Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8901 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Bovalino (RC) il 19.10.1967, avverso l’ordinanza del 03/06/2024 del Tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata in relazione alla quantificazione dell’importo oggetto sequestro, con rinvio al Tribunale di Potenza per nuovo esame, e il rigetto d ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 giugno 2024, il Tribunale del Riesame di Salerno ha rigettato l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza che ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, dei beni intestati e/o nella disponibilità di NOME COGNOME per un valore complessivo pari ad euro 767.306,00, in relazione al reato di cui agli artt. 81, 110, 483, 640, comma 2, cod. pen., 40, comma 1, lett. c), e comma 4, d.lgs. n. 504/1995 in relazione all’art. 49 d.lgs. n. 504/1995, per aver, in concorso con soggetti noti e ignoti, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante artifici e raggiri, documentato falsamente l’acquisto, il trasporto e la cessione di prodotto petrolifero agevolato (gasolio agricolo) previa indicazione di dati informativi falsi sulla documentazione semplificata di accompagnamento (DAS) necessaria per la movimentazione di prodotti soggetti ad accisa; in particolare, dopo aver acquisito la materiale disponibilità del prodotto petrolifero, assolvendo l’accisa in misura ridotta presso il deposito di partenza, lo cedevano, anche previa interposizione di imprese cartiere, in quantità superiore a kg 2.000, applicando un ricarico medio di circa 9 millesimi/litro sul prezzo d’acquisto, per essere destinato ad usi soggetti a maggiore imposta, così procurando a sé e ai destinatari finali, ingenti profitti con pari danno per l’Erario in relazione all’evasione dell’accisa e I.V.A., derivante dall’agevolazione fiscale indebitamente goduta; nello specifico, NOME COGNOME nella qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, cedeva alla RAGIONE_SOCIALE come committente, il gasolio ad accisa ridotta (litri 1.340.974 per un valore di euro 1.023.624,00, con I.V.A. evasa pari a euro 123.639,00 e con accisa evasa pari a euro 643.667,00) proveniente dal deposito della RAGIONE_SOCIALE. Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a sette motivi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta error in procedendo ex artt. 178, lett. a, 606, lett. c, cod. proc. pen., poiché l’ordinanza impugnata, diversamente dalla prima ordinanza di annullamento, è stata pronunciata da un collegio speciale composto da magistrati non appartenenti alla Sezione Riesame.
In sintesi, la difesa deduce la violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, sussistendone sia i requisiti formali consistenti nella violazione delle tabelle organizzative, sia i requisiti sostanziali consistenti nella integrazione di un concreto pregiudizio per l’indipendenza, l’imparzialità, la capacità del giudicante, nonché per il diritto di difesa dell’indagato.
Sotto il profilo della violazione tabellare, la difesa segnala i seguenti elem a) il decreto di fissazione dell’udienza camerale era stato emesso dal presid della sezione del riesame e dal presidente del collegio che aveva annullato precedente provvedimento; b) presso il Tribunale di Potenza è presente un solo collegio del riesame, cui sono assegnati tre soli magistrati, con l’aggiunta membro supplente, a fronte della trattazione della presente vicenda da parte due distinti collegi; c) nell’udienza del 30/05/2024 il collegio del riesame tab si era allontanamento fisicamente, con l’ingresso di un collegio in dive composizione per la trattazione di tutti i riesami collegati al n. 41/2024 rgseq a quel momento impegnato in altre attività di udienza (Corte di assise coinvolgendo giudici titolari di altre funzioni; d) a fronte dell’istanza ex ar cod. proc. pen. della difesa ricorrente, il presidente del Tribunale, no presidente del collegio per la trattazione dei riesami, aveva fornito il ru udienza, non anche eventuali decreti presidenziali organizzativi.
Sotto il profilo della incidenza sostanziale sui diritti coinvolti, in partico relazione ai valori costituzionalmente tutelati dell’indipendenza, imparziali capacità del collegio giudicante, la difesa segnala i seguenti elementi l’esistenza di una grave violazione tabellare, essendo stato l’affare assegn giudici ordinariamente appartenenti a sezioni funzionalmente non competenti; b) l’assenza di provvedimenti organizzativi formali a fondamento della deroga organizzativa; c) l’assenza di effettive esigenze di buon andamento ed efficien illustrate in un provvedimento formale; d) il rallentamento dell’udienza 30/05/2024, con allontanamento del collegio del riesame ed attesa, da parte del difese, del nuovo collegio speciale; e) la diminuzione dell’efficienza compless dell’ufficio, in quanto il nuovo collegio ha impiegato 30 giorni nel deposito d motivazioni; f) il tenore dell’ordinanza emessa tendente a giustificare l’operat G.I.P.; g) l’attribuzione di un carattere assolutamente autonomo ad u motivazione del provvedimento genetico sostanzialmente identica a quella del primo sequestro.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta error in procedendo ex artt 649, 178, lett. b, 606, lett. c, cod. proc. pen., poiché l’ordinanza impu analogamente al titolo genetico, viola il principio del ne bis in idem cautelare
Deduce la difesa che la prima ordinanza del Tribunale del riesame, aderendo alla tesi del fumus in concreto, aveva affermato la necessità di non arrestarsi valutazione sul fumus alla mera verifica della sussumibilità astratta d fattispecie prospettata dal P.M., censurando nel merito la ricostruzione astr proposta dal P.M. e accolta dal G.I.P. dell’articolazione del commercio di carbura e dei ruoli organizzativi rivestiti da ciascuno al fine di poter afferm sussistenza di un concreto e consapevole apporto concorsuale; impostazione che non può essere riproposta in difetto di elementi nuovi, come invece avvenuto.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta error in procedendo ex artt. 125, comma 3, 309, comma 9, 324, comma 7, 292, comma 2, lett. c e c-bis, 606, lett. c, cod. proc. pen., poiché l’ordinanza impugnata afferma erroneamente l’esistenza, nel titolo genetico, di una motivazione autonoma e completa circa il fu m us.
La difesa deduce che i dati ritenuti come sintomatici di autonomia della motivazione del secondo decreto di sequestro (selezione degli atti di indagine da parte del G.I.P.; valutazione relativa alla insussistenza del delitto associativo; rapporti tra l’insussistenza del delitto associativo e la sussistenza della truffa continuata; prescrizione del reato sub 2) erano già presenti nel primo decreto di sequestro e già ritenuti inidonei dal Tribunale del riesame.
Aggiunge, inoltre, la difesa l’inidoneità delle considerazioni riferite dal G.I.P. alla posizione del ricorrente, esaurendosi esse in un apodittico riferimento al ruolo rivestito dal ricorrente stesso nel meccanismo criminoso, nonché alla mera pluralità dei trasporti, che viene valorizzata dal Tribunale del riesame, sottolineando un argomento non presente nel decreto del G.I.P., ovverosia il rapporto tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE e il rapporto tra quest’ultima e l RAGIONE_SOCIALE
Osserva, infine, la difesa che il carattere sovrabbondante dell’esercizio del potere integrativo da parte del Tribunale del riesame rispetto alla motivazione del fumus rivela la carenza di autonomia della motivazione del G.I.P.
2.4 Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta vizio del provvedimento ex artt. 110, 483, 640 cod. pen., 606, lett. b, cod. proc. pen., violando le fattispecie sostanziali astratte e non motivando in ordine alle doglianze difensive sul punto.
Deduce la difesa che, con riferimento alle provvisorie incolpazioni di cui agli artt. 110, 483 cod. pen. e di cui agli artt. 110, 640 cod. pen., l’ordinanza impugnata giustifica l’apporto causale del ricorrente descrivendo le imputazioni, così appiattendosi sull’astratta prospettazione del P.M., senza illustrare alcun elemento concreto, né sotto il profilo materiale, né sotto quello psicologico, aggiungendo, relativamente alla truffa, che l’ingiusto profitto è solo prospettato e calcolato, ma non identificato nella sua concreta consistenza, mentre l’atto dispositivo patrimoniale non può essere rappresentato dall’omesso controllo, infine con riferimento all’evento finale del vantaggio patrimoniale ci si accontenta del metodo di calcolo del G.I.P., senza riferimenti ad elementi indiziari dell’effettiva vendita a prezzo maggiorato del gasolio agricolo.
2.5 Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta vizio del provvedimento ex artt. 309, comma 9, 324, comma 7, 292, comma2, lett. c, 321, comma 2, 606, lett. c, cod. proc. pen., poiché il provvedimento impugnato omette di ravvisare la radicale nullità di un titolo genetico dotato di motivazione apparente sul periculum, forgiando una definizione eccentrica, errata ed apparente del medesimo.
Deduce la difesa che l’ordinanza impugnata, nel mettere in risalto il dato della avvenuta discovery del procedimento a fondamento del periculum, forgia un nuovo concetto di periculum, valorizzando solo l’elemento soggettivo non coincidente con specifici comportamenti dell’indagato. Aggiunge la difesa che tale tesi, ove accolta, comporterebbe l’esito paradossale dell’automatica sussistenza del periculum in tutti i casi di annullamento del titolo genetico, con successiva reiterazione del sequestro.
2.6 Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta vizio del provvedimento ex artt. 309, comma 9, 324, comma 7, 321, comma 2, cod. proc. pen., 240, comma 1, cod. pen., 606, lett. c, cod. proc. pen., poiché il provvedimento impugnato conferma un titolo genetico radicalmente nullo poiché dotato di una ricostruzione erronea e immotivata del profitto accrescitivo e del legame eziologico, violando inoltre il principio di sussidiarietà del sequestro di valore.
Deduce la difesa che il profitto oggetto del sequestro viene individuato nel risparmio di imposta, consistito nell’ammontare dell’IVA e delle accise evase e ricostruito mediante il metodo di calcolo desunto dall’imputazione, mentre la natura del bene ablato, cioè il denaro, implicherebbe la natura diretta del sequestro. Osserva la difesa che il profitto non è rappresentato da un risparmio di imposta, ma dalla percezione di somme aggiuntive di denaro non dovute dal consumatore finale, trattandosi di gasolio agricolo, mentre, per l’identificazione della confisca diretta o di valore, il parametro che rileva, è l’esistenza di un legame eziologico tra reato e profitto accrescitivo.
Consegue che, non essendo stato chiaramente individuato l’oggetto del profitto accrescitivo – non coincidente con il risparmio di imposta – rispetto al quale andrebbe verificato il nesso di pertinenzialità, non può essere neppure correttamente individuata la forma del sequestro, diretta o di valore, comunque necessaria nonostante la fungibilità del denaro. Infine, non sarebbe stato disposto nella fattispecie un sequestro a struttura mista, poiché il sequestro eseguito sulla base del decreto poi annullato era stato qualificato per equivalente dal G.I.P., anziché a struttura mista.
2.7 Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta vizio del provvedimento ex artt. 110 cod. pen., 321 cod. proc. pen., 606, lett. b-c, cod. proc. pen., poiché il provvedimento impugnato, in applicazione del principio solidaristico, dispone la confisca di valore per l’intero importo nei confronti di un correo che nulla ha concretamente percepito e pretende di applicare la confisca per equivalente per eludere la ricostruzione del profitto.
Lamenta la difesa che l’ordinanza impugnata ha ritenuto legittima l’ablazione per intero in capo al singolo a prescindere dalla concreta percezione anche solo di parte del profitto accrescitivo, laddove non sia individuabile la quota di tale profitto a ognuno concretamente attribuibile o la sua esatta quantificazione. Deduce,
quindi, l’esistenza di più argomenti a sostegno della opportunità di superare il principio solidaristico (la natura sanzionatoria della confisca non può rappresentare il presupposto giustificativo della solidarietà; la sanzione penale non è indifferenziata per tutti i concorrenti; la concezione monistica del reato concorsuale è in via di superamento) e conclude nel senso che anche il sequestro per equivalente non esenta dalla necessità di individuare il profitto accrescitivo, nonché la sua derivazione da reato, fungendo da mero parametro per calcolare il quantum massimo vincolabile.
3. E’ pervenuta memoria del difensore di fiducia del ricorrente, avv. NOME COGNOME con la quale si insiste sul primo motivo di ricorso, evidenziando che il documento organizzativo tabellare prevedeva l’espressa attribuzione dei procedimenti di riesame al solo Collegio C, composto dai magistrati Pres. dott.ssa COGNOME dott.ssa COGNOME, dott.ssa COGNOME e dott. COGNOMEquest’ultimo supplente), mentre il procedimento era stato trattato dal Collegio C-2 non previsto tabellarmente e composto da magistrati di altre sezioni (pres. COGNOME e dott.ssa COGNOME) ovvero da un magistrato solo supplente (dott. COGNOME, con violazione dei “criteri di sostituzione dei collegi” (non essendovi, né risultando agli atti, ragion di impedimento, astensione, ricusazione), dei “criteri di assegnazione degli affari” (il procedimento era stato assegnato a un apposito Collegio C-2, diverso dal Collegio C, unico previsto dalla tabella per i riesami), dei “criteri di formazione dei collegi” (essendosi formato un Collegio del riesame composto da giudici di altri settori diversi da quelli tabellarmente previsti), con conseguente nullità assoluta dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 178, lett. a), cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 7-bis dell’Ordinamento Giudiziario prevede che «la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati».
E’ stato, quindi, coerentemente affermato che non è nullo (Sez. 5, n. 39379 del 22/06/2012, Garino, Rv. 254318) e neppure abnorme l’atto con cui il giudice, in ragione del precedente compimento di attività che ne determina per legge l’incompatibilità, trasmetta gli atti del procedimento direttamente ad altro giudice per la sua trattazione, senza osservare le disposizioni riguardanti la procedura di sostituzione prevista dall’art. 36 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 38666 del 29/09/2011, Scalor, Rv. 251053).
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte ha avuto modo di precisare come la prevalente giurisprudenza di legittimità avesse uniformemente ritenuto che, nel
caso di inosservanza delle norme riguardanti la procedura per la sostituzione del giudice astenuto, non sussiste la nullità assoluta prevista dalla lettera a) dell’articolo 178 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 41261 del 17/09/2008, COGNOME, Rv. 241931; Sez. 6, n. 49988 del 02/12/2004, COGNOME, Rv. 230227; Sez. 3, n. 4750 del 27/11/2001, dep. 2002, Padula, Rv. 221055; Sez. 4, n. 1589 del 10/10/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220385; Sez. 2, n. 10474 del 04/04/1997, COGNOME, Rv. 210455; Sez. 1, n. 3831 del 07/03/1994, COGNOME, Rv. 196990), tanto sul presupposto che tale peculiare nullità attiene alla sola capacità generica del giudice prevista dal primo comma dell’articolo 33 cod. proc. pen. (quella cioè che concerne la nomina e l’ammissione alla funzione giurisdizionale), non riguardando invece la capacità specifica presa in considerazione dall’articolo 33, comma 2, del codice di procedura penale, in cui si fa riferimento alla regolare costituzione del giudice in un determinato processo con esplicito richiamo alle disposizioni sulla sua destinazione agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici (contesto ordinamentale richiamato dall’articolo 43, comma primo, del codice di procedura penale), la cui violazione è espressamente esclusa dalla nullità.
Né i principi esposti sono in contrasto con l’orientamento secondo il quale le irregolarità in tema di formazione dei collegi incidono sulla capacità del giudice, con conseguente nullità ex art. 178, lett. a), cod. proc. pen., solo quando sono volte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge, attraverso assegnazioni “extra ordinem” perché del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare (Sez. 6, n. 39239 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 257087; Sez. 3, n. 38112 del 03/10/2006, COGNOME, Rv. 235030; Sez. 1, n. 16214 del 05/04/2006, COGNOME, Rv. 234216).
E’, infatti, necessario, affinchè l’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio possa incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all’art. 33, comma primo, cod. proc. pen., non una ipotesi di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma piuttosto il determinarsi di uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Rv. 270775; Sez. 6, n. 13833 del 12/03/2015, Valle, Rv. 263079; Sez. 2, n. 6505 del 14/01/2011, Rv. 249450).
Si tratta di situazioni non individuabili nel caso in esame, poiché dalle deduzioni e allegazioni difensive non emerge uno stravolgimento dei criteri tabellari tale da determinare la nullità per difetto delle condizioni di capacità del giudice, né siffatte evenienze sono rilevabili dagli atti.
Dalla stessa documentazione prodotta dal ricorrente risulta, infatti, che il ruolo di udienza era stato preventivamente formato da due diversi Collegi e ciò rende evidente come non sia predicabile uno stravolgimento dei criteri tabellari in presenza di una chiara situazione di ritenuta incompatibilità del Collegio ordinario che, come lo stesso ricorrente prospetta, si era già in precedenza occupato della regiudicanda cautelare, annullando il decreto di sequestro successivamente riemesso e parimenti impugnato dal Gallo.
Il Collegio è dell’avviso che non si sia verificato alcun concreto pregiudizio in conseguenza della variazione tabellare, che integra un atto interno dell’Ufficio per il quale le fonti normative e la Circolare del CSM sulla formazione delle tabelle non prevedono una comunicazione esterna: il procedimento è stato, infatti, chiamato nella udienza prefissata ed è stato trattato e deciso dal Collegio presieduto dal Presidente del Tribunale, con deposito della motivazione entro il termine dei previsti trenta giorni, secondo il disposto del comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. richiamato dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen.; mentre eventuali censure contro il merito del provvedimento decisorio sono deducibili con il ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 cod. proc. pen. e rimangono estranee alla violazione tabellare.
2. Il secondo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la preclusione processuale determinata dal cosiddetto “giudicato cautelare” opera solo nel caso in cui via sia stato un effettivo apprezzamento, in fatto o in diritto, del materiale probatorio e dell’imputazione provvisoria, non conseguendo, invece, tale effetto alle decisioni che definiscono l’incidente cautelare in relazione ad aspetti meramente procedurali (Sez. 3, n. 8669 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 285962; Sez. 6, n. 43123 del 27/10/2020, COGNOME, Rv. 248804)).
La ratio dell’effetto preclusivo si coglie evidentemente nell’impedire che, immutate le condizioni di fatto legittimanti l’applicabilità di una misura cautelare, vi sia una mera rivalutazione degli stessi elementi, dovendosi evitare, in assenza di un quid novi, che venga emessa una misura cautelare in precedenza negata o che venga revocata una misura cautelare in precedenza adottata; in assenza di elementi di novità, non è perciò consentito né al pubblico ministero di richiedere, attraverso una rivalutazione degli stessi elementi, una misura cautelare, né, per converso, all’indagato di ottenere la revoca di una misura precedentemente applicata.
Coerentemente, è stato affermato che non sussiste alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro preventivo fondato sugli stessi presupposti del precedente, se quest’ultimo sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale, in quanto il principio del ne bis in idem è ostativo alla
reiterazione della misura medesima solo quando il giudice sia chiamato a riesaminare nel merito quegli stessi elementi che già siano stati ritenuti insussistenti o insufficienti e non anche quando tali elementi non siano stati valutati nel merito dal giudice del riesame (cfr. Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, COGNOME, Rv. 285206; Sez. 3, n. 37706 del 22/09/2006, COGNOME, Rv. 235249-01, nonché, per identiche conclusioni con riferimento al sequestro probatorio, Sez. 4, n. 13817 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284562-01, e Sez. 3, n. 9972 del 05/11/2019, dep. 2020, Fattori, Rv. 278422-01).
Allo stesso modo, si è precisato che, in materia di sequestro preventivo, l’annullamento del procedente provvedimento che dispone la misura ablativa non è di ostacolo all’emissione di una nuova misura, nei confronti della stessa persona e avente ad oggetto i medesimi beni, laddove non via sia stata alcuna precedente valutazione di merito in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per l’adozione della misura, tra cui, ai fini che qui rilevano, il periculum in mora (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, Rv. 286171).
Nella vicenda in esame, il sequestro preventivo precedentemente emesso dal G.I.P. di Potenza era stato annullato dal Tribunale del riesame per difetto di autonoma valutazione in relazione ai reati-fine, ai sensi dell’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., nonché per totale assenza di motivazione in ordine al periculum.
Ebbene, in relazione all’annullamento per mancanza del requisito del periculum, non vi è certamente stata alcuna valutazione di merito.
Ma anche con riferimento al difetto di autonoma valutazione sui reati-fine, la censura mossa dal ricorrente, circa il riferimento contenuto, nella ordinanza di annullamento del Tribunale del riesame, alla impostazione, proposta dal P.M. e accolta dal G.I.P., in ordine alla impossibilità di desumere la sussistenza di un concreto e consapevole apporto concorsuale dai ruoli organizzativi rivestiti da ciascuno degli indagati non comporta alcuna valutazione di merito, trattandosi di valutazione incidentale finalizzata a rimarcare l’obbligo del G.I.P. di una autonoma valutazione degli elementi costitutivi della misura cautelare richiesta, costituiti dal fumus commissi delicti e dal periculum in mora (Sez. 3, n. 33116 del 08/05/2024, Bushi, Rv. 286839).
Il terzo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati in quanto contestano la sussistenza dell’autonoma valutazione e del fumus dei reati in relazione ai quali è stato emessa la misura ablativa, sono manifestamente infondati.
In proposito, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso
per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e Imiter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893). Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Alla luce di tali principi, la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, non risulta affatt apparente, avendo il Tribunale del riesame, adeguatamente e senza vizi logici, dato conto della autonoma valutazione degli elementi indiziari da parte del G.I.P. e puntualmente indicato il meccanismo fraudolento illecito posto in essere dal ricorrente, consistito nell’aver utilizzato per lo stoccaggio del prodotto petrolifero, attraverso un contratto di conto deposito, il deposito della RAGIONE_SOCIALE per poi movimentare il gasolio lì stoccato in direzione del deposito della RAGIONE_SOCIALE (risultano emessi 37 DAS per 1.340.974 litri di gasolio agricolo) nel quale tuttavia non poteva essere introdotto, trattandosi di deposito non operativo. E questo sia sotto il profilo formale (il subentrante amministratore NOME COGNOME comunicava in data 30/07/2018 che il deposito, dopo il cambio della compagine sociale avvenuto nel 2017, sarebbe rientrato in funzione non prima del 03/09/2018), sia di fatto, perché in stato di abbandono, senza considerare che la capacità ricettiva del deposito era nettamente inferiore rispetto al gasolio che risultava, formalmente, essere stato lì trasportato come risultante dai dati riportati sui DAS emessi nel periodo maggio-ottobre 2018. La movimentazione del gasolio avveniva, pertanto, a mezzo di documentazione di accompagnamento (DAS) recante dati falsi e il gasolio perveniva in realtà a compiacenti depositi che, acquistandolo a prezzo altamente concorrenziale, lo immettevano sul mercato a prezzi bassi destinandolo ad un uso soggetto a maggiore imposta. In tale meccanismo illecito, ad un risparmio di spesa dipendente dal mancato pagamento
di IVA e accise da parte dei soggetti obbligati, sfruttando un’agevolazione fiscale indebita, corrispondeva un pari danno per l’Erario.
Diversamente da quanto dedotto in ricorso, il Tribunale ha poi spiegato, con linearità logica, che il G.I.P. aveva colmato il deficit motivazionale del primo provvedimento, individuando le fonti indiziarie conducenti, confermando l’insussistenza della fattispecie associativa, rilevando la intervenuta prescrizione della fattispecie di cui al capo 2, ma soprattutto analizzando le singole posizioni e valutando i singoli contributi concorsuali degli indagati, così conformandosi al disposto di cui all’art. 292, comma 1, lett. c, cod. proc. pen. secondo i principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in materia, tanto che – con riferimento alla specifica posizione del ricorrente – si metteva in evidenza la documentazione comprovante i fittizi trasporti di gasolio dal deposito della RAGIONE_SOCIALE (dove erano stoccati i prodotti petroliferi della società legalmente rappresentata dal ricorrente) al deposito non operativo della NOME COGNOME precisando come la data di viaggio indicata su uno dei documenti di trasporto era coincisa con un sopralluogo presso il deposito della NOME COGNOME constatandone l’inoperatività e come le date indicate sui documenti di trasporto apparentemente effettuati nei mesi di agosto e settembre 2018 da un determinato autista della RAGIONE_SOCIALE in realtà coincidevano con altri trasporti effettuati dallo stesso autista alla volta di altr depositi con percorsi del tutto incompatibili con quelli della ditta legalmente rappresentata dal ricorrente.
Emerge, in definitiva, uno sviluppo argomentativo del provvedimento impugnato tale da far ritenere come il Tribunale non sia venuto meno all’obbligo di esaustiva verifica del fumus dei reati ipotizzati, sottolineando altresì come non fosse stata offerta una lettura alternativa della falsità dei trasporti attestati dall documentazione rinvenuta presso la RAGIONE_SOCIALE né era stato logicamente spiegato – nel sostenere l’estraneità del ricorrente – perché il deposito della RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto attestare trasporti mai avvenuti, individuando il vantaggio esclusivo di quest’ultimo.
4. Il quinto motivo è infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha fissato i criteri di riferimento per ravvisare la sussistenza delle esigenze cautelari necessarie per il mantenimento del sequestro preventivo a fini di confisca, in particolare sul denaro.
Come precisato dalle Sezioni Unite, il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ad eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o
alienazione costituisca reato, per le quali è sufficiente la mera indicazione della appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).
Tanto in modo da garantire coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando appunto un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio. Ed è stato conseguentemente aggiunto come l’indicazione che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile, comporti una diversa modulazione del contenuto motivazionale del provvedimento coercitivo, dove «è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculunn, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio» (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, cit., in motivazione).
E la sussistenza del periculum in mora può essere desunta, in linea con quanto affermato sul punto dalla Corte di cassazione civile in materia di sequestro conservativo (ex multis, Sez. 3, n. 2081 del 13/02/2002, Rv. 552250 – 01), sia da elementi oggettivi, attinenti alla consistenza quantitativa (in ragione cioè dell’entità del profitto determinante il quantum sequestrabile e successivamente confiscabile, che, nel caso di specie, è pari alla rilevante cifra di euro 767.306,00) o alla natura e composizione qualitativa dei beni attinti dal vincolo, sia da elementi soggettivi, relativi al comportamento dell’onerato, che lascino fondatamente temere il compimento di atti dispositivi comportanti il depauperamento del suo patrimonio, senza che gli stessi elementi (oggettivi e soggettivi) debbano necessariamente concorrere, essendo tra di loro alternativi per fondare la giustificazione del sequestro (Sez. 3, n. 44874 dell’11/10/2022, COGNOME, Rv. 283769).
Nella fattispecie, la motivazione del G.I.P., ripresa ed integrata dal Tribunale del riesame, fa perno su due argomenti: l’avvenuta discovery del procedimento coincidente con l’esecuzione del primo provvedimento di sequestro; la natura volatile e facilmente trasferibile delle somme liquide, con pericolo di dispersione delle stesse, sottolineandosi infine la natura obbligatoria della confisca, in ragione
del fatto che la prospettiva offerta all’indagato è quella di una confisca certa e ineluclibile in caso di condanna.
Ebbene, se sul primo argomento – il riferimento alla intervenuta discovery l’argomentazione del ricorrente secondo la quale ad ogni annullamento formale di un decreto di sequestro preventivo dovrebbe corrispondere, nel rinnovo della misura ablativa, l’automatica sussistenza del requisito del periculum coglie nel segno, non così con riferimento ai successivi argomenti che sostengono la motivazione del sequestro. Nel caso in esame, infatti, la rilevante entità (vale a dire la consistenza quantitativa) del profitto confiscabile (euro 767.306,00) e, in via anticipatoria, sequestrabile nonché la natura dei beni (denaro) ritenuti esistenti nel patrimonio dell’indagato, rendono non apparente, ma realmente esistente, una motivazione facente leva sul fatto che dalla permanente disponibilità di essi, anche in considerazione appunto della loro qualità (trattandosi di beni fungibili e, quindi, facilmente occultabili), si possa desumere la possibile dispersione, anche in ragione – sempre quanto al denaro – della difficile, dal punto di vista obiettivo, rintracciabilità e, di conseguenza, del loro recupero ai fini della confisca in caso di condanna (così, Sez. 3, n. 44874 dell’11/10/2022, Fricano, cit.).
5. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, il sequestro non viola il principio di sussidiarietà del sequestro di valore, dal momento che il dispositivo del provvedimento adottato dal G.I.P. prevede il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, dei beni intestati e/o nella disponibilità degli indagati, mentre l’ordinanza impugnata ha chiarito, conformemente al consolidato orientamento affermato dalla Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 258646), che il denaro rinvenuto al momento dell’esecuzione del sequestro, che ne costituisce il profitto, formerà oggetto di sequestro diretto nei confronti della persona giuridica e dei suoi organi, mentre, solo subordinatamente, potrà procedersi al sequestro per equivalente nei confronti degli organi e, ove la persona giuridica costituisca uno schermo fittizio, anche nei confronti della persona giuridica stessa (pagina 27 della ordinanza impugnata).
Quanto al profitto, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, esso è cristallizzato – nella incolpazione provvisoria – nella evasione dell’accisa e dell’IVA, quale conseguenza dell’agevolazione fiscale indebitamente goduta, attraverso artifici e raggiri costituiti dalla indicazione di dati informativi falsi s documentazione semplificata di accompagnamento (DAS) necessaria per la movimentazione di prodotti soggetti ad accisa. E nel concetto di profitto del reato, definito dalla giurisprudenza quale “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Rv. 258636), è stato
ricompreso anche il c.d. “risparmio di spesa”, avendo le Sezioni Unite della Cassazione affermato che “in tema di reati tributari (…) il profitto (…) è costitui da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo” (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; sulla confiscabilità del risparmio di spesa conseguente al mancato versamento delle imposte, cfr., da ult., Sez. 3, n. 50320 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285624).
6. Il settimo motivo è fondato nei termini che seguono.
Nella fattispecie, in sede di incolpazione provvisoria, al ricorrente sono addebitate, in concorso, le fattispecie di reato di cui agli artt. 81, 110, 483, 640, comma 2, cod. pen., 40, comma 1, lett. c), e comma 4, d.lgs. n. 504/1995 in relazione all’art. 49 d.lgs. n. 504/1995, per aver, mediante artifici e raggiri, documentato falsamente l’acquisto, il trasporto e la cessione di prodotto petrolifero agevolato (gasolio agricolo) previa indicazione di dati informativi falsi sulla documentazione semplificata di accompagnamento (DAS) necessaria per la movimentazione di prodotti soggetti ad accisa, procurando ingenti profitti con pari danno per l’Erario in relazione all’evasione dell’accisa e I.V.A., derivante dall’agevolazione fiscale indebitamente goduta: nello specifico, NOME COGNOME nella qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, cedeva alla NOME RAGIONE_SOCIALE come committente, il gasolio ad accisa ridotta (litri 1.340.974 per un valore di euro 1.023.624,00, con I.V.A. evasa pari a euro 123.639,00 e con accisa evasa pari a euro 643.667,00) proveniente dal deposito della RAGIONE_SOCIALE
La Sesta Sezione di questa Corte, con la pronuncia n. 22935 del 05/03/2024, ha rilevato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità sul tema della necessità o meno della ripartizione della confisca per equivalente del profitto del reato in caso di pluralità di concorrenti nel medesimo, se, cioè, tale misura possa comunque essere disposta per l’intero valore del profitto nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente dal conseguimento di una quota dello stesso o dalla misura di quella individualmente percepita; oppure se l’ablazione indifferenziata possa avvenire soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno, non potendo altrimenti la confisca superare, per ciascuno di essi, il valore di tale quota; ovvero, ancora, se alla ripartizione debba provvedersi comunque, anche quando, cioè, non possa determinarsi la quota di profitto realizzata da ciascun concorrente, e, in questo caso, secondo quale criterio; precisando, infine, che tali questioni controverse si pongono in termini pressoché speculari anche con riferimento al sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., in funzione strumentale a tal specie di confisca.
Conseguentemente, è stata sottoposta alle Sezioni Unite la questione di diritto «se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equiv del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascu essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, l confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica d obbligazioni solidali».
Le Sezioni Unite hanno affrontato la questione all’udienza del 26/09/2024 ed è stata pubblicata la seguente informazione provvisoria: «In caso di concorso d persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è dispo nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in p uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confis per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione al sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti».
L’ordinanza impugnata . non è in linea con l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite, poiché afferma di far propria la posizione che ammette, nel limite del duplicazione, la confisca dell’intero nei confronti del correo qualora non possibile individuare la quota di tale profitto ad ognuno concretamente attribuibi o la sua esatta quantificazione, ritenendo legittimo il provvedimento di sequest disposto dal G.I.P. per l’intero nei confronti del ricorrente.
Si impone,, pertanto, l’annullamento della ordinanza sul punto, con rinvio a Tribunale di Potenza affinchè riesamini la questione dei limiti quantitativi sequestrabilità dei beni del singolo concorrente nel reato alla luce del princ affermato dalle Sezioni Unite.
In conclusione, in accoglimento del settimo motivo di ricorso, l’ordinanz impugnata deve perciò essere annullata limitatamente alla statuizione sull quantificazione del profitto confiscabile, con rinvio per nuovo giudizio sul punto Tribunale di Potenza affinché rivaluti l’importo fino alla concorrenza del quale dov operare il sequestro per equivalente alla luce del principio affermato dalle Sezi Unite.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente la quantificazione del profitto confiscabile e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Potenza competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10/12/2024.