giudice ha l’obbligo di motivare sia sulle ragioni per cui non ritiene attendibil giustificazioni eventualmente addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confiscati, sia sull’esistenza di una sproporzione tra i valori patrimoniali
accertati ed il reddito dell’imputato o la sua effettiva attività economica (così Sez. 1, n. 17092 del 02/03/2021, Syziu, Rv. 281358-01).
Tutto ciò è dato ravvisare nel provvedimento impugnato, essendo stato diffusamente esplicato come il possesso della sequestrata somma di euro 23.000,00 fosse palesemente inconciliabile con l’assenza di redditi da parte del NOME e gli scarsissimi introiti percepiti da parte della sua consorte. Sotto alt profilo, l’ordinanza impugnata ha, altresì, adeguatamente rappresentato le ragioni per cui le giustificazioni rese dall’indagato, per cui avrebbe custodito i denaro per conto di suo fratello, sarebbero state del tutto indimostrate e illogiche, non ravvisandosi motivi di sorta per cui tale somma fosse stata detenuta in contanti in casa, con palesi rischi di furto, e non già presso un istituto di credito.
Trattasi di motivazione che, in termini evidenti, non può essere ritenuta carente, apparente, contraddittoria o manifestamente illogica, e perciò viziata ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Manifestamente infondata, infine, è pure la doglianza relativa alla ritenuta insussistenza del requisito del periculum in mora.
La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la necessità che il giudice fornisca una concisa motivazione pure in relazione al periculum in mora sul quale si fonda il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ex art. 240-bis cod. pen., anche nel caso in cui oggetto del sequestro siano somme di denaro, dovendo illustrare, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità della misura reale, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio (Sez. U, 36959 del 24/06/2021, NOME, Rv. 281848-01; Sez. 3, n. 9206 del 07/11/2023, dep. 2024, Fiore, Rv. 286021-01).
Il provvedimento impugnato ha adeguatamente dato conto delle ragioni di ricorrenza del periculum in mora, in particolar modo osservando come, trattandosi di denaro contante – e perciò di un bene di per sé facilmente speso o reimpiegato – esso possa essere agevolmente utilizzato per affrontare le spese necessarie alla vita quotidiana, considerati i pressoché inesistenti redditi dell’indagato e dei suoi familiari conviventi, ovvero al fine di essere investito nell’illecito traffico di sostanze stupefacenti.
La motivazione sul periculum in mora, quindi, lungi dall’essere meramente apparente o di stile, risulta circostanziata e coerente con gli atti a disposizione dell’autorità procedente, altresì considerato come possa ritenersi sufficiente al fine anche l’indicazione che il bene potrebbe essere, nelle more del giudizio, modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato e che, nel caso concreto, il
giudice si è attenuto a tale principio (Sez. 5, n. 44221 del 29/09/2022, COGNOME
Rv. 283810-01).
5. Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed
alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q.
m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente