Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7392 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 7392  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
— PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI PESCARA
COGNOME NOME nato a FARA SAN MARTINO il DATA_NASCITA parte offesa nel procedimento
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA parte offesa nel procedimento nei confronti di:
COGNOME NOME nato a SAN VALENTINO IN ABRUZZO CITERIORE il
DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a PESCARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/07/2023 del TRIB. LIBERTA di PESCARA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 6 luglio 2023, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, quale giudice per il riesame, in accoglimento delle richieste di riesame avanzate nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME annullava il decreto di sequestro preventivo disposto nei loro confronti e relativo ai titoli n. 143, 144 e 145, loro rispettivamente e nominativamente intestati, rappresentativi delle complessive n. 1.400.000 azioni della spa “RAGIONE_SOCIALE” (d’ora in poi: NOME COGNOME) a suo tempo loro cedute da NOME COGNOME, pari, complessivamente, al 10,:39 % del capitale della stessa (per ciascuno dei tre indagati n. 466.666 azioni, corrispondenti al 3,46 % del capitale).
1.1. Il provvedimento di sequestro era stato adottato a seguito della denuncia sporta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nel maggio 2021, quando avevano appreso – nel corso dell’assemblea del 12 marzo 2021 della controllante spa “RAGIONE_SOCIALE, Fara San Martino” (d’ora in poi: RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE), convocata per l’approvazione del bilancio 2020 – che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato, il 9 settembre 2020, dai congiunti sopra ricordati, le azioni della spa RAGIONE_SOCIALE già intestate a NOME COGNOME (e pari a quel 10,39 % del capitale sociale che non era ancora posseduto dalla controllante RAGIONE_SOCIALE).
Le azioni in questione risultavano essere state a suo tempo trasferite, per la nuda proprietà, con atto autenticato dal AVV_NOTAIO del 4 agosto 2016, ai predetti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Costoro ne erano divenuti pieni proprietari alla morte della usufruttuaria NOME COGNOME, avvenuta il 29 novembre 2019.
I denuncianti COGNOME (NOME e NOME) affermavano che la firma di girata dei titoli, apparentemente apposta nel 2016 da NOME COGNOME, a favore dei congiunti (NOME, NOME e NOME COGNOME), appariva essere falsa, prospettandosi così la violazione, in relazione alla sua autentica notarile, degli artt. 476 e 479 cod. pen..
La denunciata falsità si fondava sugli esiti della consulenza tecnica grafologia fatta effettuare dai denuncianti ed aveva trovato conferma nell’elaborato del consulente del pubblico ministero (si era, inoltre, attribuita la falsa sottoscrizione di NOME COGNOME a certo NOME COGNOME, direttore amministrativo della RAGIONE_SOCIALE).
In prosieguo di tempo, il 31 marzo 2021, la F.11i RAGIONE_SOCIALE e gli odierni indagati aveva risolto consensualmente l’accordo di cessione dei titoli della RAGIONE_SOCIALE per cui è processo, così che stessi erano stati sequestrati, con provvedimento del
Gip che, come si è ricordato, è stato annullato dal Tribunale del riesame, quando erano, ancora, nominativamente intestati agli indagati stessi.
1.1. Il Tribunale, nell’accogliere la richiesta di riesame degli indagati, annullava il vincolo, osservando quanto segue.
Rigettava, innanzitutto, l’eccezione, formulata dalla pubblica accusa (le persone offese non erano state ammesse a partecipare alla fase), relativa al difetto di legittimazione a richiedere il riesame del sequestro, di due degli indagati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, perché costoro, nel frattempo, avevano rivenduto la loro quota, della spa RAGIONE_SOCIALE, ancora alla spa RAGIONE_SOCIALE.
Considerava, infatti, che pur avendo ceduto i titoli alla controllante, con atti stipulati 1’8 ed il 18 maggio 2023 (rispettivamente da NOME COGNOME e NOME COGNOME), costoro avevano conservato un interesse proprio al dissequestro degli stessi visto che il loro trasferimento non si era ancora perfezionato, almeno nella sua parte certificativa e pubblicitaria, in assenza della firma di girata sui certificati che rappresentavano i titoli (nominativi), e ciò in applicazione degli artt 2021 e ss cod. civ..
Non vi era questione, invece, sulla legittimazione di NOME COGNOME, rimasta titolare delle azioni a lei intestate, sottoposte al vincolo.
1.2. Nel merito della cautela reale, il Tribunale riteneva sussistere il fumus commissi delícti considerando (oltre alle ricordate consulenze, dei denuncianti e del pubblico ministero, che avevano concluso per la non autenticità della firma dell’avente diritto, un giudizio non adeguatamente confutato, allo stato degli atti, dalla consulenza tecnica delle difese):
le dichiarazioni rilasciate da più soggetti, informati sui fatti, che avevano riferito dell’astio intercorrente fra la defunta NOME COGNOME ed i presunti suoi beneficiati (gli odierni indagati) e dell’assenza di rapporti personali fra costoro, così da rendere incongrua l’intervenuta cessione di titoli;
il fatto, riferito da un dipendente della RAGIONE_SOCIALE, che sul libro soci della RAGIONE_SOCIALE, il trasferimento delle azioni di NOME COGNOME, apparentemente del 2016, non risultava annotato nel libro soci, quantomeno fino all’assemblea del 2019 (e non emergeva neppure dalla fotocopia del libro effettuata il 3 settembre 2018).
1.3. Quanto al periculum in mora, il Tribunale osservava come gli indagati avessero disposto delle azioni della RAGIONE_SOCIALE, sottoposte al vincolo reale, in più momenti, cedendole e retroagendo la loro cessione, così dimostrando che la loro titolarità in capo agli stessi costituiva un pericolo di possibile dispersione.
Né poteva affermarsi, come invocato dagli indagati, che i titoli non potessero dirsi “pertinenti al reato” di falso, in quanto erano, comunque, destinati a divenire di loro proprietà, per successione legittima, dovendosi, invece, considerare che proprio grazie al consumato delitto di falso, gli indagati ne avevano conseguito, prima del decesso della dante causa, la nuda proprietà, ottenendone poi la piena proprietà, per consolidamento dell’usufrutto, e, quindi, senza che gli stessi entrassero nell’asse ereditario.
Tutto ciò premesso in ordine alla valutazione del periculum in mora, il Tribunale, però, finiva per escluderlo in base alla considerazione che gli unici soggetti che risultavano essere stati danneggiati dal delitto di falso – i coeredi COGNOME – avevano stipulato, il 27 aprile 2021, una transazione con gli indagati in riferimento proprio a quelle azioni che NOME COGNOME aveva a costoro ceduto, pur manifestando, appunto, le loro “perplessità” in ordine all’autenticità di quella firma di girata, del 2016, per cui è processo.
Nel citato, e prodotto, atto di transazione i coeredi COGNOME si erano impegnati, a fronte di un corrispettivo di 1 milione di euro, a non avere più nulla a pretendere dai tre COGNOME, odierni indagati, rinunciando, fin da quel momento, a qualsiasi azione civile o penale che si potesse intraprendere.
Un atto dispositivo dei propri diritti, quello dei COGNOME, che, secondo il Tribunale, non poteva ritenersi invalido (come i COGNOME assumevano) trattandosi di transazione novativa ai sensi dell’art. 1972 cod. civ., conoscendo le parti la falsità della firma che ne aveva dato occasione, così da doversi dare applicazione al disposto degli artt. 1972 e 1973, comma 2, cod. civ..
Avverso l’indicato provvedimento di revoca del sequestro hanno proposto ricorso sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, sia le persone offese (NOME COGNOME, anche per conto di NOME COGNOME, e NOME COGNOME, quali coeredi, con gli indagati, di NOME COGNOME).
2.1. Il pubblico ministero deduce, nell’unico, complesso, motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui era incorso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE nella sua decisione.
Il consulente dell’accusa, dott.ssa NOME COGNOME, aveva concluso che la firma, apparentemente apposta sulla girata dei titoli sottoposti al vincolo da NOME COGNOME, era apocrifa “con elevato grado di confidenza tecnica, sulla base della incompatibilità dell’evidenza analitica e della mancal:a corrispondenza inconfutabile di parametri sostanziali del grafismo”.
Aveva aggiunto che era “possibile” ricondurre la sottoscrizione al già nominato COGNOME, anch’essa con elevato grado di confidenza tecnica, tenendo però conto, in questo caso, che si era operato l’esame su fotocopie del documento.
Era in base a tali risultanze che il Gip aveva disposto il sequestro delle 1.400.000 azioni oggetto della girata in favore, in parti uguali, degli indagati.
Era quindi sussistente il fumus del contestato delitto di falso.
Quanto alla eccezione relativa al difetto di legittimazione di due dei tre indagati, NOME COGNOME e di NOME COGNOME, il Tribunale l’aveva erroneamente rigettata, dato che costoro non erano più proprietari dei titoli, avendoli ceduti nel maggio 2023, nuovamente (come nel 2021), alla spa RAGIONE_SOCIALE, non avendo rilievo, in ordine a tale cessione, il fatto che non si fossero perfezionate le forme esecutive e di pubblicità previste dagli artt. 2021 e ss cod. civ. (la girata sui titoli), posto che il trasferimento della loro proprietà era avvenuto con il consenso fra le parti e gli ulteriori passaggi rivestivano, appunto, una funzione meramente esecutiva e certificativa.
I due COGNOME poi non avevano esplicitato alcun ulteriore loro, ulteriore e diverso, interesse al dissequestro delle azioni da loro già cedute alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Passando al merito della cautela, il pubblico ministero ricorrente osservava come il Tribunale, ritenuta la sussistenza del fumus dell’ipotizzato reato di falso, aveva però, erroneamente, concluso per la sopravvenuta insussistenza del periculum in mora, a seguito dell’avvenuta transazione degli indagati con i coeredi COGNOME.
Il Tribunale, infatti, aveva omesso di considerare che i titoli, sottoposti al vincolo, erano pervenuti agli indagati – in riferimento prima alla nuda e poi alla piena proprietà – solo grazie alla commissione del reato contestato, la Cs/ falsificazione della firma Ai girata.
E come la permanente disponibilità dei titoli, pertinenti al reato di falso, da parte dei COGNOME, come aveva peraltro riconosciuto lo stesso giudicante, ne concretava il pericolo di dispersione, avendo costoro dimostrato di volerne disporre, cedendoli (come era effettivamente avvenuto, in due occasioni).
2.2. Le persone offese del predetto reato di falso, NOME COGNOME (anche per NOME) e NOME COGNOME, a mezzo del procuratore speciale e difensore, hanno articolato cinque motivi.
Hanno, innanzitutto, premesso di essere state chiamate alla successione legittima di NOME COGNOME quali cugini della stessa, in pari grado degli odierni indagati, anch’essi cugini della de cuius.
Come tali erano stati indicati come persone offese fin dall’avviso notificato ai sensi dell’art. 415 bis cod. proc. pen..
Il loro diritto a partecipare al procedimento cautelare derivava dal fatto che essi avevano diritto alla restituzione delle cose sulle quali era stato disposto il sequestro (Cass. SU n. 25933/2008).
Ciò nonostante, il Tribunale del riesame aveva respinto, per due volte, la loro richiesta di partecipare alla discussione delle istanze di riesame del disposto sequestro preventivo.
2.2.1. Con il primo motivo deducono, appunto, la violazione di legge attuata con il rigetto delle loro istanze di partecipazione al riesame della cautela reale sulle azioni della spa RAGIONE_SOCIALE, di proprietà dei coeredi.
Si ricordava come si fosse proceduto al sequestro dei titoli in conseguenza della accertata falsità della firma di girata della nuda proprietà delle azioni di NOME COGNOME a favore dei cugini NOME, NOME e NOME COGNOME.
Si dava atto che gli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME, lo stesso giorno in cui il pm aveva depositato la richiesta di sequestro, avevano nuovamente ceduto le loro azioni alla spa RAGIONE_SOCIALE, pur osservando come, nel libro soci, non fosse stata fatta alcuna annotazione o girai:a.
In ogni caso, tale cessione era inopponibile ai coeredi, che non vi avevano partecipato (vd. Cass. civ. 9801/2013).
Il Tribunale aveva rigettato l’istanza di intervento dei ricorrenti affermando che i loro diritti si erano consumati con l’atto di transazione ‘sulle quote oggetto del sequestro sottoscritto il 23 aprile 2021″, ma la richiesta, d’intervento, era stata reiterata perché l’atto di transazione in questione doveva considerarsi invalido a seguito dell’accertata falsità di un suo presupposto essenziale, la firma di girata delle azioni a favore degli indagati (falsità a cui non si era potuto far cenno nell’atto di transazione, non essendone stata ancora raccolta la prova.
Il Tribunale, però, aveva rigettato anche la nuova richiesta d’intervento, assumendo che i COGNOME, non avendo diritto alla restituzione dei titoli sequestrati (in considerazione della ricordata transazione), potevano considerarsi solo dei terzi interessati.
2.2.2. Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge ed in particolare dell’art. 324, comma 8, cod. proc. pen., la norma che demanda al giudice civile le questioni relative alla proprietà dei beni sottoposti a vincolo reale.
Si ricordava che il giudice penale è tenuto a rimettere gli atti al giudice civile, quando insorga controversia sulla proprietà delle cose in sequestro (Cass. n.
19674/2022), anche in difetto di effettiva pendenza della lite (Cass. n. 44960/2014).
Il Tribunale, invece, non si era limitato a valutare la consistenza della controversia (Cass. 56699/2018) ma aveva inteso risolverla a sfavore dei ricorrenti, finendo per affermare che la transazione non era invalida essendo stata stipulata dai COGNOME quando questi erano già consapevoli della falsità della firma di girata, oggetto del processo penale.
2.2.3. Con il terzo motivo denunciano la violazione di legge ed in particolare degli artt. 1325, 1418, 1965, 1343, 1972 e 1973 cod. civ., in cui era incorsa la Corte nel ritenere valido ed efficace l’atto di transazione.
L’atto in questione intitolato “Scrittura privata di transazione in prevenzione e/o liquidazione azioni RAGIONE_SOCIALE” era invece nullo ai sensi degli artt. 1418 e 1325 cod. civ. perché carente delle “reciproche concessioni”.
Nelle premesse, infatti, si dava per valida la cessione della nuda proprietà delle azioni RAGIONE_SOCIALE ai cugini dei COGNOME, i quali, sulla stessa, si erano limitati ad affermare le loro “perplessità” (senza che fosse chiarito se esse riguardavano la firma per girata).
La transazione era nulla anche ai sensi dell’art. 1972, comma 1, cod. civ. in quanto contratto illecito, perché illecito ne era stato il presupposto (Cass. civ. n. 7693/2020), una nullità che non è rinunciabile ed è rilevabile d’ufficio (Cass. civ. n. 26168/2018).
La transazione era invalida anche ai sensi dell’art. 1972, comma 2, cod. civ., posto che le “perplessità” manifestate dai COGNOME certo non potevano equivalere alla certezza della falsità della firma di girata.
Del resto, se i COGNOME fossero stati certi della falsità della firma di girata non avrebbero transato la possibile controversia per soli euro 1.000.000 a fronte di un valore delle azioni ben più cospicuo, pari ad oltre 10 milioni di euro.
Mai gli indagati avevano poi confessato la falsità commessa così che i COGNOME certo non l’avrebbero potuta eccepire.
La transazione era invalida anche ai sensi dell’art. 1973 cod. civ., perché conclusa sulla base di documenti poi riconosciuti come falsi (Cass. civ. n. 14656/2012). La conoscenza della falsità della forma di girata era databile solo al momento della discovery del 29 giugno 2023.
La transazione era nulla anche ai sensi dell’art. 1343 cod. civ. per la contrarietà della causa a norme imperative, potendosi ritenere che, l’avere i COGNOME taciuto il ben diverso valore delle azioni, potesse integrare anche il delitto di truffa.
2.2.4. Con il quarto motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. e 757, 1480 cod. civ., ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione, da parte del Tribunale, dell’incidenza nel processo della intervenuta vendita delle azioni da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A tal proposito si doveva ricordare che la cessione di quote di società di capitale è inopponibile ai coeredi che non vi abbiano partecipato (Cass. civ. n. 9801/2013).
Tale vendita peraltro non era stata neppure opposta alla RAGIONE_SOCIALE in sede di esecuzione del sequestro, il 6 giugno 2023.
Peraltro, neppure era opponibile ai terzi, in assenza di girata dei titoli azionari.
2.2.5. Con il quinto motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 321 cod. proc. pen., 479 cod. pen. 1418, 1343 e 1972 cod. civ., ed il vizio di motivazione apparente.
Il Tribunale aveva ritenuto l’insussistenza del periculum in mora a seguito della sottoscrizione della transazione fra i coeredi avente per oggetto proprio i titoli azionari la cui girata, ritenuta falsa, aveva generato il presente processo.
Una conclusione questa che non era condivisibile perché, come si è detto, i coeredi COGNOME non erano a conoscenza del suo imprescindibile presupposto, la falsità della firma di girata, così che gli atti conseguenti, come la transazione, divenivano privi di effetti giuridici e la loro nullità poteva e doveva essere rilevata di ufficio.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha inviato parere scritto in cui ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Il difensore delle persone offese inviava una memoria con la quale insisteva sui motivi di ricorso.
Aggiungeva che gli indagati, grazie alla cessione delle azioni ottenute con la falsa firma di girata, avevano incassato un corrispettivo pari a circa 27 milioni di euro.
Che NOME COGNOME aveva ceduto le sue azioni il 18 maggio 2023, (ed il fratello NOME l’aveva fatto qualche giorno prima, 1’8 maggio) con l’assistenza del medesimo AVV_NOTAIO dalla cui precedente autenticazione era derivato l’odierno processo.
E che anche NOME COGNOME aveva venduto i titoli.
Si illustravano alcuni brani delle dichiarazioni assunte nel processo, anche in considerazione del fatto che la de cuius era stata poi assistita da due amministratori di sostegno, e si ribadivano le ragioni di invalidità della transazione. Si depositava documentazione.
Il difensore degli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME ha inviato memoria con la quale ha chiesto venga dichiarata l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
Ricordava le vicende pregresse relative ai trasferimenti delle azioni della RAGIONE_SOCIALE oggetto della cautela reale ed in particolare annotava come i suoi due assistiti, alla morte di NOME COGNOME, ritenevano di esserne (con NOME) gli unici eredi legittimi e, in tal senso, avevano redatto e sottoscritto la denuncia di successione.
Solo in prosieguo di tempo, i COGNOME li avevano contattati facendo presente che, essendo anch’essi parenti nel medesimo grado, avevano diritto ad una quota dell’eredità.
Così che, assistiti dai rispettivi legali, le parti, i COGNOME ed i COGNOME, avevano sottoscritto due distinti atti di transazione, definendo così ogni possibile controversia sull’eredità di NOME COGNOME.
Con il primo atto, i coeredi COGNOME avevano ricevuto immobili, gioielli e 4,3 milioni di euro in contanti.
Con il secondo, si era definita la questione relativa alle azioni della RAGIONE_SOCIALE, oggetto del vincolo, poi revocato dal Tribunale.
In questo secondo atto, del 23 aprile 2021, i COGNOME avevano rinunciato a qualsiasi azione, civile o penale, dedotta o deducibile, rispetto alla proprietà riconosciuta come piena in capo agli odierni indagati dell’intero pacchetto di azioni, pari a n. 1.400.000, della RAGIONE_SOCIALE, a fronte del versamento di euro 1 milione (dopo avere, in premessa, manifestando proprio la loro “perplessità” in ordine alla cessione della nuda proprietà dei titoli).
Tutto ciò premesso il difensore degli indicati indagati concludeva per l’inammissibilità del ricorso delle persone offese e per l’inammissibilità del ricorso del pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del pubblico ministero è fondato per le sole ragioni che si illustreranno, mentre i ricorsi presentati nell’interesse delle persone offese sono inammissibili.
I ricorsi delle persone offese, NOME COGNOME (anche in rappresentanza di NOME COGNOME) e NOME COGNOME, vedono, pressoché interamente, sulla pretesa invalidità della transazione sottoscritta con gli indagati, a proposito della proprietà, e dei conseguenti diritti ereditari, della quota di azioni della RAGIONE_SOCIALE già intestate alla dante causa NOME COGNOME.
Invalidità – discendente dai vari e diversi vizi meglio individuati nei singoli motivi che si sono sopra riassunti – che, secondo i ricorrenti, deve essere oggetto di accertamento del giudice civile al quale il Tribunale avrebbe dovuto inviare gli atti, piuttosto che valutare, come aveva fatto, la fondatezza della pretesa, finendo per rigettare la richiesta di intervento delle persone offese nella fase di gravame cautelare.
Orbene sul punto la motivazione spesa dal Tribunale, nell’ordinanza impugnata, risulta, invece, priva di manifeste aporie logiche.
1.1. Certo, questa Corte ha affermato che:
in tema di sequestro preventivo, il tribunale del riesame, ove accerti l’esistenza di una contestazione ovvero di una controversia sulla proprietà delle cose in sequestro, è tenuto, ai sensi dell’ad. 324, comma 8, cod. proc. pen., a rimettere gli atti al giudice civile del luogo, competente in primo grado, per la risoluzione della stessa, pur in mancanza della formale pendenza della lite innanzi a quest’ultimo, mantenendo il sequestro (Sez. 3, n. 19674 del 27/04/2022, RAGIONE_SOCIALE/ RAGIONE_SOCIALE, Rv. 283173);
 in tema di sequestro preventivo, il giudice del riesame è tenuto a devolvere al giudice civile l’eventuale controversia sulla proprietà della cosa esclusivamente quando intenda restituirla e cioè nel caso in cui proceda all’annullamento per qualsiasi ragione del provvedimento cautelare (come era avvenuto nell’odierno caso di specie: Sez. 5, n. 21157 del 26/03/2019, Scermino, Rv. 275348).
Ma si è anche precisato che il giudice della cautela penale deve, prima, apprezzare la serietà della controversia, il suo sostanziale fondamento:
Si è così affermato che:
la disposizione dell’art. 263, comma terzo, cod. proc. pen., secondo la quale il giudice penale, adito per la restituzione dei beni sequestrati, rimette le parti davanti al giudice civile in caso di controversia sulla proprietà dei beni, mantenendo il sequestro, trova applicazione anche in assenza di formale pendenza della lite davanti a quest’ultimo, purchè in tale ipotesi, il giudice penale dia adeguato apprezzamento in motivazione della serietà della potenziale controversia (Sez. 1, n. 23333 del 16/04/2014, COGNOME, Rv. 259917).
E, nella stessa sentenza della Sezione terza, sopra citata (n. 19674 del 27/04/2022, RAGIONE_SOCIALE), si legge che:
“Secondo il condivisibile e prevalente orientamento di questa Corte, in tema di restituzione delle cose sequestrate, il giudice penale procedente, ove accerti l’esistenza di una contestazione/controversia sulla proprietà di esse, pur in difetto della pendenza di una corrispondente lite civile .. non gode di alcuna discrezionalità, potendo unicamente rimettere gli atti al giudice civile del luogo competente in primo grado per la decisione della predetta contestazione/controversia, e mantenere nel frattempo il sequestro (Sez 2, n. 49530 del 24/10/2019, Rv. 277935 – 01; Sez. 2,n. 44960 del 30/09/2014, Rv.260318 – 01)…
La controversia deve, naturalmente, essere oggetto di adeguata verifica da parte del giudice penale che ne deve valutare la consistenza, onde assicurare il compimento di un accurato esame della serietà della controversia – sia effettiva, sia anche potenziale (pure in assenza, dunque, di un giudizio pendente, come d’altro canto si trae dall’indicazione da parte dell’art. 263 cod. proc. pen. del giudice a cui essa è devoluta, che presuppone la non necessarietà della già intervenuta instaurazione della lite) – onde trarne la conclusione della concreta necessità della devoluzione della questione, stante la sua intrinseca consistenza, al competente giudice civile (cfr. Sez. 2, n. 38418 del 08/07/2015, Rv. 264532; Sez. 1, n. 23333 del 16/04/2014, Rv. 259917; Sez. 1 n. 56699 del 05/06/2018, non massimata).”.
1.2. Ed è proprio esaminando la serietà della questione civile posta dalla difesa delle persone offese che il Tribunale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ne aveva rigettato le plurime richieste di intervento nella fase di riesame cautelare (e, di conseguenza, di rimessione degli atti al giudice civile per la risoluzione della controversia relativa alla invalidità della transazione), escludendo così che gli stessi potessero considerarsi come degli aventi diritto alla restituzione dei beni sottoposti al vincolo (vd. Sez.U., n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227728, in cui si era, appunto, precisato che, in tema di sequestro preventivo, la persona offesa che non sia titolare del diritto all’eventuale restituzione delle cose sequestrate, non è legittimata a partecipare o a presentare memorie nel procedimento di riesame del sequestro instaurato ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ne’, conseguentemente, nel giudizio di cassazione sull’ordinanza di riesame).
Del resto, lo stesso art. 322 cod. proc. pen. in tema di “riesame del decreto di sequestro preventivo” prevede la legittimazione soltanto de “l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate (nell’odierna fattispecie, gli indagati COGNOME) e quella che avrebbe avuto diritto alla loro restituzione”.
Tornando alla valutazione, da parte del Tribunale, della serietà della questione civile sottoposta dalle persone offese al suo giudizio, la sua non manifesta illogicità si coglie nell’analisi che il giudice aveva compiuto del contenuto stesso dell’accordo transattivo.
Si era osservato che:
 nelle premesse dell’atto, in riferimento alla cessione in nuda proprietà delle azioni RAGIONE_SOCIALE COGNOME ai coeredi COGNOME, avvenuta il 4 agosto 2016, “è stata evocata qualche perplessità da parte dei signori COGNOME“:
tanto premesso, tuttavia le parti (COGNOME e COGNOME) “dichiarano di aver definito transattivamente tutti gli aspetti inerenti la riconducibilità, o meno all massa ereditaria della partecipazione azionaria di RAGIONE_SOCIALE originariamente di titolarità della de cuius ..”;
così che “i signori COGNOME (ed i loro eredi).. con l’incasso degli assegni circolari (consegnati loro dai COGNOME) .. dichiarano di rinunciare, come rinunciano, definitivamente ed irrevocabilmente, a qualsiasi ulteriore pretesa, diritto, azione facoltà e/o aspettativa che possa trovare origine, occasione o fondamento, anche in relazione a richieste, pretese ed azioni avanzate da terzi, nell’eventuale accertamento del carattere nullo e/o annullabile e/o inefficace di atti e/o documenti, in relazione a qualsivoglia atto o documento o fatto connesso alle circostanze ivi dichiarate, riconoscendo con la sottoscrizione di questo atto, in via definitiva ed irrevocabile, quali unici, pieni ed esclusivi proprietari del 10,39 °A del Capitale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, pari ad originarie n. 1.400.000 azioni di categoria ordinaria …”.
A frante di tale inequivoca lettera dell’accordo contrattuale – in cui i COGNOME rinunciano a qualsivoglia azione presente o futura, civile o penale, anche relativa all’eventuale nullità o invalidità degli atti presupposti alla transazione stessa congiunta alla premessa circa la possibile falsità della sottoscrizione della cessione della nuda proprietà dei titoli avvenuta nel 2016 (posto che altro significato non può attribuirsi alla denunciata “perplessità” dei COGNOME in ordine a tale atto) non illogicamente il Tribunale aveva escluso, allo stato degli atti, la serietà della invocata controversia, in ordine alla validità della transazione, ritenendo gli stessi non inconsapevoli della possibile falsità della firma della dante causa (falsità che, peraltro, è ancora sub iudice nel processo di merito, non essendo stata neppure ammessa dagli indagati, che hanno contrastato l’accusa con un’apposita relazione tecnica).
1.3. Deve così dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi presentati dalle persone offese con la conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
E’ priva di fondamento anche l’eccezione formulata dal pubblico ministero in ordine alla legittimazione a proporre la richiesta di riesame di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, fondata sul fatto che i predetti, nelle more dell’apposizione del vincolo, avevano cedute le azioni, oggetto del medesimo, senza che costoro deducessero alcun altro interesse al dissequestro dei titoli diverso da quello della loro restituzione, alla quale, però, non avrebbero avuto diritto per averli, appunto, già ceduti.
L’art. 2021 cod. civ., citato nell’ordinanza impugnata, prevede, infatti, che “il possessore di un titolo nominativo è legittimato all’esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell’intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro dell’emittente”.
Ed è pacifico, nell’odierna fattispecie, che le azioni, nominativamente intestate a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, non erano state ancora trasferite, dai due indagati, né con la girata sul titolo nè con l’annotazione sul libro soci della spa NOME COGNOME.
Erano così solo gli indagati COGNOME che potevano proporre richiesta di riesame del sequestro delle azioni nominativi ancora a loro intestate.
Non chi le aveva da loro acquistate, la spa RAGIONE_SOCIALE, posto che, in assenza di girata sul titolo o di annotazione del trasferimento sul libro soci (previsto dall’art 2022 cod. civ.), la società acquirente non era legittimata ad esercitarne i conseguenti diritti.
Si è infatti ricordato – nella giurisprudenza di legittimità civile – come:
nel trasferimento di titoli azionari, l’adempimento delle formalità prescritte dall’art. 2022, primo comma, cod. civ. (c.d. transfert) non costituisce condizione di perfezionamento dell’acquisto o di produzione dell’effetto reale traslativo della proprietà del titolo, ma attiene alla fase esecutiva, certificativa e pubblicitaria de trasferimento, incidendo soltanto sulla legittimazione del nuovo socio; quest’ultimo, peraltro, pur non potendo esercitare alcun diritto sino a quando non si sia provveduto alle predette formalità (salvo quello di partecipare alle assemblee con le modalità previste dall’art. 4 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745), è pur sempre titolare del diritto di proprietà sul titolo (Sez. 1, n. 17088 del 24/06/2008, Rv. 604056);
nel caso di trasferimento mediante girata (art. 2023 c.c.), il momento traslativo della proprietà delle azioni nominative si produce quando sia stata apposta sul titolo la girata piena, mentre il cd. transfert (ossia l’annotazione del nominativo del nuovo socio nel registro dell’emittente ex art. 2022 c.c.) attiene alla fase esecutiva e certificativa del trasferimento, incidendo soltanto sulla legittimazione del nuovo socio: il quale, pertanto, pur non potendo esercitare alcun
diritto sino a quando non si sia provveduto a tale ultima formalità, è pur sempre titolare del diritto di proprietà sul titolo (Sez. 1, n. 1588 del 20/01/2017, G./E. Rv 643502 – 02).
Il ricorso della pubblica accusa è invece fondato in relazione alla ritenuta insussistenza del periculum in mora.
In realtà, il Tribunale aveva scisso il proprio giudizio sul punto, apparendo ritenere il periculum in conseguenza dell’accertata volontà degli indagati COGNOME di cedere i titoli, pervenuti loro a cagione del reato di falso, a terzi (per due volt alla controllante RAGIONE_SOCIALE), finendo, poi, per negarlo in base alla considerazione che i soli possibili danneggiati dal reato di falso, i coeredi COGNOME, avevano rinunciato ai loro eventuali diritti con la ricordata transazione.
Così però, il Tribunale, aveva fatto, impropriamente, coincidere le conseguenze di rilievo penale del delitto di falso con le eventuali ragioni di danno civili derivanti da tale condotta.
Aveva così omesso di considerare che era stato proprio il delitto di falso, come contestato ed in relazione al quale era stato ritenuto sussistere il fumus commissi delicti, a consentire ai tre indagati di disporre fin dal 2016 della nuda proprietà di quel rilevante (anche in termini di controvalore economico) pacchetto di azioni nominative prima intestate a NOME COGNOME e ad acquisirne, nel 2019 al decesso della cedente, rimastene usufruttuaria, la piena proprietà.
Proprietà che aveva loro consentito di disporre dei titoli, di incassarne i dividendi, di esercitare qualsivoglia diritto discendente dalla loro proprietà (prima nuda, poi piena), di concludere con i coeredi COGNOME la ricordata transazione, muovendo comunque dalla circostanza che le stesse risultavano nominativamente a loro intestate, e di cederli alla controllante, nel 2021 e nel 2023, con atti questi ultimi ancora non perfezionati (almeno sotto i profili sopra ricordati).
Così che il Tribunale avrebbe dovuto valutare anche alla luce di tali considerazioni se, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., la disponibilità delle azioni, sottoposte dal Gip al sequestro preventivo, “possa aggravare o protrarre le conseguenze” del reato contestato.
In assenza di tale, necessaria, valutazione l’ordinanza impugnata va annullata sul punto.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del pm, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 16 novembre 20:23.