Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 4808  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMINI NOME
NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 29/08/2023 del TRIBUNALE DI PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 29 agosto 2023 il Tribunale di Perugia rigettava l’appello con il quale l’indagato NOME COGNOME aveva chiesto la restituzione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE, sottoposte anch’esse, unitamente ad altri beni, a sequestro preventivo per equivalente, ai sensi degli artt. 321, 322-ter, 648-quater cod. pen. e 12-bis decreto legislativo n. 74 del 2000.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge, stante la mancanza della motivazione sulla sussistenza del fumus commissi delicti, del periculum in mora e di tutte le condizioni che legittimavano il sequestro.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo manifestamente infondato.
In materia di misure cautelari reali, così come per quelle personali, nel giudizio di appello opera il principio devolutivo, in virtù del quale la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, sicché con l’appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo. (Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015, COGNOME, Rv. 264818 – 01; Sez. 6, n. 15855 del 05/02/2004, COGNOME, Rv. 228809; di recente v. Sez. 3, n. 45553 del 26/10/2022, COGNOME, non mass.).
Nel caso di specie, con l’istanza proposta al G.i.p. l’indagato aveva richiesto la revoca del sequestro preventivo e la conseguente restituzione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE, assumendo di avere avuto la disponibilità delle stesse nel dicembre 2019, in epoca di molto successiva ai fatti.
Con l’appello proposto personalmente avverso l’ordinanza di rigetto del G.i.p., COGNOME aveva ribadito la lontananza nel tempo dei reati addebitatigli rispetto al proprio ingresso nella società RAGIONE_SOCIALE, tale da scongiurare il sospetto di avere ivi trasferito il provento dei reati.
Sulla base di questo solo motivo di impugnazione, correttamente il Tribunale del riesame ha richiamato il principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, rileva l’effettiva disponibili giuridica dei beni da parte dell’indagato, anche per interposta persona, al momento in cui sia disposto il vincolo, essendo ininfluente, in considerazione della natura sanzionatoria dell’istituto, la circostanza che gli stessi siano stat acquisiti antecedentemente o dopo la commissione del reato (v., ad es., Sez. 3, n. 41135 del 22/05/2019, Gado, Rv. 277980-01, in una fattispecie relativa al sequestro di beni acquistati molti anni prima rispetto all’adozione del provvedimento).
Il Tribunale, dunque, non aveva alcun onere di trattare del fumus dei reati né della sussistenza del periculum in mora, ma doveva solo rispondere – come ha fatto – al motivo di appello proposto.
Coerentemente con il principio sopra richiamato, questa Corte ha da ultimo statuito che, in tema di ricorso per cassazione avverso provvedimenti emessi nel giudizio cautelare di appello, è preclusa la deduzione di questioni nuove, non proposte con l’istanza di revoca della misura e non esaminate in sede di appello, in ragione della natura devolutiva del giudizio di legittimità e della necessità di un previo esame del merito della questione, indispensabile per la corretta individuazione del fatto cui si riferisce la norma giuridica di cui si discut l’applicazione (Sez. 3, n. 45314 del 04/10/2023, Scaglione, Rv. 285335-01, in una fattispecie relativa a censure attinenti alla sussistenza del fumus del reato, dedotte per la prima volta con il ricorso per cassazione).
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/01/2024.