Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5706 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5706 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
Cg#i sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Tavernole sul Mella (Bs) il 21 settembre 1941;
avverso la ordinanza n. 643/24 RGGIP del Tribunale di Brescia del 8 aprile 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo; COGNOME NOME»
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta, altresì, la memoria di replica, redatta nell’interesse del ricorrente dagli avv.t NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Milano, i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
12 FEB. 2025
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 8 aprile 2024 il Gip del Tribunale di Brescia ha rigettato la opposizione presentata dalla difesa fiduciaria di NOME COGNOME soggetto indagata in relazione alla violazione dell’art. 517 cod. pen., avverso il provvedimento del 22 gennaio 2024 con il quale il Pm presso il predetto Tribunale ha rigettato la richiesta di restituzione di n. 6355 articoli d ‘rubinetteria, completi di scatola, già oggetto di sequestro emesso dal citato Pm in data 24 agosto 2023, eseguito il successivo 12 settembre 2023.
Avverso il predetto provvedimento del Gip ha interposto ricorso per cassazione, tramite la medesima difesa, il Frola articolando tre motivi di impugnazione; di questi, il primo attiene alla violazione della legge sostanziale – l’art. 517 cod. pen., in relazione all’art. 4, comma 49, della legge n. 350 de 2003 – in cui sarebbe incorso il Gip bresciano nel rilevare il fumus delicti nell’avvenuta commercializzazione degli oggetti in sequestro, circostanza questa da escludersi in quanto essi non sono in alcun modo contraddistinti da segni che ne possano fare ritenere, falsamente, la origine italiana.
Il secondo motivo di impugnazione, articolato con riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ci si duole della circostanza che non siano state esplicitate le ragioni che, pur essendo state concluse le indagini preliminari, tanto che è stato emesso l’avviso di cui all’art. 415-bis cod. pen., espressivo della circostanza che la istruttoria deve intendersi oramai completata, legittimano la persistenza dell’interesse alla conservazione del sequestro probatorio delle merci di cui si tratta.
Con il terzo motivo, infine, è lamentato il fatto che il sequestro sia stato conservato sull’intero compendio dei manufatti in sequestro, sebbene la esigenza di accertamento dello stato delle cosa possa essere adeguatamente soddisfatta anche tramite la rappresentazione grafica delle stesse.
Con memoria datata 23 agosto 2024 la difesa del ricorrente ha controdedotto rispetto alla requisitoria scritta del Procuratore generale, recante la medesima data, ed ha, pertanto, insistito per raccoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto, risultati i motivi di impugnazione in base al quale lo stesso è stato sviluppato ora manifestamente infondati ora direttamente inammissibili, deve essere, a sua volta dichiarato inammissibile.
Deve preliminarmente essere rilevata la astratta ammissibilità del mezzo di impugnazione prescelto dalla ricorrente difesa, atteso che il limite della inoppugnabilità del provvedimenti giurisdizionali assunti nella fase precedente al rinvio a giudizio dell’imputato in materia di sequestro probatorio e di restituzione dei beni assoggettati al vincolo cautelare, per come delineato da questa Corte di cassazione nella sua massima espressione nomofilattica (si veda, infatti: Corte di cassazione Sezioni unite penali, 27 luglio 2023, n. 32938, rv 284993) è espressione di un principio applicabile esclusivamente al provvedimento reiettivo della richiesta di dissequestro e restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio adottato dal giudice della udienza preliminare, successivamente alla chiusura delle indagini preliminari ed alla formalizzazione della richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato, e non anche al provvedimento adottato, come verificatosi nella fattispecie, dal giudice delle indagini preliminari, in pendenza di queste, in esito alla procedura prevista all’uopo dall’art. 263, commi 4 e 5, cod. proc. pen.
In relazione a questo l’espresso richiamo contenuto nella parte finale del citato comma 5, al fatto che, sulla opposizione presentata avverso il rigetto opposto dal Pm, il giudice (da intendersi, data la fase procedimentale in atto, quale giudice delle indagini preliminari) “provvede a norma dell’art. 127”, fa desumere, a mente di quanto previsto dal comma 7 del richiamato art. 127 cod. proc. pen., che è possibile “proporre ricorso per cassazione” avverso i provvedimenti emessi a seguito di procedimento svolto ai sensi della disposizione normativa ultima citata.
Ma non per questo, nel concreto, il ricorso ora presentato è ammissibile.
Invero, quanto al primo dei motivi di impugnazione agitati con esso si rileva che lo stesso ha ad oggetto il preteso error juris in cui sarebbe caduto l’organo giudiziario nel non rilevare che il provvedimento cautelare in questione non era sorretto da alcun fumus delicti.
Questo essendo, in sintesi, il rilievo difensivo, si osserva, rimandando alla giurisprudenza di questa Corte in relazione alla ipotesi di reato oggetto di provvisoria contestazione, cioè la violazione dell’art. 517 cod. pen. in rapporto con l’art. 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003, che essa si configura, per quanto ora interessa, allorché siano posti in vendita o comunque in
circolazione prodotti industriali con nomi o segni distintivi nazionali atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine italiana del prodotto; ciò posto non vi è dubbio che nel caso di specie presso i locali della RAGIONE_SOCIALE, società della quale il COGNOME è il legale rappresentante, erano stati rinvenuti i 6.355 articoli di rubinetteria – sui quali era impressa la stampiglia “Demm”, inscatolati in confezioni recanti la dicitura “made in Italy” – oggetto del sequestro e della istanza di restituzione.
Erano state rinvenute anche altre confezioni, ancora vuote, recanti, in numero di circa 28.000, la medesima dicitura.
Premesso che le indagini in corso sono, evidentemente, volte a verificare la effettiva provenienza sia dalla Demm che da un produttore operante in territorio italiano della suddetta merce – in relazione alla quale è cosa dubbia che la stessa sia stata oggetto di lavorazioni presso la azienda indicata o, comunque, all’interno del territorio nazionale tali da potarla fare definire in esso prodotta – rileva la Corte come sia del tutto irrilevante, rispetto alla astratta configurabilità del reato in questione, che le descritte diciture o non siano esclusivamente riconducibili alla impresa amministrata dal Frola o non siano recate precisamente dai manufatti in discorso ma siano o tali da individuare anche altri produttori ovvero impresse solo sulle scatole che li contengono.
E’, infatti, del tutto condivisibile l’assunto esposto nella ordinanza impugnata secondo la quale la indicazione riportata sul prodotto o contenuta sulla confezione di esso, essendo questo destinato ad essere materialmente consegnato all’eventuale acquirente all’interno di essa, costituendo ragionevoli indicazioni in ordine alla sua provenienza, sia tale, ove mendace, da integrare gli estremi del reato in oggetto.
Nessuna incertezza, pertanto, in relazione alla sussistenza nel caso in esame del fumus delicti ed al fatto che, onde fornire maggiore consistenza a siffatta ancora non ben definita immagine (ovvero a farla del tutto svanire), sia opportuna la conservazione dei prodotti questione all’interno delle confezioni ove essi sono custoditi per la commercializzazione.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, già si è osservato che anche a voler trascurare il fatto che la stampiglia recante la denominazione “Demm” risulta essere presente anche, almeno in parte, direttamente sui manufatti sequestrati – come dianzi rilevato, la circostanza che l’indicazione “made in Italy” fosse stampata sulla confezione in cui i prodotti erano
contenuti sarebbe di per sé, ove fallace, idonea ad indurre l’acquirente in errore sulla provenienza nazionale del prodotto stesso.
Con riferimento all’ultimo motivo di impugnazione, afferente alla surrogabilità della diretta disponibilità per finiprobatori dei manufatti da parte della autorità giudiziaria procedente con la rappresentazione fotografica dei medesimi, si osserva, intanto che non vi sono elementi per ritenere che la rappresentazione iconografica di quelli sia esauriente di tutti i prodotti caduti in sequestro, e, in secondo luogo, che il mantenimento della segregazione dei beni è comunque giustificata dal fatto che la loro restituzione al soggetto nei cui confronti furono sequestrate potrebbe aggravare il pericolo connesso alla eventuale circolazione dei beni in questione ed appare, altresì, funzionale ad assicurare l’efficacia delle disposizioni in materia di confisca obbligatoria dei suddetti beni ove gli stessi dovessero risultare costituire corpi del reato (s veda, sotto il profilo generale l’art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen. e, con riferimento alla specifica imputazione provvisoriamente contestata all’indagato, l’art. 4, comma 49-ter della legge n. 350 del 2003; in giurisprudenza, in relazione alla strumentalità anche del sequestro probatorio allo scopo di assicurare gli effetti della confisca obbligatoria del corpo del reato: Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 marzo 2005, n. 10058, rv 231607).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente