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Sequestro per equivalente: illegittimo sui beni sociali

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro per equivalente disposto sui beni di una società per reati tributari del legale rappresentante. La Suprema Corte ha chiarito che tale misura è illegittima se il giudice non accerta preventivamente che la società sia un mero ‘schermo fittizio’ utilizzato dall’indagato e se manca una motivazione sul ‘periculum in mora’, ossia il rischio concreto che i beni vengano dispersi.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro per equivalente: quando non può toccare i beni della società?

Il sequestro per equivalente è uno strumento potente nelle mani della magistratura, ma i suoi confini sono netti, specialmente quando coinvolge il patrimonio di una persona giuridica per reati commessi dal suo amministratore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: non si possono aggredire i beni di una società se non si dimostra che questa è un mero ‘schermo’ per gli illeciti dell’individuo. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari a carico del legale rappresentante di una nota società di trasporti. L’accusa era relativa a reati tributari. Il sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente, aveva colpito beni di proprietà della società, in particolare le quote di altre due aziende controllate.

La società aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del riesame, che però aveva confermato il sequestro. Contro questa decisione, l’azienda ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi, tra cui l’illegittimità della misura e l’assenza del cosiddetto periculum in mora.

Le ragioni del ricorso contro il sequestro per equivalente

La difesa della società ricorrente ha articolato il proprio ricorso su tre punti principali:

1. Illegittimità della misura: Le quote societarie sequestrate erano state acquisite dall’azienda in un’epoca precedente alla commissione dei reati contestati. Mancava quindi il nesso di derivazione tra il presunto profitto illecito e i beni vincolati.
2. Insussistenza del periculum in mora: La società aveva documentato una solida situazione patrimoniale e finanziaria, con un valore di gran lunga superiore al profitto illecito contestato. Non vi era, quindi, alcun rischio concreto e attuale di dispersione del patrimonio che giustificasse l’urgenza della misura cautelare.
3. Violazione dei principi in materia: Il Tribunale non avrebbe applicato correttamente il principio secondo cui il profitto del reato va cercato prima nel patrimonio dell’ente che ne ha beneficiato (in via diretta) e solo in subordine, per equivalente, nel patrimonio della persona fisica responsabile.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando per un nuovo giudizio. Le motivazioni della decisione sono di fondamentale importanza e si basano su due pilastri.

Il primo pilastro riguarda il principio, già sancito dalle Sezioni Unite, secondo cui il sequestro per equivalente sui beni di una persona giuridica per reati tributari del suo legale rappresentante è ammissibile solo a una condizione: che l’ente sia privo di una reale autonomia e rappresenti uno schermo fittizio attraverso cui l’amministratore agisce come effettivo titolare dei beni. In sostanza, il profitto del reato deve essere ‘trasmigrato’ nel patrimonio sociale in modo fraudolento. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame aveva completamente omesso questa verifica, legittimando il sequestro senza accertare se la società fosse un mero simulacro nelle mani del suo amministratore.

Il secondo pilastro è la totale assenza di motivazione sul periculum in mora. La difesa aveva prodotto documenti che attestavano la solidità finanziaria dell’azienda, sostenendo che non vi fosse alcun pericolo di dissipazione dei beni. Il Tribunale del riesame non ha speso una sola parola su questo punto cruciale, ignorando l’argomentazione difensiva. La Corte ha ribadito che la necessità di anticipare l’effetto ablativo della confisca deve essere sempre motivata, valutando il rischio concreto che, senza il sequestro, il patrimonio possa essere disperso.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un confine invalicabile a tutela del patrimonio sociale. Una società non può rispondere automaticamente, con i propri beni, per i reati commessi dal suo amministratore, anche se questi hanno generato un vantaggio per l’ente. Il sequestro per equivalente può colpire i beni aziendali solo se viene fornita la prova rigorosa che la persona giuridica è una costruzione fittizia, un alter ego dell’imputato. In assenza di tale prova, e senza una solida motivazione sul pericolo di dispersione del patrimonio, la misura cautelare è illegittima e deve essere annullata. Questa decisione rafforza la distinzione tra il patrimonio della società e quello personale di chi la amministra, un principio cardine del diritto societario.

Quando è possibile disporre un sequestro per equivalente sui beni di una società per un reato commesso dal suo legale rappresentante?
Secondo la Corte, ciò è possibile solo ad eccezione, ovvero quando si dimostra che la società è priva di autonomia e funge da mero ‘schermo’ attraverso cui il reo agisce come effettivo titolare dei beni. In pratica, quando il trasferimento del profitto alla società è un espediente fraudolento.

Perché il Tribunale del riesame deve motivare sul ‘periculum in mora’?
Il Tribunale deve sempre spiegare perché esiste un pericolo concreto e attuale che i beni, oggetto della futura confisca, vengano dispersi. Se l’azienda dimostra di avere una solida situazione patrimoniale, il giudice deve motivare in modo ancora più stringente le ragioni che rendono necessaria e urgente la misura del sequestro.

Cosa accade se un giudice non valuta le prove fornite dalla difesa sulla solidità finanziaria dell’ente?
L’ordinanza che ne deriva è viziata per carenza di motivazione. Come avvenuto in questo caso, la Corte di Cassazione annulla il provvedimento, poiché il giudice ha l’obbligo di considerare tutti gli elementi forniti dalle parti, specialmente quelli che possono escludere la necessità della misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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