Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29551 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29551 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposto nell’interesse di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Parma il 13/08/1958
avverso l’ordinanza del 12/03/2025 del Tribunale di Parma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento de i ricorsi;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Parma, in funzione di Tribunale del riesame, ha integralmente confermato il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pama in data 3 febbraio 2025, che aveva disposto il sequestro preventivo, anche per
equivalente, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e 648ter .1 cod. pen.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori, deducendo -in due distinti atti di impugnazione -due motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all ‘ art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo atto di ricorso, il ricorrente si duole della violazione dei diritti di difesa, in relazione alla mancata possibilità di accedere all’archivio riservato degli atti di indagine relativi alle intercettazioni e di procedere poi all’ascolto e all’estrazione di copia, nonostant e tempestiva richiesta in tal senso, con conseguente inutilizzabilità di tale materiale investigativo.
Si sarebbe così prodotta una nullità -tempestivamente eccepita al Tribunale dei Riesame -di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c) , cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo atto di ricorso, si introducono plurimi ulteriori profili di censura.
Il Tribunale avrebbe omesso di valutare temi decisivi dedotti dalla difesa in punto di esecuzione illogicamente dilatata su tutti i beni dell’indagato , con conseguente duplicazione della cautela reale per i medesimi importi, non considerando l’estinzione dell’obbligazione tributaria, nonché in ordine alla mancata inclusione dei delitti tributari nel novero dei reati che consentono la confisca allargata e alla irretroattività della disciplina di cui al d.lgs. 17 ottobre 2017, n. 161.
La confisca del profitto del contestato delitto di autoriciclaggio sarebbe consentita solo in relazione al vantaggio economico effettivamente conseguito (assente di fatto, data l’intervenuta integrale soddisfazione dei debiti tributari pregressi, documentalmente provata), laddove è stata posta in essere la totale ablazione dell’i ntero patrimonio di Fontechiari, in assenza di qualsiasi accertamento sul nesso di pertinenzialità delle singole res . Al contrario, i giudici di merito avrebbero preteso un ‘irrituale inversione dell’onere della prova in ordine alla lecita provenienza dei cespiti.
Allo stesso modo, sarebbero state ingiustamente disattese le censure relative alla tempistica di acquisizione dei beni (violando il criterio della ragionevolezza temporale) e alla loro destinazione all’utilizzo e godimento personale.
Non potrebbe ipotizzarsi il dolo specifico del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, al momento della contestata condotta, data l’inesistenza del credito tributario e la riconducibilità dei beni alla propria sfera patrimoniale, con individuazione della data di acquisizione. La ratio dell’autoriciclaggio, d’altronde, parrebbe quella di evitare inquinamenti dell’economia legale, potendo
così giustificare un vincolo apposto solo su quanto illecitamente ottenuto e reinvestito. Al contrario, una misura reale avente l’unico scopo di annientare economicamente l’autore del supposto illecito, si porrebbe in insanabile contraddizione con il canone della proporzionalità.
All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
In primo luogo, per quanto attiene alla dedotta impossibilità di ricevere tempestivamente l’autorizzazione all’«accesso e visione intercettazioni e flussi informatici» (cfr. istanza datata venerdì 27 febbraio 2025), occorre sottolineare, in via preliminare ed assorbente e come già ribadito dall’ordinanza impugnata, l’eterogenea composizione della piattaforma investigativa, costituita da plurime emergenze a carico del ricorrente, soprattutto documentali, e non limitata ai soli esiti captativi.
Secondo il costante orientamento di legittimità, che il Collegio condivide e ribadisce, quando il ricorso lamenti l’inutilizzabilità di uno specifico elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per difetto di spe cificità, l’incidenza dell’eventuale espunzione di questo elemento, alla luce del criterio della cosiddetta ‘prova di resistenza’ delle residue emergenze; queste ultime, di per sé sole, ben potrebbero risultare sufficienti -all’esito di verifiche di natura schiettamente fattuale -a giustificare il medesimo convincimento, di modo che la questione diverrebbe del tutto irrilevante (cfr., Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024-02; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829-01; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123-01; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218-01)
D’altronde, non solo il percorso giustificativo dell’ordinanza impugnata prescinde da specifici richiami a comunicazioni intercettate (e lo stesso Tribunale precisa -p. 10 -che «il quadro indiziario alla base della misura cautelare in essere non è costituito solo dagli elementi che emergono dalle intercettazioni»), ma, soprattutto, neppure nel secondo ricorso, incentrato sulla sussistenza della gravità indiziaria, sono mosse contestazioni di sorta in merito a circostanze esplicitamente desunte dalle operazioni captative.
Inoltre, quanto al secondo ricorso, si rileva innanzitutto come il decreto del Giudice per le indagini preliminari avesse una portata dispositiva complessa e articolata, assoggettando al vincolo cautelare:
con funzione anticipatoria della confisca diretta, ex art. 648quater cod. pen. e 12bis , d.lgs. n. 74 del 2000, la somma di euro 7.378.851,00, quale profitto del riciclaggio (per euro 6.260.000,00) e di omessa dichiarazione (per euro 1.118.851).
in subordine, con funzione anticipatoria della confisca per equivalente, in caso di esito (anche parzialmente negativo), i beni nella disponibilità dell’indagato, sino alla concorrenza del predetto importo;
con funzione anticipatoria della confisca allargata, i beni e le altre utilità nella disponibilità dell’indagato (in valore sp roporzionato al reddito dichiarato) e di cui questi non fosse in grado di giustificare la provenienza.
In fase di esecuzione, il vincolo è stato concretamente apposto:
a titolo di profitto diretto, sulle somme di euro 435.310 in contanti, rinvenute nell’abitazione del ricorrente , e di euro 176.209,00, giacenti su un conto corrente a lui intestato;
a titolo sia di sequestro per equivalente, sia di sequestro per sproporzione, su diciotto autoveicoli, quasi tutti di alta gamma, e su sessantuno orologi di pregio e gioielli vari (pp. 2-3).
Il denso flusso argomentativo dell’atto di impugnazione non distingue appieno tra le diverse tipologie di vincolo, affastellando riflessioni legate, alternativamente, al sequestro anticipatorio della confisca diretta o di valore ovvero della confisca allargata, esponendo del pari via via considerazioni riferite a diverse fattispecie incriminatrici (delitti provvisoriamente contestati ovvero reati presupposto di questi ultimi). Al contrario, in tema di misure cautelari reali, ai fini della dimostrazione della sussistenza dell’interesse ad impugnare, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, di indicare i beni di cui si chiede la restituzione, precisando la relazione intercorrente con gli stessi e se il loro sequestro sia avvenuto in via diretta o per equivalente, attesa la diversità dei presupposti applicativi dei titoli ablativi (Sez. 3, n. 13283 del 25/02/2021, Albano, Rv. 281241-01).
Il Tribunale, dopo avere correttamente registrato i profili di censura della difesa (pp. 3-7), ha offerto poi un’articolata risposta alla parte istante, illustrando la gravità indiziaria in relazione al delitto di autoriciclaggio (pp. 11-13, ove, disattendendo la versione difensiva della mera qualità di collezionista, si sottolinea la qualità di evasore semi-totale del ricorrente -per oltre un trentennio
sconosciuto al fisco, grazie alla metodica intestazione a terzi compiacenti delle autovetture di prestigio di cui faceva professionalmente commercio -con impiego dei proventi illeciti così realizzati nell’acquisto di nuovi analoghi veicoli , per il tramite di condotte dissimulatorie).
Peraltro, va ricordato che, i n materia di cautela reale, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge (nel cui ambito deve includersi anche la motivazione omessa o soltanto apparente). Non sono, dunque, deducibili i profili di censura diretti a contestare -sia pure sotto la veste surrettizia dell’art. 606, lett. b) e c) , cod. proc. pen. -la tenuta logica dell’apparato argomentativo.
In ordine a tutti i beni oggetto di esecuzione (denaro, conti bancari, automobili, orologi), non è mai stata in contestazione la piena disponibilità in capo al ricorrente.
Il sequestro per equivalente , ai sensi dell’art. 648 -quater cod. pen., prescinde dalla liceità e dall’epoca dell’acquisto dei singoli beni , postulando unicamente la loro disponibilità in capo al destinatario del provvedimento ablativo e l’impossibilità , anche solo parziale, di aggredire direttamente i beni costituenti il profitto o il prodotto dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego per qualsiasi ragione. Analogamente, salva la verifica della cosiddetta ‘ragionevolezza temporale’, la provenienza delle res risulta irrilevante anche nel sequestro finalizzato alla futura confisca allargata, ex art. 240bis cod. pen.
Il Tribunale rappresenta correttamente come l’estinzione del debito tributario tra il 2019 e il 2021 non incida minimamente sulla permanente rilevanza del delitto di cui all’art. 648 -ter .1 cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 56379 del 12/10/2018, COGNOME Rv. 276300-01, in una fattispecie di condotta riciclatoria dei proventi di reati tributari secondo cui, ai sensi dell’art. 170 cod. pen., l’estinzione del reato presupposto non si estende al reato successivo, né nel caso di estinzione ‘originaria’, ovvero già maturata al momento delle condotte dissimulatorie, né nel caso di estinzione sopravvenuta a queste ultime. In termini, Sez. 2, n. 10981 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass; Sez. 2, n. 3101 del 28/11/2023, dep. 2024, COGNOME non mass.; Sez. 1, n. 2544 del 26/05/2021, dep. 2022, COGNOME, non mass.).
La quantificazione degli importi complessivamente assoggettabili a cautela reale risulta ritualmente computata. In particolare, il profitto dell’autoriciclaggio è stato correttamente calcolato solo tenendo conto degli incassi delle vendite delle vetture acquistate con i proventi illeciti; il parco-auto rinvenuto dagli inquirenti, soggetto a rapido turn over nel tempo con vendite e nuovi acquisti, non può evidentemente essere ritenuto come adibito al godimento personale (p. 12).
Peraltro, nell’impugnazione cautelare di merito non sono state mosse censure inerenti al fumus dei reati tributari (e la precisazione del ricorrente, secondo cui tale contestazione sarebbe invece emersa dal contenuto della consulenza contabile, può, al più, avere effetto soltanto sulla determinazione del quantum , non vertendosi in tema di superamento della soglia). Invero, la parte istante ha l ‘ onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sulla relativa valutazione), così da provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere poi chiamata ad esprimersi. In mancanza di tale devoluzione, è quindi inammissibile il ricorso che sottoponga al giudice di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto, addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505-03; Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272982-01. Cfr. anche Sez. 3, n. 13038 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255114-01, secondo cui il tribunale del riesame deve limitare il suo sindacato alle deduzioni difensive che abbiano una oggettiva incidenza sul fumus commissi delicti senza pronunciarsi su qualsiasi allegazione che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi probatori già acquisiti).
6. Fermo restando quanto sinora considerato, il Tribunale, quanto al sequestro per sproporzione, ha chiarito altresì la sussistenza dei presupposti anche per l’apposizione del vincolo cautelare in funzione di una successiva confisca allargata, avuto riguardo alla provvisoria contestazione -già delibata in punto di gravità indiziaria -di uno dei ‘reati -spia’ previsti dall’art. 240 -bis , primo comma, cod. pen. e alla incontestata disponibilità di beni di valore sproporzionato ai minimali redditi leciti documentati (risalendo un trentennio addietro l’attività illecita di compravendita di veicoli, così dovendosi escludere l’estraneità ictu oculi delle res all’ambito della ragionevolezza temporale; cfr. Corte cost., sent. n. 31 del 21/02/2018; Sez. 1, n. 25239 del 23/01/2024, Prevete, Rv. 286594-01; Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, COGNOME, Rv. 274468-01; Sez. F, n. 56596 del 03/09/2018, Balsebre, Rv. 274753-03).
Inoltre, secondo Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023, dep. 2024, Rizzi, Rv. 28585201, il divieto previsto dall’art. 240 -bis cod. pen., introdotto dall’art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificazione della legittima provenienza dei beni oggetto della confisca allargata, o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore, ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo compreso tra il 29 maggio 2014,
data della sentenza delle Sezioni unite n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017 (cfr. anche Sez. 2, n. 6587 del 12/01/2022, Cuku, Rv. 282690-01, che richiama il combinato disposto degli artt. 200, comma primo, e 236, comma secondo, cod. pen., per cui le misure di sicurezza soggiacciono alla disciplina in vigore al momento della loro applicazione).
6.1. Nel caso di specie, in ordine alla sproporzione, la difesa si limita a contestare la latitudine della misura patrimoniale e l’asserito annichilimento economico del destinatario, ma non muove rilievi in ordine a una possibile acquisizione di taluno dei beni sequestrati nella specifica finestra temporale suddetta. Peraltro, con ogni evidenza, il canone della proporzionalità della misura risulta fisiologicamente estraneo, nei termini in cui ne è stata invocata l’applicazione, al paradigma della confisca a llargata.
6.2. È parimenti consolidato il principio di diritto per cui, nel caso di confisca ex art. 240bis cod. pen., dall ‘ accertata sproporzione tra guadagni e patrimonio, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall ‘ interessato, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato. Tale conclusione costituisce estrinsecazione del generale principio della vicinanza della prova e non è assimilabile a un’irrituale inversione dell’onere probatorio: non si chiede infatti all ‘ imputato di allegare o provare un fatto negativo, bensì di indicare specifiche «circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa ( ‘ i miei averi e le operazioni che ho posto in essere sono proporzionati ai miei redditi ed alla attività lecita che ho anche esercitato ‘ ), con indicazione, quindi, dei dati fattuali che contraddicono le conclusioni alle quali sono pervenuti i Giudici, dalle quali possa desumersi che detta sproporzione non esiste» (così, Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997-04, in motivazione. In termini, da ultimo, Sez. 4, n. 23726 del 08/05/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 22581 del 16/05/2025, NOME, non mass.; Sez. 3, n. 12661 del 13/02/2025, COGNOME, non mass.).
Le doglianze sul punto risultano, dunque, affatto generiche e, comunque, manifestamente infondate.
7. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i
profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 1° luglio 2025.