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Sequestro per equivalente: limiti appello in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di sequestro per equivalente. La decisione si fonda sul principio devolutivo, che impedisce di presentare in Cassazione motivi di ricorso nuovi, come la mancanza del ‘fumus commissi delicti’, se non sono stati sollevati nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha ribadito che, ai fini del sequestro per equivalente, è irrilevante il momento in cui i beni sono entrati nella disponibilità dell’indagato.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro per Equivalente: i Limiti dell’Appello in Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4808 del 2024, offre importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione in materia di misure cautelari reali, con particolare riferimento al sequestro per equivalente. La pronuncia sottolinea la rigidità del principio devolutivo, che vincola il giudizio di legittimità ai soli motivi già proposti nei precedenti gradi di giudizio, precludendo l’introduzione di nuove censure.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un provvedimento di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Tribunale di Perugia, che colpiva, tra gli altri beni, le quote sociali di una S.r.l. appartenenti a un indagato. Quest’ultimo presentava istanza di revoca del sequestro, sostenendo di essere entrato in possesso delle quote sociali in un’epoca di molto successiva ai fatti di reato contestati, escludendo così che potessero essere il provento di tali illeciti.

Sia il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) che, in sede di appello, il Tribunale rigettavano la richiesta. L’indagato decideva quindi di ricorrere per Cassazione, introducendo per la prima volta motivi nuovi, relativi alla presunta mancanza del fumus commissi delicti e del periculum in mora, ovvero i presupposti fondamentali per l’applicazione di qualsiasi misura cautelare.

L’Applicazione del Sequestro per Equivalente e i Motivi d’Appello

Il ricorrente, nel suo appello originario, si era limitato a una sola argomentazione: la posteriorità dell’acquisto delle quote rispetto ai reati. Questa linea difensiva si è scontrata con un orientamento consolidato della giurisprudenza. Il Tribunale del riesame, infatti, aveva correttamente richiamato il principio secondo cui, ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è rilevante unicamente la disponibilità giuridica dei beni in capo all’indagato al momento dell’adozione del vincolo. La natura sanzionatoria dell’istituto rende del tutto ininfluente che tali beni siano stati acquisiti prima o dopo la commissione del reato.

Di fronte alla Corte di Cassazione, la difesa ha tentato di ampliare il perimetro della contestazione, attaccando le fondamenta stesse della misura cautelare. Tuttavia, questa strategia si è rivelata infruttuosa.

La Decisione della Corte e il Principio Devolutivo

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione sul cosiddetto “principio devolutivo”. In base a tale principio, la cognizione del giudice dell’impugnazione (ad quem) è strettamente limitata ai motivi specificamente dedotti dall’appellante e al decisum (ciò che è stato deciso) del provvedimento impugnato. Non è consentito, pertanto, proporre motivi nuovi rispetto a quelli avanzati in primo grado, né il giudice superiore ha il potere di estendere d’ufficio il proprio esame a questioni non sollevate in precedenza.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il Tribunale non aveva alcun onere di motivare sulla sussistenza del fumus e del periculum, poiché queste questioni non erano state oggetto del gravame. Il Tribunale aveva correttamente risposto all’unico motivo di appello sollevato, ovvero la presunta irrilevanza delle quote sociali perché acquistate successivamente ai reati.

Di conseguenza, la deduzione in sede di legittimità di questioni nuove, non sottoposte al previo esame del merito, è stata considerata preclusa. La Cassazione ha citato propri precedenti, ribadendo che, per discutere l’applicazione di una norma giuridica, è indispensabile che vi sia stato un previo esame nel merito del fatto a cui tale norma si riferisce. L’introduzione di censure completamente nuove in Cassazione viola la natura stessa del giudizio di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza in esame costituisce un monito fondamentale per la strategia processuale nelle impugnazioni cautelari. È essenziale che tutti i potenziali motivi di doglianza, dai vizi procedurali alla carenza dei presupposti sostanziali come il fumus commissi delicti, vengano sollevati sin dal primo atto di impugnazione. Omettere una censura in sede di appello cautelare ne preclude la successiva deduzione dinanzi alla Corte di Cassazione. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, per il ricorrente, non solo la conferma del sequestro, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

È possibile contestare un sequestro per equivalente sostenendo di aver acquistato i beni dopo la commissione del reato?
No, la Corte ha ribadito che per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è irrilevante se i beni siano stati acquisiti prima o dopo il reato. Ciò che conta è la loro effettiva disponibilità giuridica da parte dell’indagato al momento in cui viene disposto il sequestro.

Si possono introdurre nuovi motivi di ricorso per la prima volta in Cassazione in un giudizio cautelare?
No, la sentenza afferma che, in virtù del principio devolutivo, la cognizione del giudice d’appello e di legittimità è circoscritta ai motivi dedotti nei gradi precedenti. È quindi preclusa la deduzione di questioni nuove, non esaminate in sede di appello, direttamente con il ricorso per cassazione.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se si ravvisano profili di colpa, anche al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna a tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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