Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25782 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25782 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI NOME IN PROPRIO E QUALE L.R.P.T. DELLA SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE nato a TORINO il 21/05/1978
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 del TRIBUNALE di VENEZIA, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 15 novembre 2024 il Tribunale di Venezia, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di COGNOME COGNOME e COGNOME Maria avverso il provvedimento emesso in data 8 agosto 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, con il quale era stata rigettata la richiesta di dissequestro dei beni e liquidità già sottoposti a sequestro preventivo in relazione a plurime truffe ai danni dello Stato, truffe aggravate in danno di privati e indebita compensazione di debiti tributari, reati commessi nell’ambito
dei cosiddetti “bonus edilizi” e segnatamente dei “bonus facciate” dal mese di agosto 2021 al mese di dicembre 2022.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione la sola COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva violazione degli artt. 240, 322-ter e 640-quater cod. pen. e 321 cod. proc. pen.
Assumeva che la richiesta di dissequestro di parte dei crediti d’imposta presenti sul cassetto fiscale della società RAGIONE_SOCIALE, della quale la COGNOME NOME era legale rappresentante, aveva ad oggetto dei crediti d’imposta relativi a lavori edilizi effettivamente svolti, e pertanto aventi natura lecita, crediti che erano stati fatti oggetto di sequestro per un errore in sede di esecuzione della misura cautelare reale, e non in sede della sua adozione, considerato che sia il Pubblico Ministero che aveva adottato la misura che il Giudice per le indagini preliminari che l’aveva convalidata avevano qualificato tale sequestro, al punto n. 1 del provvedimento, quale sequestro preventivo impeditivo ex artt. 240, 640-quater cod. pen. e 321, comma 1, cod. proc. pen., precisando che lo stesso aveva ad oggetto crediti d’imposta “fraudolentemente ottenuti da Dueal in quanto provento dei capi di provvisoria incolpazione”, per complessivi euro 6.289.248,00.
Deduceva che, con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Venezia aveva erroneamente ritenuto che si trattasse di un sequestro del profitto del reato, e perciò eseguibile per equivalente senza che venisse in rilievo il nesso di pertinenzialità fra il bene sequestrato e i reati contestati.
Assumeva che in realtà si trattava di un sequestro non del profitto del reato, bensì del prodotto del reato o comunque di cose pertinenti al reato che, come tali non erano sottoponibili a sequestro per equivalente.
Osservava che tanto ciò era vero che il cassetto fiscale della detta società non era stato sequestrato per intero, bensì erano stati sottoposti a sequestro soltanto i crediti d’imposta derivanti dalle operazioni di cessione oggetto d’indagine, e ciò nonostante l’intero ammontare dei crediti in sequestro non fosse pari all’importo massimo sequestrabile indicato nel decreto di sequestro.
Evidenziava in particolare che il provvedimento di sequestro recava una netta separazione dei diversi titoli di sequestro, riportando, a pag. 34, la dicitura “anche per equivalente” solo nei sequestri indicati ai numeri 1 e 4 e non in quelli di cui ai numeri 2 e 3, e che riguardo al sequestro impeditivo di cui al
punto 1, oggetto del ricorso, il provvedimento di sequestro faceva riferimento al comma 1, e non al comma 2, dell’art. 321 cod. proc. pen.
Assumeva, per altro verso, che la RAGIONE_SOCIALE aveva documentato la legittima provenienza dei crediti dei quali aveva chiesto il dissequestro e la restituzione, cioè a dire la non riconducibilità degli stessi alle opere edilizi oggetto di indagine.
In data 21 febbraio 2025 la difesa depositava memoria di replica con la quale ribadiva le argomentazioni già illustrate con il ricorso, che assumeva non essere generico, e deduceva inoltre che i profili illustrati non erano stati fatti oggetto di precedente giudizio cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ed invero, il Giudice della cautela ha chiarito che la questione relativa alla effettiva riconducibilità dei crediti di imposta in sequestro a quelli generati dall condotte truffaldine contestate, questione proposta dalla ricorrente anche con l’appello cautelare, era indifferente alla luce della natura del sequestro in atto, “espressamente disposto dal Gip ai sensi degli artt. 240, 640-quater, 322-ter c.p. e 321 c.p.p., quindi, alla stregua di profitto del reato ed anche nella forma per equivalente”.
Il Tribunale ha evidenziato, in particolare, che con il decreto di sequestro reso in data 17 aprile 2024 il Giudice per le indagini preliminari aveva qualificato i crediti d’imposta da sottoporre a sequestro come provento dei reati di cui ai capi 9, 3), 5), 6) 8), 10), 12), 14), 15), 17), 18), 19) e 20) e avev richiamato espressamente gli artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., che consentivano anche la confisca per equivalente (e dunque il sequestro funzionale alla stessa) del prezzo e del profitto del reato.
Ha, inoltre, congruamente osservato che in ogni caso la questione relativa alla qualificazione dei crediti d’imposta oggetto di sequestro era coperta dal cosiddetto giudicato cautelare, formatosi con la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza confermativa del sequestro resa dal Tribunale di Venezia in data 10 aprile 2024.
Il richiamo è a Sez. 2, n. 44726 del 14/1172014, Di Paolo Maria COGNOME, non massimata, che, giudicando sull’impugnazione dell’istanza di riesame emessa dal Tribunale di Venezia in relazione al medesimo sequestro, ha osservato che,
“a fronte di tredici capi di imputazione provvisoria (per i delitti di cui all’a 640-bis cod. pen., oltre alle ulteriori numerose contestazioni per le truffe ai danni di privati e per la violazione tributaria) posti a fondamento della misura reale impugnata in questa sede, l’atto di ricorso non distingue minimamente al contrario di quanto illustrato nel decreto del Giudice per le indagini preliminari, come confermato dalla rilettura del Tribunale – rispetto alle singole condotte ascritte agli indagati, riferendosi sempre ad esse cumulativamente, né chiarisce gli eventuali limiti rispetto a ciascun credito dei due diversi vincoli d sequestro esistenti per tutti i capi suddetti (rectius, per solo dodici di essi, posto che per i: capo 19 non era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca). I ricorrenti risultano, dunque, inottemperanti allo specifico onere di indicare gli elementi che hanno posto alla base delle censure formulate, non consentendo, di fatto, al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare compiutamente il proprio sindacato. Le doglianze restano, dunque, incise da un’insuperabile indeterminatezza in ordine all’effettivo svolgimento delle singole vicende concrete (e, in particolare, al mancato conseguimento, per ciascuna posizione, dell’ingiusto profitto), alla conseguente corretta qualificazione giuridica dei fatti e alla ritualità dei successivi sviluppi procedimentali, anche tenuto conto della fisiologica fluidità ed evoluzione degli accertamenti durante la fase delle indagini”.
Quanto, poi, alla doglianza relativa a un assunto errore in sede di esecuzione della misura cautelare, occorre osservare come le questioni che attengono alle modalità di esecuzione del sequestro preventivo non possono essere fatte valere con una richiesta di riesame (né con una istanza di dissequestro). Considerato che spetta al pubblico ministero il potere di fissazione delle modalità esecutive del sequestro preventivo e che i provvedimenti con cui è esercitato tale potere sono impugnabili con la procedura dell’incidente di esecuzione, si tratta, dunque, di questioni che devono essere portate all’attenzione del giudice competente con la suddetta distinta procedura non impugnatoria (Sez. 1, ord. n. 8283 del 24/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280604-01; Sez. 2, n. 44504 del 6 03/07/2015, COGNOME, Rv. 265103-01; Sez. 6, n. 16170 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 25976901). La doglianza in questione è, pertanto, non consentita in questa sede.
Infine, la deduzione relativa alla natura di prodotto del reato di taluni crediti di imposta sconta, data la mancata di adeguata indicazione in riferimento a
ciascuna condotta, la mancanza di specificità nel senso indicato nella sopra richiamata sentenza di questa Corte.
2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 08/04/2025