Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8275 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8275 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME
avverso l’ordinanza del 17/7/2024 del Tribunale del riesame di Avellino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17/7/2024, il Tribunale del riesame di Avelino rigettava la richiesta presentata ex art. 324 cod. proc. pen. dalla RAGIONE_SOCIALE così confermando il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari in sede il 17/6/2024, a carico di NOME COGNOME con riguardo a plurime condotte di cui all’art. 10-quater, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74.
Propone ricorso per cassazione la società, deducendo i seguenti motivi:
illegittimità del sequestro. La misura cautelare – che avrebbe ad oggetto anche le quote societarie della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE” – sarebbe illegittima, in quanto le stesse quote sarebbero state acquisite dalla “Torello” in epoca precedente a quella di consumazione dei presunti reati, così da mancare il necessario nesso di derivazione tra profitto e beni vincolati;
insussistenza del periculum in mora. Il Tribunale avrebbe risposto con argomento viziato alla questione, posta con il gravame, relativa all’effettiva necessità di sequestrare le quote citate pur a fronte della consistenza patrimoniale dell’ente e di ulteriori beni, ugualmente sottoposti a vincolo, dal valore superiore al contestato profitto illecito;
violazione degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 12-bis, d. Igs. n. 74 del 2000. Il Tribunale non avrebbe fatto buon governo del principio secondo cui il profitto del reato deve essere ricercato, in primo luogo, nel patrimonio della società, e, solo in caso di impossibilità, e solo presso la persona fisica, per equivalente; ancora, non avrebbe correttamente applicato l’ulteriore principio secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei confronti dell’ente può essere disposto in via diretta solo qualora tale profitto sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica, che non potrebbe però patire il vincolo per equivalente. Infine, la misura disposta a carico della “COGNOME” non valuterebbe che le quote societarie sequestrate sarebbero state acquisite, come già richiamato, in epoca anteriore rispetto ai fatti contestati, difettando, pertanto, qualunque rapporto di derivazione diretta con l’illecito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato.
Occorre premettere, come emerge con chiarezza dal provvedimento impugnato, che il sequestro delle quote della “Tn” e della “DIF” è stato disposto a carico della “Torello” per equivalente, non in via diretta.
Deve allora ribadirsi – alla luce della costante giurisprudenza di legittimità – che, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (per tutte, Sez. U, n. 10561 del 30/1/2014, Gubert, Rv. 258646, con ampi richiami giurisprudenziali). In una simile ipotesi, infatti, “la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di
trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio”.
Tanto premesso in termini generali, il Collegio osserva che l’ordinanza impugnata non si è confrontata affatto con tale principio di diritto, anzi lo ha disatteso: come per un verso, infatti, ha dato conto dell’avvenuto sequestro per equivalente a danno della società, così, per altro verso, lo ha legittimato senza verificare se la “RAGIONE_SOCIALE” costituisse effettivo schermo utilizzato a fin illeciti dal proprio legale rappresentante (e richiamando la costante giurisprudenza in materia di sequestro per equivalente elaborata, tuttavia, nei confronti del solo legale rappresentante dell’ente). Sul punto, dunque, la motivazione risulta assente, e l’ordinanza deve essere annullata per nuovo giudizio.
Il provvedimento impugnato, inoltre, risulta del tutto carente di motivazione quanto al periculum.
7.1. Nella memoria depositata in sede di riesame, la “RAGIONE_SOCIALE” aveva rilevato – e documentato – la propria solidità patrimoniale e finanziaria, indicandola con valori ben superiori al supposto profitto dei reati, e così sostenendo l’assenza di qualsivoglia ragione che rendesse necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo, in linea con la giurisprudenza del Supremo Collegio di questa Corte (per tutte, Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade). Ebbene, la questione – pur richiamata in premessa, pag. 2 – non è stata trattata dal Tribunale del riesame, che non vi ha dedicato alcuna considerazione, limitandosi a sostenere – sotto un profilo del tutto diverso – che esulano dalla competenza dell’ufficio ex art. 324 cod. proc. pen. le questioni in tema di identificazione dei beni e loro valore rispetto al profitto da vincolare.
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Avellino competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2025
Il opsigliere estensore
Il Presidente