Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6295 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6295 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il 10/11/1962
avverso l’ordinanza del 08/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di AVELLINO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
uditi il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME la quale ha concluso per il rigetto, come da memoria già depositata;
uditi l’Avvocato NOME COGNOME del foro di AVELLINO per NOME COGNOME il quale ha argomentato ed esposto le ragioni a base del ricor chiedendone l’accoglimento e l’Avvocato NOME COGNOME del foro di AVELLINO sempre per il NOME COGNOME il quale ha illustrato i motivi del ricorso, chiedendone l’accoglime e rilevando l’illegittimità del sequestro contestato.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale di Avellino rigettava l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 17 ottobre 2023, con la quale il GIP di quel Tribunale aveva a sua volta rigettato la richiesta revoca del sequestro per equivalente disposto sui beni del citato COGNOME siccome imputato dei reati di cui agli artt. 10 ter e 11, d.lgs. n. 74 del 2000, n.q. di amministratore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE facenti parte del gruppo di imprese con a capo la RAGIONE_SOCIALE
2. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27405 del 16/05/2024, annullava l’ordinanza suindicata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame, rilevando, in via generale, che la mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di u misura cautelare reale non ne precludeva la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti, come pure prospettato dal Tribunale, ciò alla luce del principio per il quale la preclusione conseguente giudicato cautelare riguarda il dedotto e non il deducibile, dovendo il giudice adi con la richiesta di revoca o con la successiva impugnazione di una decisione di rigetto accertare anche d’ufficio la sussistenza di ragioni, pur diverse da quelle prospettat dall’interessato, indicative dell’insussistenza dei presupposti della misura.
Fatta tale premessa, il giudice rimettente dava atto che, nella specie, il COGNOME aveva allegato, a sostegno della propria richiesta, una modifica della situazione sull base della quale era stato autorizzato il sequestro, prospettando la riduzione de debito tributario, l’esistenza di rilevanti somme di denaro nel patrimonio della Sidig e il miglioramento della situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, producendo provvedimento con il quale era stato ridotto l’ammontare del sequestro, oltre a copia del bilancio al 31/12/2021 della citata società.
E, proprio in ciò, quel giudice rilevava l’errore in diritto contenut provvedimento annullato: il Tribunale aveva ritenuto preclusa la contestazione in ordine all’originaria insussistenza dei presupposti per disporre il sequestro p equivalente nei confronti del ricorrente (a causa della mancata preventiva verifica della impossibilità di eseguire, in tutto o in parte, il sequestro diretto) e irrilevante la allegazione di una, non certamente modesta, riduzione del debito tributario e della situazione patrimoniale e finanziaria della Sidigas, che richiedevano invece un esame indebitamente omesso dal Tribunale. Pertanto, demandava un nuovo esame, inerente all’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento d sequestro per equivalente a carico del ricorrente e alla rilevanza delle allegazio
difensive prospettanti la riduzione del debito tributario e la situazione patrimonia finanziaria della società.
3. Il giudice del rinvio, ricostruita la vicenda processuale che fa da sfondo presente incidente cautelare, ha nuovamente rigettato l’appello, considerando la situazione patrimoniale dell’ente all’epoca dell’esecuzione della misura, ma anche quella attuale, tenuto conto dell’ammontare del debito erariale evaso. Ha, innanzitutto, dato atto che, nelle more del procedimento, il COGNOME NOME era stato condannato in via non definitiva dal GUP del Tribunale di Avellino per il reato di c all’art. 10 ter d. Igs. n. 74/2000 (omesso versamento, n.q. di amministratore di diritto e di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dell’IVA per i periodi dal 2012 al 2017, pa complessivi euro 7.783.956,31, al netto dell’imposta versata), per il reato di all’art. 11 stesso decreto (per aver fatto confluire i pagamenti degli utenti a fa della citata RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE sui conti correnti di società diver al medesimo riconducibili, in tal modo svuotando il patrimonio dei suddetti enti rendendo impossibile la riscossione della somma corrispondente alla esposizione debitoria per mancato pagamento dell’IVA e delle imposte sui redditi), nonché per i reati di cui agli artt. 2621 cod. civ. e 648 ter.1, cod. pen. Ha, inoltre, precisato che, con la stessa sentenza, il giudice della cognizione aveva disposto, ai sensi dell’art. bis, d. Igs. 74/2000, la confisca diretta del profitto di reato (per euro 26.908.5 11) e, per il caso d’incapienza, quella per equivalente di beni e/o disponibil finanziarie dell’imputato e che gli amministratori giudiziari dell’ente (RAGIONE_SOCIALE avevano chiesto di interloquire sulla domanda del COGNOME, da ciò inferendone la loro volontà di opporvisi, atteso che l’eventuale accoglimento dell’istanz dell’imputato avrebbe potuto pregiudicare l’ente e incidere anche sulle sorti del proposta di concordato preventivo.
Tanto precisato, il Tribunale ha rilevato come, nel decreto di sequestro, in perfet coerenza con il disposto di cui all’art. 12 bis del d. Igs. 74/2000, il GIP avesse in effetti disposto la misura diretta solo sulle liquidità eventualmente rinvenute pres la sede delle società e le giacenze monetarie sui conti correnti intestati, ma no anche sugli altri beni, atteso che il profitto del reato era, nella specie, costit una somma di denaro, anche sotto forma di risparmio di spesa. Sicché, ha ritenuto irrilevanti, ai fini della verifica della capienza, i crediti commerciali e la rete di distribuzione del gas (così come l’eventuale indennizzo in caso di cessazione delle relative concessioni pubbliche), trattandosi di beni non ricollegabili in via dire indiretta al profitto dei reati (costituito, quanto a quello previsto all’art. 10 ter cit., dalla somma pari all’imposta non versata; per quello di cui all’art. 11 cit., dal va dei beni sottratti alla garanzia del credito tributario).
Quanto ai crediti commerciali, poi, il Tribunale ha ritenuto non esservi prova di u loro collegamento al reato, laddove le liquidità ammonterebbero a una somma assai
lontana dall’entità di quella da sottoporsi direttamente a vincolo. Sul punto, peralt in risposta al relativo rilievo difensivo, ha ritenuto inconducente la menzio contenuta nella sentenza di condanna nella parte inerente alla misura ablativa (vale a dire il riferimento a “beni e/o disponibilità finanziarie” delle società), l’effettiva portata della disposizione era stata esplicitata nella parte motiv provvedimento, in conformità al disposto di cui al richiamato art. 12 bis d. Igs. 74/2000. Infatti, diversamente opinando, si sarebbe configurato il rischio d trasformare in un sequestro per equivalente sul patrimonio dell’ente una misura che è consentito disporre solo in forma diretta sul profitto del reato.
In ogni caso, secondo il decidente, anche a voler interpretare la disposta confisca nel senso estensivo proposto a difesa, nella specie, ciò non poteva consentire lo svincolo dei beni personali dell’imputato, stante l’ineseguibilità di una simile mis nei confronti dell’ente che ha già anticipato di opporvisi, misura che sarebbe in ogn caso caducata a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, poiché in contrasto con il disposto di cui all’art. 12 bis citato.
Il Tribunale ha, peraltro, rinvenuto conferma di siffatte conclusioni nel dir vivente che, assai di recente, ha stabilito che la confisca di somme di denaro ha natura diretta solo quando vi sia prova che esse derivino dal reato e non in virt della fungibilità del bene aggredito, poiché, ove tale nesso non sussista si versa i ipotesi di confisca per equivalente.
Infine, con riferimento alla rete del gas, precisato che la titolarità dei beni imm va ricondotta ai vari enti locali, per il principio della c.d. accessione, il Tribun osservato che, in ogni caso, i gasdotti sono beni destinati a pubblico servizio, final che ne renderebbe incompatibile la sottoposizione a vincolo, laddove, con riferimento all’altra voce allegata a difesa, vale a dire la situazione contabile dell’ente precisato che le perdite complessive, pari a euro 127.902.927,67 sono solo in minima parte coperte dal capitale sociale e dalle riserve obbligatorie e facoltative saldo finale del bilancio essendo ampiamente negativo (euro 91.954.022,58).
4. La difesa del DE NOME ha proposto ricorso, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto i vizi di cui all’art. 606, lett. b) e c), cod. pen., con ri agli artt. 1, comma 143 e 12 bis d. Igs. n. 74/2000, 14, commi 4 e 8, d. Igs. 164/2000) in relazione a cinque, distinti punti.
Con una prima censura, ha ritenuto l’errata lettura del decreto di sequestro da parte del Tribunale del riesame, avendo i giudici limitato il sequestro diretto alle s liquidità monetarie costituenti profitto del reato, senza considerare quelle che n costituiscono il prodotto, contestando la lettura riduttiva operata anche quanto al successiva sentenza di condanna, viceversa coerente con il provvedimento originario appositivo del vincolo. Ha ritenuto, poi, del tutto inconferente il richiamo alle Sez Unite del 2024, dalla cui informazione provvisoria si ricaverebbe solo che non è
messa in discussione la confiscabilità diretta anche delle somme che, pur non essendo profitto del reato, derivino da esso quali frutto del suo utilizzo.
Sotto un diverso profilo, poi, la difesa ha contestato la lettura del dato conta societario, operata dal Tribunale, osservando che, al momento dell’esecuzione della misura, lo stesso pubblico ministero aveva indicato disponibilità monetarie costituent profitto del reato per euro 4.487.295,49, somme quindi ancora nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, come emergerebbe dal verbale del CdA del settembre u.s., sebbene inspigabilmente tale somma sia stata restituita all’ente, come certificato nel relazione della Guardia di Finanza del 29/08/2023, senza procedere all’azzeramento delle disponibilità all’atto dell’esecuzione del sequestro. Cosicché, secondo la difesa tutte le somme disponibili dovrebbero ora ritenersi sequestrabili anche se successive al reato e a prescindere dalla fonte.
Sotto un terzo profilo, poi, il deducente ha contestato la valutazione operata da Tribunale quanto agli ulteriori beni della società: i giudici avrebbero obliterat stretto collegamento tra le componenti patrimoniali della RAGIONE_SOCIALE e il presunto profitto, lo stesso pubblico ministero avendo originariamente riconosciuto che i gasdotti costituivano profitto di esso, siccome realizzati anche grazie ai versamenti d’imposta non versati, costituendo pertanto il risultato dell’impiego del risparm conseguito al reato. Allo stesso modo, secondo la difesa, anche i crediti della società costituirebbero componente attiva e frutto del profitto del reato, essendo maturati nei confronti di soggetti che hanno usufruito dei servizi prestati dalla soci attraverso la gestione dei gasdotti, costruiti con il risparmio conseguito al mancat versamento delle imposte, divenendo indissolubilmente legati al profitto di reato.
Sotto un quarto aspetto, ha censurato il provvedimento impugnato anche nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto i gasdotti di proprietà degli enti locali territorio sono stati realizzati: detti beni sono trasferiti al gestore nel dell’affidamento del servizio, laddove, per quelli costruiti in corso di affidament passaggio di proprietà all’ente locale avviene solo dietro versamento di equo indennizzo (il valore di rimborso essendo stato indicato anche nella perizia acquisita agli atti e menzionata dal Tribunale), da ciò inferendo la sequestrabilità anche di det beni, siccome realizzati con provvista generata dal profitto di reato.
Infine, la difesa ha censurato l’ordinanza in quella cha ha definito la “chiosa final osservando che l’avvio della procedura concordataria e/o fallimentare dell’ente non sarebbe ostativo all’adozione o permanenza del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari, posto che tali proc non escludono la titolarità dei beni in capo al fallito sino alla vendita, ciò che non essendo il ccriterio della dispponibilità dei beni, bensì quello più ampio della l non estraneità al reato.
Il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’avv. NOME COGNOME COGNOME ha depositato documentazione della quale ha chiesto l’acquisizione con nota del 16 dicembre 2024.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che questa Corte non deve provvedere sulla richiesta di acquisizione documentale, per la dirimente ragione che trattasi, pe come precisato dalla difesa nella relativa nota, di atti già versati nel fascic Richiamato, sul punto, il consolidato principio per il quale, nel giudizio di legitt possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giu di merito (tra le altre, sez. 2 n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609 – 01), Corte ritiene che, nella specie, la difesa abbia semplicemente inteso richiamare la documentazione indicata in ricorso a sostegno delle censure e ai fini della specificit del relativo motivo.
Ciò posto, va premesso che il giudice rimettente, con la sentenza di annullamento della precedente ordinanza, aveva rilevato un preciso vizio di violazione di legge costituito dall’avere il giudice del riesame ritenuto preclusa contestazione delle condizioni di applicabilità della misura in assenza di richiesta riesame, da ciò ricavando, quale evidente conseguenza, l’omesso esame della sussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro per equivalente nei confront dell’imputato, anche alla luce della sopravvenuta riduzione del debito tributario (p estinzione dei reati di cui alle condotte di omesso versamento IVA per l’anno d’imposta 2013 per prescrizione) e dell’avvenuto versamento di una somma all’Agenzia delle Entrate.
Da ciò deriva la delimitazione dell’ambito della presente decisione alla stregua del mandato contenuto nella sentenza di annullamento e della tipologia di vizio deducibile in relazione alla natura reale del provvedimento cautelare di cui discute. In tali ipotesi, invero, il ricorso per cassazione è esperibile nei ristrett indicati dall’art. 325 cod. proc. pen., a tenore del quale «Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore,
la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto». In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno già definitivamente chiarito che, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 comma 1 cod. proc. pen. citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. pen. proc. (cfr ex multis, Sez. 6 n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 24291 – 01).
Sotto altro profilo, qui maggiormente rilevante, va ricordato che la confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta condizione dalla mera natura del bene, laddove essa è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione caus (vedi informazione provvisoria Sez. U, 26/09/2024, Massini).
Principio quest’ultimo certamente rilevante ai fini del decidere, tenuto conto del tenore delle censure difensive, con le quali, in sostanza, si è inteso accreditarn uno diverso, secondo cui tutte le disponibilità finanziarie (e contabili) dell’ sarebbero per ciò solo riconducibili direttamente al reato, quale frutto deg investimenti operati negli anni grazie al risparmio di spesa correlato al mancato versamento delle imposte. Al contrario, anche per le somme di denaro, nella specie di somma corrispondente al risparmio di spesa conseguito al reato tributario, è necessario dimostrare il nesso di derivazione causale rispetto al reato stesso, non giovando in contrario la sua natura di bene fungibile per eccellenza.
E la relativa valutazione va rigorosamente operata, proprio per scongiurare un aggiramento delle norme e, soprattutto, del principio di sussidiarietà sopra richiamato. E, in tale prospettiva, si é ritenuta la illegittimità della riqualificaz ex officio del sequestro di somme di denaro finaliizato alla confisca in via diretta come sequestro funzionale alla confisca per equivalente, atteso che, richiedendo quest’ultimo la verifica di un elemento di fatto su cui deve svolgersi contraddittorio con il destinatario del provvedimento – ovvero l’impossibilità procedere all’ablazione diretta – la riqualificazione si tradurrebbe in una violazio del diritto di difesa sul punto (Sez. 3, n. 31369 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 281944 – 01; Sez. 2, n. 11814 del 06/03/2024, COGNOME, Rv. 286094 – 01).
7. Operate tali premesse in diritto, deve poi precisarsi che, con l’ordinanza impugnata, il Tribunale ha colmato il rilevato vizio di violazione di legge per assenz di motivazione in ordine alla sussistenza, al momento della esecuzione e in atto, dei presupposti per disporre la confisca per equivalente nei confronti dell’imputato ricorrente, fornendo ampia giustificazione della ineseguibilità del vincolo diretto confronti dell’ente, dando conto di precisi dati fattuali, quali gli elementi rica dalla pronuncia di condanna, sia pur non definitiva, del COGNOME che ha disposto la confisca della somma già sottoposta a sequestro (operata la riduzione a seguito della prescrizione di alcuni reati aventi a oggetto le condotte riferibili al 2013), q profitto di reato; la preannunciata opposizione degli amministratori giudiziari ad ogn forma di estensione della confisca ad attività diverse da quelle che rappresentino profitto di reato; i dati contabili ricavati dal piano di concordato fallime attestanti, da un lato, una liquidità monetaria della società di appena eur 142.533,44 (a fronte della somma da sottoporre a vincolo, pari a euro 26.908.574,11) e un saldo finale negativo pari a euro 91.954.022,58.
Ora, se pur è esatto affermare, secondo il diritto vivente, che l’avvio dell procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari (Sez. U, n. 40797 d 22/06/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285144 – 01), purtuttavia, va ribadito, sempre secondo il diritto vivente, che il sequestro preventivo finalizzato al
confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e revers purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648 – 01).
8. Ciò posto, nella specie, la violazione di legge ritenuta dal giudic rimettente, sub specie assenza di motivazione, è stata direttamente ricollegata alla circostanza che il Tribunale aveva del tutto omesso di valutare l’incapienza della società, ritenendo operante la preclusione nascente dal giudicato cautelare. Pertanto, in questa sede deve verificarsi se sussistano le dedotte violazioni di legge con riferimento al rinnovato esame.
Orbene, il vizio di violazione di legge, dedotto a difesa con riferimento a pi punti, è invero astrattamente configurabile solo in relazione alla nozione di profitt siccome indicato nella norma di riferimento, vale a dire il più volte richiamato art. bis, d. Igs. n. 74/2000 e, riguardo a tale profilo, la censura è manifestamente infondata.
Le argomentazioni difensive si sviluppano attorno a una definizione assai ampia del concetto di profitto di reato, in forza della quale andrebbero considerat non solo il risparmio di spesa, ma tutti gli acquisti effettuati grazie ad esso. Trat però di argomentazioni confliggenti con il principio, sopra esposto, confermato dall’informazione provvisoria della decisione assunta dalle Sezioni Unite nel 2024, secondo il quale anche con riferimento al denaro, bene eminentemente fungibile, va comunque dimostrata la diretta correlazione con il reato.
Ciò di cui, al contrario, il Tribunale ha correttamente tenuto conto.
Peraltro, la giurisprudenza ha già da tempo definito il concetto di profitto, co riferimento ai reati del tipo di quelli per i quali si procede.
Secondo il diritto vivente, infatti, in tema di reati tributari, il p confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del d.lgs n. 74 del 2000, è costituito d qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. U, n. 18374 del 2013, COGNOME, Rv. 255036). In tal modo, si è definitivamente superato il principio per il quale non er possibile individuare un profitto confiscabile in relazione ai reati tributari, atteso dall’evasione d’imposta non era generata una nuova ricchezza (“vantaggio economico aggiuntivo”), immediatamente individuabile come diretta derivazione della condotta criminosa. Pertanto, con riferimento a tali reati (in relazione ai quali è men frequente la categoria del “prezzo”, pur configurabile nei casi, per esempio, di
emissione di fatture per operazioni inesistenti), il profitto è costituito dal vanta economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e consiste sia in un quid di diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente (c.d. vincolo di pertinenzialit al reato), ma anche in un beneficio aggiuntivo di tipo patrimoniale (Sez. 3, n. 50320 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285624 – 01, anche in motivazione). Nell’affermare tale principio, tuttavia, il giudice di legittimità ha precisato che il risparmio di conseguito tramite la commissione del reato è suscettibile di confisca diretta in quanto rappresentato da denaro, le somme stesse costituendo il risparmio di spesa di cui sopra. In definitiva, deve trattarsi dell’incremento patrimoniale concreto per contribuente, dovuto all’alterazione unilaterale dell’obbligazione tributaria (Sez. 4, 42195 del 21/09/2023, Trantino, Rv. 285226 – 01).
Viceversa, sempre in tema di reati tributari, le somme di denaro affluite sul conto corrente bancario in data successiva alla commissione del reato, non possono essere sottoposte a sequestro in via diretta, non costituendo “profitto” del reato, ma possono essere oggetto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, assumendo in tal caso le caratteristiche di valore corrispondente al profitto non rinvenuto (Sez. 3, n. 6163 del 20/10/2020, Gafà, Rv. 281048 – 01).
In termini coerenti rispetto a tale principio, si è quindi affermato che sequestro preventivo finalizzato alla confisca in forma diretta del profitto di reato quel caso derivante dal delitto di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), commesso dall’amministratore di una persona giuridica, può avere ad oggetto il saldo attivo presente sul conto corrente sociale al momento della consumazione del reato (nella specie, coincidente con la presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato), sul riliev indiziario che le disponibilità monetarie si siano accresciute per il risparmio di spes conseguito con il mancato versamento dell’imposta, restando onere della difesa allegare circostanze specifiche da cui desumere che, alla data di consumazione del reato, non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro sequestrato sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati successivamente a tale momento (Sez. 3, n. 23040 del 01/07/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 279827 – 01). Ed è onere dell’accusa, invece, secondo le regole generali in tema di ripartizione dell’onere della prova, indicare l’ammontare delle utilità esistenti al momento della consumazione del reato nel patrimonio del soggetto nei cui confronti si intende procedere a sequestro finalizzato alla confisca, cioè quelle costituenti il “risparmio di spesa” derivato dalla violazi dell’obbligo fiscale (Sez. 3, n. 47103 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 277282 – 01).
Quanto, poi, alla situazione di un ente che, come nella specie, sia successivamente sottoposto a procedura concorsuale o fallimentare, può richiamarsi il principio espresso, sempre in tema di reati tributari, con riferimento alle somme confluite sul conto corrente della gestione commissariale di una società ammessa a
procedura di amministrazione straordinaria in data successiva alla consumazione del delitto ad opera del suo amministratore: esse, infatti, non sono suscettibili di confisc diretta, in quanto, non derivando da reato, non ne costituiscono il profitto (Sez. 3, 11086 del 04/02/2022, COGNOME, Rv. 283028 – 01, cui, in motivazione, la Corte ha precisato che tali somme, costituenti, in specie, l’acconto sul prezzo di cessione di un compendio di beni, non costituiscono profitto del reato di omesso versamento delle ritenute dovute, di cui all’art. 10 bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, neanche sotto forma di risparmio di spesa e che, pertanto, non sono suscettibili di essere sottoposte a sequestro finalizzato alla confisca diretta, potendo essere, invece, sottoposti sequestro finalizzato alla confisca per equivalente i beni nella disponi dell’amministratore di fatto della società).
Il che risponde alla obiezione difensiva, più volte ripresa nel ricorso, s la quale tutti gli investimenti e i frutti della gestione del servizio di distr gas da parte della società, successivi alla condotta che ha integrato i reat ascritti al suo amministratore finirebbero con il risolversi nell’impiego dell’ risparmio di spesa che, invece, non può essere ricollegato alla condotta di come tale, non è suscettibile di essere sottoposto a confisca diretta a norma d 12 bis più volte citato.
Peraltro, in via risolutiva, deve osservarsi come non colga nel seg censura, sostenuta con veemenza dalla difesa, in ordine alla lettura che il dell’appello cautelare ha operato circa l’estensione del vincolo diposto nella del GUP del Tribunale di Avellino: le osservazioni del Tribunale, infatti, defi deducente addirittura “imbarazzanti”, si sono risolte nel semplice richiamo all bis d. Igs. n. 74/2000 («Nel caso di condanna o di applicazione della pen richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei be costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estr reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca, di beni, di cui il disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto» spiegazione rinvenibile nella motivazione della sentenza, la confisca non pot avere ad oggetto altro se non il profitto (o il prezzo, in questa sede irrile reato, ma non gli altri beni della società.
Una volta rilevata la manifesta infondatezza della censura con la qual stata dedotta la violazione di legge, quanto alla individuazione del profitto, le doglianze, inerendo alla valutazione del compendio fattuale posto a base ritenuta incapienza dell’ente, si risolvono nella contestazione di essa, eventu censurabile sotto forma di vizio della motivazione, in questa sede non deducibile
Peraltro, va rilevato che il Tribunale ha giustificato le ragioni del rigetto de prospettazioni difensive, ritenendo che i gasdotti non appartengono all’ente e, in ogni caso, rilevandone la non commerciabilità e destinazione vincolata al servizio di distribuzione del gas, ciò che neppure la difesa ha contestato, opponendovi invece il riconoscimento di eventuali indennizzi (spettanti al gestore per il caso di cessazione della concessione del servizio), non costituenti liquidità direttamente correlate reato, nel senso sopra chiarito. Parimenti dicasi, quanto ai crediti commerciali e all situazione contabile dell’ente: il Tribunale ha considerato i primi be ontologicamente distinti dalle liquidità monetarie da sottoporre a sequestro diretto secondo le indicazioni contenute nel decreto impositivo originario del 2022, quanto alla diversa ricostruzione contabile opposta a difesa, rilevandosi che si tratta di un questione di puro fatto, strettamente collegata alla valutazione del materiale probatorio, qui non scrutinabile.
In conclusione, quella condotta dal Tribunale è una valutazione effettiva e sorretta da un apparato argomentativo non apparente posto a giustificazione del mantenimento del vincolo nei confronti dell’imputato (sub specie sequestro finalizzato alla confisca per equivalente): il Tribunale, infatti, ha operato valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, dand conto dell’impossibilità del sequestro diretto del profitto del reato nel patrimon dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, (Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275687 – 01; Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, COGNOME Rv. 272238 – 01).
Rispetto a tali passaggi argomentativi del provvedimento impugnato, la difesa non ha prospettato errores in iudicando o in procedendo, ma piuttosto divergenti valutazioni in ordine ad alcune voci che dovrebbero costituire risorse societarie ritenute confiscabili sull’errato assunto che, nel concetto di profitto, rientrino tut operazioni rese possibili attraverso l’investimento del risparmio d’imposta direttamente ricavato dal reato.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara non luogo a provvedere sulla istanza di acquisizione dei documenti. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 14 gennaio 2025.