Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25765 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25765 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il 3/04/1973 in proprio e in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE quale terza interessata avverso l’ordinanza del 17/12/2024 del Tribunale di Vibo Valentia
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Vibo Valentia, in funzione di giudice del riesame ex art. 324 cod. proc. pen., ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 16 ottobre 2024 dal Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale per il reato di cui all’art. 316-ter cod.
pen, e con lo stesso provvedimento anche il decreto emesso dal Pubblico Ministero in data 19 novembre 2024 avente ad oggetto il sequestro probatorio per il reato di cui 617-bis cod.pen. nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente, il primo, quale amministratore e socio unico, e la seconda, quale institrice della società RAGIONE_SOCIALE sita in Vibo Valentia in località aeroporto.
In particolare, il sequestro preventivo è funzionale alla confisca diretta e per equivalente dell’importo di euro 26.384,84 corrispondente al profitto del reato contestato di cui all’art. 316-ter cod.pen. prevista come obbligatoria dall’art. 322ter cod.pen.
Secondo l’ipotesi accusatoria la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe beneficiato dell’erogazione delle integrazioni salariali a carico dell’INPS per l’importo dell’80°/0 della retribuzione spettante ai lavoratori per le ore di lavoro non prestate sulla base della falsa attestazione della riduzione dell’orario di lavoro durante il periodo del Covid-19, per un importo pari ad euro 26.384,84.
Il sequestro probatorio, oggetto di un’autonoma istanza di riesame ex art. 257 cod.proc.pen., riunita nel medesimo procedimento, attiene alle indagini in corso sull’utilizzo di telecamere dotate di microfono per la captazione di conversazioni collocate in prossimità dei luoghi di lavoro.
Tramite il proprio difensore di fiducia, hanno proposto ricorso COGNOME Domenico e RAGIONE_SOCIALE per i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione alla competenza per territorio per il sequestro preventivo relativo al reato di cui all’art 316-ter cod.pen. atteso che dalla documentazione prodotta si evince che l’erogazione dell’integrazione salariale è avvenuta ad opera della sede centrale dell’INPS sita in Roma e non come apoditticamente affermato dal Tribunale dalla sede locale di Vibo Valentia.
2.2. Con il secondo motivo deduce la carenza del presupposto del fumus commissi delicti desunto dalle sole dichiarazioni rese da un dipendente, NOME COGNOME che avrebbe fatto riferimento al proprio rapporto di lavoro e non a quello degli altri dipendenti con conseguente mancato superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter di euro 3.999.
Si osserva che su quattro giornalisti escussi solo tre hanno riferito che non vi sarebbe stata alcuna riduzione dell’orario di lavoro durante il periodo del Covid19, mentre il quarto ha riferito di aver lavorato meno ore.
2.3. Con il terzo motivo denuncia l’omessa verifica del presupposto del cd. periculum in mora richiesto anche per il sequestro funzionale alla confisca (Sez. U. Ellade).
2.4. Con il quarto motivo deduce il mancato rispetto delle condizioni per operare il sequestro dei beni personali dell’amministratore senza prima disporre il sequestro nei confronti della società che ha beneficiato del profitto del reato.
2.5. Con il quinto motivo con riguardo al sequestro probatorio deduce la nullità dell’ordinanza del riesame perché non preceduta dalla notifica dell’avviso della trattazione unitaria delle impugnazioni proposte avverso il sequestro preventivo e quello probatorio, con conseguente nullità assoluta per violazione del contraddittorio.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge per omessa valutazione del presupposto del c.d. fumus delicti, atteso che il reato previsto dall’art. 617 bis cod.pen. si riferisce alle intercettazioni di comunicazioni telefoniche e non di quelle ambientali.
Inoltre, neppure sarebbe ravvisabile il reato di cui all’art. 614 cod.pen. di interferenza illecita nella vita privata che presuppone che il fatto sia commesso in luoghi di privata dimora e tale non è il luogo di lavoro.
2.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge in merito al c.d. periculum in mora non essendo state indicate nel provvedimento di sequestro le esigenze probatorie sottese alla sua adozione.
Il Tribunale in modo apodittico e senza spiegare la fonte afferma che sono in corso attività investigative dovendosi sottoporre i reperti ad accertamenti tecnici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Innanzitutto risulta fondato il primo motivo dedotto sull’eccezione di incompetenza per territorio.
Nell’ordinanza impugnata si assume che l’indebita erogazione pubblica è stata disposta dalla sede dell’INPS di Vibo Valentia senza però dare atto di avere esaminato la documentazione difensiva che attesterebbe, al contrario, che l’erogazione è stata disposta dalla sede centrale dell’INPS di Roma.
È necessario, perciò, ai fini della individuazione del luogo di consumazione del reato che il Tribunale verifichi se l’erogazione indebita sia stata disposta dalla sede centrale di Roma o da quella di Vibo Valentia, dovendosi dare seguito all’orientamento maggioritario secondo cui i fini dell’individuazione della competenza territoriale per il reato di cui all’art.361-ter cod. pen. non ha rilievo il luogo in cui è stata presentata la documentazione contenente le false attestazioni, così come irrilevante è anche il luogo in cui è avvenuta la riscossione delle somme di denaro, poichè ciò che rileva ai fini della competenza è il luogo in
cui è avvenuta la dispersione del denaro pubblico per effetto della sua erogazione (Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, Gse S.p.a. Rv. 284336).
Fondato è anche il motivo dedotto con riguardo alla mancata subordinazione del sequestro disposto nei confronti dell’amministratore, ai fini della confisca per equivalente dei beni facenti parte del suo patrimonio personale, alla condizione che non siano reperiti nel patrimonio della società beneficiaria le somme di denaro provento del reato.
La confisca per equivalente nei confronti dell’amministratore dell’ente beneficiario del profitto del reato è, infatti, subordinata all’impossibilità recuperare il profitto del reato nei confronti del soggetto che ne abbia direttamente beneficiato.
Il profitto del reato, in linea di principio, è suscettibile di confisca anche n confronti dei soggetti diversi dall’autore del reato, che in quanto diretti beneficiar non possono essere considerati “persona estranea al reato”, secondo quanto disposto in via generale dall’art. 240 cod. pen. che prevede la confisca del profitto del reato nei confronti di chiunque ne abbia conseguito la disponibilità, fatta salva la tutela della buona fede del terzo.
L’art. 322-ter cod. pen prevede espressamente che la confisca deve avere ad oggetto innanzitutto il profitto del reato e, solo quando ciò non sia possibile, può essere disposta sui beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente.
Sulla base di tale regola generale anche nel caso in cui il profitto del reato sia costituito dall’indebito utilizzo di una provvista di denaro erogata in favore di un ente giuridico, tali somme di denaro possono senz’altro essere confiscate direttamente nei confronti dell’ente giuridico che ne abbia beneficiato in conseguenza del reato commesso dall’amministratore.
Solo laddove tali somme di denaro non vengano materialmente reperite presso l’ente beneficiato dal profitto del reato commesso dal suo amministratore, sarà consentito operare la confisca per equivalente, di regola, unicamente nei confronti dell’amministratore, in base all’art. 322-ter cod. pen., non essendo la confisca per equivalente, attesa la sua natura sanzionatoria, applicabile ad un soggetto terzo diverso dall’autore del reato, sempre che non ricorrano i presupposti della confisca per equivalente prevista dalla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
Il sequestro, che anticipa e preserva gli effetti della confisca, deve perciò specificare che andrà eseguito, in via prioritaria, nei confronti di chi ha conseguito il profitto del reato, e solo in via subordinata ed in caso di incapienza dell’ente
beneficiato, sui beni personali dell’autore del reato ai fini della confisca pe equivalente.
La verifica della capienza patrimoniale della società è, poi, rimessa alla fase di controllo dell’esecuzione del sequestro, affidata al pubblico ministero e allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di sequestro e, se del caso, al ricorso per cassazione ex art. 666, comma 6, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 16170 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 259769).
Risulta fondato anche il motivo dedotto in merito all’omessa verifica del presupposto del cd. periculum in mora, non avendo il Tribunale neppure astrattamente indicato le ragioni che ne giustificano la sussistenza
Si tratta di una motivazione che si discosta dai criteri di valutazione evidenziati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848, secondo cui «è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio».
Con riferimento al sequestro probatorio va innanzitutto rilevata l’infondatezza della dedotta nullità dell’ordinanza del Tribunale del riesame.
Dall’esame degli atti della procedura di riesame, ed in particolare dal verbale dell’udienza de117 dicembre 2024, si evince che la riunione del procedimento è stata decisa all’udienza svoltasi innanzi al Tribunale del riesame senza l’opposizione della parte presente che ha rinunciato ai termini di comparizione.
Pertanto, configurando l’omessa indicazione nella citazione dell’oggetto del giudizio una nullità di ordine generale, la stessa deve ritenersi sanata, avendo la parte accettato la discussione anche sull’impugnazione relativa al procedimento riunito.
Ciò premesso, va rilevato che l’ordinanza impugnata è del tutto carente di motivazione rispetto alla questione dedotta in merito sia alla mancata specificazione del titolo di reato per il quale il sequestro probatorio dell telecamere installate sui luoghi di lavoro è stato disposto, e sia con riguardo alla indicazione delle esigenze investigative che ne hanno giustificato l’emissione.
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Non è, infatti, stato chiarito se il sequestro sia stato disposto sul presupposto del
fumus del reato previsto dall’art.
617-bis cod. pen. che attiene alle
intercettazioni telefoniche o se per il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. o per reato di cui all’art. 615-bis cod. pen. di interferenza illecita nella vita privata.
Con riguardo a tale ultimo reato neppure è specificato se si tratta di luogo di lavoro chiuso assimilabile al domicilio oppure di un luogo di lavoro comune.
Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per colmare i vizi di motivazione che sono stati sopra evidenziati.
È opportuno ricordare che il tribunale del riesame chiamato a decidere su un sequestro probatorio, a fronte dell’omessa individuazione nel decreto
delle esigenze probatorie e della persistente inerzia del pubblico ministero anche nel contradditorio camerale, non può integrare la carenza di motivazione
individuando, di propria iniziativa, le specifiche finalità del sequestro, trattandos di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre
le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale (Sez. 2, n. 49536 del 22/11/2019, Vallese, Rv. 277989
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Vibo Valentia competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.
Così deciso il 15 maggio 2025
si dente