Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8663 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8663  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Foggia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 5/7/2023 del Tribunale di Parma lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 luglio 2023 il Tribunale di Parma ha rigettato l’appello cautelare presentato da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 24 novembre 2022 del Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, con la quale era stata respinta l’istanza della medesima COGNOME, volta a ottenere il dissequestro e la restituzione dei beni di sua proprietà e di cui era stato disposto il sequestro per equivalente in relazione a reati tributari (richiesta che era stat fondata sull’eccedenza del valore di tali beni rispetto a quelli sequestrati in vi diretta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, nel cui interesse erano stati commessi i reati tributari contestati alla COGNOME).
Avverso tale ordinanza di rigetto la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a un unico articolato motivo.
Ha premesso che con ordinanza del 20 novembre 2020 il Tribunale di Parma aveva disposto il sequestro preventivo, impeditivo e a fine di confisca, nei confronti, tra gli altri, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, nonché, per equivalente, in caso di incapienza del patrimonio di tali società, nei confronti degli indagati, fino alla concorrenza della somma di euro 1.558.100,73 quanto alla ricorrente, di cui euro 600.528,50 relativamente al reato contestato come commesso in favore della RAGIONE_SOCIALE (capo O della rubrica) ed euro 957.572,23 quanto alle condotte poste in essere in favore della RAGIONE_SOCIALE (capo P della rubrica). Con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE era quindi stato sequestrato in via diretta il saldo attivo di un conto corrente presso la Cassa di Ravenna, pari a euro 494,952,68, successivamente dissequestrato per essere utilizzato per il pagamento di debiti tributari della società. Nei confronti della RAGIONE_SOCIALE era stato sequestrato, in via diretta, il saldo attivo di un altro conto bancario, pari a euro 1.306.549,44 successivamente anch’esso dissequestrato e impiegato per il pagamento di gran parte dei pregressi debiti tributari di tale società. L’ammontare complessivo delle somme sequestrate in via diretta ammontava dunque a euro 1.801.502,12, superiore alla somma massima sequestrabile indicata nel provvedimento di sequestro.
Con sentenza del 17 ottobre 2022 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Parma aveva dichiarato la responsabilità della COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi A), O) e P) della rubrica e aveva ordinato la confisca delle somme sequestrate alle società coinvolte, tra cui la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, nonché la confisca per equivalente dei beni degli imputati fino alla concorrenza, quanto alla COGNOME, della somma di euro 1.558.100,73.
Alla ricorrente erano però stati sequestrati beni eccedenti tale importo, del valore complessivo di euro 853.932,52 (costituiti dalla quota di un quarto di due gestioni patrimoniali; da una partita transitoria con vincolo di indisponibilità; da 10% delle quote della RAGIONE_SOCIALE; dalla quota di un mezzo di un immobile in Valmontone; dal saldo attivo di un conto corrente, pari a euro 1.781,15; dal saldo di un conto cointestato, pari a euro 11.915,91; da una polizza assicurativa; dalla frazione di un quinto delle retribuzioni percepite da novembre 2021 a settembre 2022, pari a euro 9.402,88), tenendo conto dei sequestri eseguiti in via diretta nei confronti delle società.
Con istanza del 11 novembre 2022 aveva quindi chiesto la restituzione dei beni che le erano stati confiscati per equivalente, in quanto eccedenti la somma che poteva essere confiscata, tenendo conto delle somme già oggetto di sequestro diretto, ma il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Parma aveva respinto tale istanza, per essere state dissequestrate e restituite le somme sequestrate in via diretta alle società che avevano beneficiato dei reati.
Infine, il Tribunale di Parma, con l’ordinanza del 5 luglio 2023, aveva respinto l’appello cautelare avverso tale diniego.
Tanto premesso, ha lamentato la violazione di disposizioni di legge penale e processuale, con riferimento alla affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui avrebbe dovuto essere impugnato il provvedimento del 4 dicembre 2020, con cui il Pubblico ministero aveva disposto il dissequestro dei beni delle società e il sequestro per equivalente dei beni della ricorrente, e non già il provvedimento di diniego del dissequestro del 24 novembre 2022 del Giudice dell’udienza preliminare.
Ha affermato che la richiesta di restituzione, per essere i beni sequestrati per equivalente eccedenti il profitto confiscabile, può essere avanzata ogni volta che si ravvisi una tale sproporzione e che non può essere addebitata alla persona fisica destinataria del sequestro per equivalente la dispersione dei beni assoggettati a confisca diretta, conseguente alla loro restituzione da parte del Pubblico ministero, cui consegua il sorgere del presupposto per poter eseguire il sequestro per equivalente nei suoi confronti.
Il AVV_NOTAIO Generale ha concluso nelle sue richieste scritte per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando la legittimità del sequestro per equivalente nei confronti della ricorrente, alla luce della incapienza dei beni sequestrati in via diretta a seguito della loro restituzione all’amministratore giudiziario delle società, e la non pertinenza delle censure in ordine alla restituzione di detti beni.
Con memoria del 29 dicembre 2023 la ricorrente ha ribadito le proprie censure, in ordine alla eccedenza del valore dei beni che le sono stati sequestrati rispetto alla somma di euro 1.558.100,73 indicata come limite nel provvedimento di sequestro del 19 novembre del Tribunale di Parma, tenendo conto del valore dei beni sequestrati in via diretta e del fatto che con la sentenza di condanna del 17 ottobre 2022 era stata disposta la confisca delle somme di denaro sequestrate alle società e la confisca per equivalente di beni e valori di proprietà degli imputat sino alla concorrenza massima, per quel che riguarda la ricorrente, di euro 1.558.100,73, inferiore alle somme sequestrate in via diretta sui conti correnti bancari delle società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, delle quali la ricorrente era amministratrice unica.
Ha ribadito l’irrilevanza, rispetto alla possibilità di procedere a sequestro per equivalente nei propri confronti, del provvedimento di restituzione adottato dal Pubblico ministero a favore dell’amministratore giudiziario, sottolineando l’erroneità del provvedimento di restituzione, in quanto assunto in violazione dell’art. 104 bis cod. proc. pen., trattandosi di disposizione applicabile alle sole ipotesi di sequestro rivolto alla confisca di prevenzione di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non estensibile per via analogica a ipotesi diverse. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso non è fondato.
 Giova premettere, per la migliore comprensione della vicenda e delle censure sollevate dalla ricorrente, che:
con ordinanza del 19 novembre 2020 il Tribunale di Parma, accogliendo l’appello cautelare proposto dal Pubblico ministero nei confronti del provvedimento del 12 ottobre 2020 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, ha autorizzato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta della somma di euro 16.867.388,66 nella disponibilità delle società coinvolte nella frode fiscale e, per equivalente, nei confronti della COGNOME, fino alla concorrenza della somma di euro 1.588.100,73;
in esecuzione di tale provvedimento sono state sequestrate le somme giacenti sui conti correnti bancari della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (di cui la COGNOME era amministratrice unica e nel cui interesse aveva posto in essere le condotte contestatele), per complessivi euro 1.558.100,73, oltre a quella di euro 348.977,21, rinvenuta sui medesimi conti e ritenuta nella disponibilità degli indagati, come tale sottoposta a sequestro per equivalente;
 con decreto del 4 dicembre 2020 il Pubblico ministero ha disposto il dissequestro di tali somme in favore dell’amministratore giudiziario delle società, in quanto necessarie per la prosecuzione dell’attività d’impresa delle due società;
 a seguito di tale restituzione è stato eseguito il sequestro per equivalente dei beni nella disponibilità della COGNOME, del valore di euro 432.849,41;
con sentenza del 17 ottobre 2022 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Parma ha condannato la stessa COGNOME in relazione ai reati tributari che le erano stati contestati, disponendo la confisca del relativo profitto, anche per equivalente sui beni della imputata, fino alla concorrenza della somma di euro 1.558.100,73;
 con istanza del 11 novembre 2022 la COGNOME ha chiesto la restituzione di tali beni, in quanto eccedenti il valore del profitto confiscabile, tenuto conto de valore dei beni sequestrati in via diretta alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
tale istanza è stata rigettata con provvedimento del 24 novembre 2022, in considerazione dell’intervenuto provvedimento di restituzione adottato dal Pubblico ministero il 4 dicembre 2020;
il Tribunale di Parma, investito dell’appello della COGNOME avverso tale provvedimento, ha rigettato, con l’ordinanza impugnata, il gravame della imputata, rilevando che l’imputata avrebbe dovuto proporre appello cautelare nei confronti del provvedimento di restituzione del 4 dicembre 2020 dei Pubblico ministero, in quanto era stato questo provvedimento a ledere gli interessi della ricorrente; nel merito il Tribunale ha sottolineato la legittimità del sequestro per equivalente, in considerazione della sopravvenuta insufficienza dei beni sottoposti a sequestro diretto a consentire la confisca del profitto dei reati tributari contestat alla COGNOME come commessi nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, e anche del provvedimento di dissequestro del Pubblico ministero, consentito dall’art. 104 bis disp. att. cod. proc. pen.
Tanto premesso, circa lo svolgimento della vicenda che ha condotto alla sottoposizione a sequestro per equivalente dei beni della ricorrente, ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Va ricordato, in premessa che, come chiarito dalle Sezioni Unite, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimamente eseguito quando, essendo il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato impossibile, sia pure anche solo transitoriamente, ovvero essendo gli stessi non aggredibili per qualsiasi ragione, non possa farsi luogo al sequestro in via diretta (Sez. U., n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648).
Mentre deve ritenersi escluso il ricorso, in via principale, al solo sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, la giurisprudenza di legittimità ne ha ammesso la praticabilità quando risulti ex actis, anche in via genetica,
l’impossibilità di esecuzione del sequestro in forma specifica, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la preventiva ricerca dei beni (Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 2019, PM in proc. Bennati, Rv. 275687 – 01; nel medesimo senso già, tra le tante, Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, COGNOME, Rv. 272238 – 01; Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265028 – 01; Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262770 – 01; v. anche, in motivazione, Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, PM in proc. Sangermano, Rv. 279382 – 01).
In tal caso, fornita la prova che il profitto o il prezzo del reato non è stat rintracciato e neppure è, con l’uso della normale diligenza, prontamente rintracciabile, la condizione negativa si considera adempiuta e il titolare dell’azione cautelare pienamente legittimato a richiedere e il giudice cautelare a disporre il sequestro finalizzato alla confisca di valore.
Quanto alle modalità di adozione del provvedimento di sequestro per equivalente è legittimo il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca che presenti una struttura “mista”, prevedendo, in via principale, la sottoposizione a vincolo, a titolo di sequestro diretto, del profitto dei reati conseguito dall persona giuridica e, subordinatamente all’accertata impossibilità di esecuzione di questo, il sequestro di un valore equivalente nella disponibilità del legale rappresentante dell’ente (Sez. 3, n. 46973 del 10/05/2018, B., Rv. 274074 – 01; conf. Sez. 3, n. 29862 del 01/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273689 – 01, secondo cui la verifica della infruttuosità del sequestro diretto o dell’incapienza del patrimonio della persona giuridica colpita da tale vincolo, che consente di disporre, in subordine, il sequestro per equivalente nei confronti della persona fisica che ne ha la rappresentanza, non deve essere necessariamente eseguita prima dell’adozione del provvedimento, ben potendo, tale accertamento, essere demandato al pubblico ministero in fase di esecuzione; v. anche Sez. 3, n. 38858 del 14/06/2016, Fiusco, Rv. 267631 – 01).
Ciò posto in via AVV_NOTAIO, nel caso in esame è stato disposto il sequestro preventivo strumentale alla confisca diretta del profitto dei reati tributari commessi nell’interesse delle persone giuridiche sui beni presenti nel patrimonio di queste ultime e, per equivalente, in caso di insufficienza di tali beni, per equivalente sui beni dei loro amministratori, tra cui la ricorrente.
Tale sequestro è stato eseguito, per quanto ora rileva in relazione alla posizione della COGNOME, in via diretta e in misura corrispondente al profitto dei reati tributari (e, anzi, secondo quanto esposto nell’ordinanza impugnata, in misura superiore), sui beni delle persone giuridiche nel cui interesse sono stati commessi i reati tributari contestati agli imputati, tra cui la ricorrente.
A seguito del dissequestro di quanto sequestrato, costituito dal saldo attivo esistente sui conti correnti bancari delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e della restituzione di tali somme all’amministratore giudiziario di dette società, è stato eseguito il sequestro per equivalente sui beni della COGNOME, essendo divenuto attuale il presupposto di tale misura, ossia l’insufficienza dei beni presenti nel patrimonio delle persone giuridiche (per essere dette somme state utilizzate per la prosecuzione delle loro attività di impresa).
Ne consegue che al momento dell’esecuzione del sequestro per equivalente sui beni della ricorrente era sussistente il presupposto della misura, costituito, appunto, dalla incapienza dei beni presenti nel patrimonio delle persone giuridiche beneficiarie dei reati tributari.
La circostanza che tale condizione si sia verificata a seguito e in conseguenza di un provvedimento di restituzione ritenuto dalla ricorrente illegittimo avrebbe dovuto essere fatta valere impugnando tale provvedimento di restituzione, di cui la ricorrente non ha allegato di essere stata all’oscuro e che quindi avrebbe potuto utilmente censurare proponendo appello ai sensi dell’art. 322 bis cod. proc. pen., come rilevato dal Tribunale di Parma nell’ordinanza impugnata.
Non avendo, la ricorrente, censurato il provvedimento di restituzione, che ha determinato la verificazione del presupposto di eseguibilità del provvedimento di sequestro preventivo per equivalente (ossia la suddetta insufficienza dei beni da sequestrate in via diretta), non può la stessa ora utilmente dolersi della mancanza dei presupposti per poter eseguire detta misura, che, invece, al momento della sua esecuzione erano esistenti.
I rilievi in ordine alla illegittimità del provvedimento di dissequestro e restituzione avrebbero, poi, dovuto essere fatti valere mediante l’impugnazione di tale provvedimento, cosicché ne risulta ora preclusa la deduzione avverso il diverso e successivo provvedimento che ha rigettato l’appello nei confronti del diniego della restituzione dei beni della ricorrente, assoggettati a sequestro per equivalente per l’acclarata insufficienza dei beni da sottoporre a sequestro diretto, come evidenziato dal Tribunale nell’ordinanza impugnata, con affermazione che la ricorrente non ha considerato in modo critico, limitandosi a ribadire l’illegittimità del provvedimento di restituzione dei beni sequestrati in via diretta, che non rileva sulla attuale sussistenza dei presupposti per poter eseguire il sequestro per equivalente, pacificamente sussistenti.
Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, in quanto al momento della esecuzione del sequestro per equivalente ne sussistevano i presupposti, e i rilievi circa la legittimità del dissequestro disposto dal Pubblico ministero avrebbero dovuto essere fatti valere mediante l’impugnazione di tale provvedimento.
Consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/1/2024