Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15489 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
L’una
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Grottaglie il 16-08-1990,
avverso all’ordinanza del 11-07-2024 del Tribunale di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’indagato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’Il luglio 2024, il Tribunale del Riesame di Tarant rigettava l’appello cautelare reale proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 22 maggio 2024, con cui la Corte di appello di Lecc Sezione distaccata di Taranto, aveva disatteso l’istanza di conversione d quote della RAGIONE_SOCIALE e del compendio aziendale con la somma di euro 1.104.680,18, da versarsi sul conto corrente intestato al Fug. Il sequestr predetti beni era stato disposto con decreto del G.I.P. del Tribunale di Ta del 23 luglio 2019 nell’ambito di un procedimento penale nel corso del quale COGNOME, con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Taranto del 28 giugno 2023, stata condannata alla pena di 3 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione in ordi reati di associazione a delinquere finalizzata all’emissione e all’utilizzo di per operazioni inesistenti, di bancarotta fraudolenta e di operazioni dolose e 223 del R.D. n. 267 del 1942, con confisca di quanto in sequestro.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale pugliese, la COGNOME tramite il s difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un un motivo, con il quale la difesa deduce il “vizio di motivazione con riferimento art. 321, commi 1 e 2 – 310 cod. proc. pen.”, evidenziando che il provvedimen cautelare applicato alla B.A. risulta essere riconducibile alla sola ipotesi d comma 2 dell’art. 321 cod. proc. pen. e non a quella di cui al comma 1 della medesima norma, risultando solo apparente e non sostanziale il richiamo al disciplina del sequestro innpeditivo, dovendosi cioè ritenere che il decret G.I.P. del luglio 2019, emesso a integrazione di quello del febbraio 20 rappresenti non tanto uno strumento volto a impedire la commissione di ulterio condotte delittuose, difettandone del resto i presupposti applicativi, evoca resto in maniera del tutto generica, ma piuttosto una misura volta ad antici e salvaguardare gli effetti di un’eventuale sentenza di condanna definitiva.
La Corte di appello prima e il Tribunale del Riesame poi hanno ritenuto no meritevole di accoglimento la richiesta di conversione avanzata dalla dife ancorandosi al mero dato della qualificazione formale del sequestro, sen valutare i dati sostanziali allegati dalla difesa, che riconducono il sequ quello di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., non ostativo all’accogli dell’istanza di conversione, non essendosi considerato che il valore compless del sequestro è di molto superiore al profitto complessivo dei reati indica G.I.P. e che non è configurabile né il rapporto di pertinenza della cosa c reato, né il concreto pericolo che la disponibilità dei beni possa aggrav protrarre le conseguenze del reato, o agevolare la commissione di altri reati.
Il ricorso è infondato.
1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece dedursi l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37100 de 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione dell’istanza difensiva di conversione dell’oggetto del sequestro, non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame (e prima ancora la Corte di appello) adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione. In particolare, nell’ordinanza impugnata è stato ribadito, in coerenza con quanto già deciso dai giudici di appello, che, alla luce del decreto emesso dal G.I.P. il 14 febbraio 2019 e di quello integrativo del 23 luglio 2019, il sequestro del compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE, oltre che funzionale alla confisca per equivalente, era avvenuto anche ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., con riferimento al delitto di bancarotta pure ascritto alla ricorrente, sicchè stante la natura impeditiva del sequestro disciplinato da tale norma, non era possibile procedere alla conversione invocata dalla difesa, essendo preclusa una tale soluzione concordata, a fronte della natura pubblicistica del sequestro.
Il Tribunale ha peraltro ricordato che il primo decreto del 14 febbraio 2019 era stato impugnato con istanza di riesame oggetto di rinuncia, con conseguente declaratoria di inammissibilità, mentre il decreto integrativo del 23 luglio 2019 non è stato proprio oggetto di riesame, per cui le relative statuizioni dovevano ritenersi non contestate; a ciò si è poi aggiunto che deve essere considerata legittima la coesistenza sugli stessi beni di sequestri con finalità differenti, come più volte riconosciuto anche da questa Corte (cfr. in tal senso Sez. 2, n. 43222 del 28/09/2022, Rv. 284047 e Sez. 6, n. 12544 del 12/02/2020, Rv. 278733), per cui la preclusione procedimentale opera solo quando più misure cautelari siano disposte sullo stesso bene a garanzia della medesima esigenza, il che è da escludere nella vicenda in esame, stanti le diverse finalità del sequestro impeditivo e del sequestro funzionale alla confisca per equivalente.
Dunque, non vi è stata alcuna sovrapposizione tra le cautele reali, atteso che, con il decreto integrativo del luglio 2019, il G.I.P. ha chiarito che, in relazione
reati tributari di cui ai capi E, F, G e H, l’esecuzione del sequestro preventivo rientrava nella portata applicativa del primo decreto del febbraio 2019, con cui
era stato disposto il sequestro finalizzato al confisca del profitto dei predett reati, nonché quello per equivalente nel caso di impossibilità di procedervi,
mentre, in relazione ai delitti di bancarotta di cui ai capi L e P, è stato disposto sequestro del compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE, qualificato come
profitto di tali reati, sia ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., qua sequestro preventivo diretto finalizzato alla confisca, sia ai sensi dell’art. 321
comma 1, cod. proc. pen., quale sequestro preventivo con finalità impeditive, come tale ostativo all’accoglimento dell’istanza di conversione del suo oggetto,
avendo peraltro il Tribunale rimarcato, in modo pertinente, che le obiezioni dell’appello cautelare circa l’asserita insussistenza del nesso di pertinenzialità tra
i beni e i reati per cui si procede erano inammissibili, in quanto non sottoposte al primo giudice, per cui si tratta di motivi nuovi e dunque non esaminabili, fermo
restando che il G.I.P. aveva compiutamente indicato le ragioni per cui il compendio aziendale della BRAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi profitto dei reati di bancarotta.
Orbene, in quanto fondato su una disamina attenta dei provvedimenti cautelari adottati e su una corretta esegesi della disciplina normativa dei sequestri, il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata non presta il fianco alle doglianze difensive, ripropositive di temi già adeguatamente vagliati dai giudici cautelari, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto dell’asserita manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse della COGNOME, in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 03/12/2024