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Sequestro di richiami vivi: i limiti della confisca

Un cacciatore si oppone al mantenimento del sequestro di nove richiami vivi. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, annullando l’ordinanza e ordinando la restituzione degli uccelli. La sentenza chiarisce che il sequestro di richiami vivi non comporta automaticamente la confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p., poiché gli animali non sono beni intrinsecamente pericolosi la cui detenzione sia di per sé reato. La Corte distingue tra la confisca generale del codice penale e quelle previste da leggi speciali, limitando l’applicazione delle misure più severe.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro di Richiami Vivi: Quando la Confisca Non è Obbligatoria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13010 del 2024, è intervenuta su un tema di grande interesse per il mondo venatorio, delineando i confini applicativi del sequestro di richiami vivi e della conseguente confisca. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: la detenzione di avifauna con anelli identificativi alterati o assenti non giustifica automaticamente la confisca obbligatoria prevista dal codice penale, aprendo la strada alla restituzione dei beni all’avente diritto.

I Fatti del Caso: Il Sequestro e il Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da un provvedimento del Tribunale di Brescia che, pur annullando un decreto di convalida di sequestro probatorio, aveva disposto il mantenimento del sequestro di nove esemplari di richiami vivi. La decisione del Tribunale si fondava sulla presunta applicabilità della confisca obbligatoria prevista dall’articolo 240, secondo comma, del codice penale.

Contro questa ordinanza, il detentore degli uccelli proponeva ricorso per cassazione. La difesa lamentava un’erronea applicazione della legge, sostenendo che il Tribunale avesse impropriamente equiparato la contravvenzione prevista dalla legge sulla caccia (L. 157/1992) alle più gravi ipotesi di reato per cui è prevista la confisca obbligatoria ai sensi del codice penale. Secondo il ricorrente, il divieto di restituzione dei beni in sequestro non poteva applicarsi a un’ipotesi contravvenzionale esterna al perimetro dell’art. 240 c.p.

La Decisione della Corte sul sequestro di richiami vivi

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata e disponendo la restituzione degli esemplari di avifauna al legittimo proprietario. La decisione si allinea a un importante principio di diritto già sancito dalle Sezioni Unite, che interpreta in modo restrittivo il divieto di restituzione delle cose sequestrate.

Le Motivazioni: I Limiti della Confisca Obbligatoria

Il cuore della motivazione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 324, comma 7, del codice di procedura penale. La Cassazione ha ribadito che il divieto di restituzione si applica esclusivamente alle cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale. Quest’ultima norma riguarda beni che sono intrinsecamente criminali o pericolosi, ovvero cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce di per sé reato.

Nel caso specifico, gli esemplari di avifauna, pur detenuti in violazione di specifiche norme amministrative e penali (come quelle relative agli anelli identificativi), non rientrano in questa categoria. La Corte ha affermato che non si tratta di beni “intrinsecamente pericolosi” per i quali vige un divieto assoluto di detenzione. Al contrario, sono animali la cui libera circolazione è, di norma, lecita. Di conseguenza, non possono essere ricondotti alle categorie di beni per i quali l’art. 240 c.p. impone la confisca.

Il Tribunale di Brescia aveva errato nel mantenere il sequestro finalizzato alla confisca basandosi su un’applicazione combinata della legge sulla caccia e dell’art. 240 c.p. La Suprema Corte ha chiarito che le ipotesi di confisca previste da leggi speciali, come la legge 157/1992, non attivano automaticamente il severo regime del divieto di restituzione, a meno che non richiamino esplicitamente l’articolo 240 c.p. o non riguardino il prezzo del reato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza il principio di legalità e di stretta interpretazione delle norme che limitano il diritto di proprietà. La confisca, specialmente quella obbligatoria, è una misura ablativa di eccezionale gravità e può essere applicata solo nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge.

In secondo luogo, offre una tutela più efficace ai detentori di richiami vivi e, per estensione, di altri beni la cui detenzione è regolamentata ma non assolutamente vietata. La violazione di una norma specifica, anche se di rilevanza penale (contravvenzionale), non può essere assimilata alla detenzione di armi da guerra o di sostanze stupefacenti. Di conseguenza, in caso di annullamento o di esito favorevole del procedimento, il proprietario ha diritto alla restituzione del bene sequestrato, senza che possa essere opposto un divieto basato su un’interpretazione estensiva della confisca obbligatoria.

È sempre obbligatoria la confisca di richiami vivi detenuti irregolarmente?
No. Secondo la sentenza, la confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p. non si applica, poiché gli uccelli non sono considerati beni intrinsecamente pericolosi la cui detenzione è di per sé reato. La confisca può essere prevista da leggi speciali, ma segue un regime diverso e non impedisce la restituzione in caso di annullamento del sequestro.

Qual è la differenza tra la confisca prevista dall’art. 240 cod. pen. e quella delle leggi speciali?
La confisca dell’art. 240, comma 2, c.p. si applica a cose la cui detenzione, uso o fabbricazione è sempre un reato (es. armi clandestine). La confisca prevista da leggi speciali, come quella sulla caccia, riguarda beni la cui detenzione è illecita solo in determinate circostanze e non attiva automaticamente il divieto di restituzione previsto per i casi più gravi.

Cosa significa che un bene non è ‘intrinsecamente pericoloso’?
Significa che il bene in sé non è illegale e la sua circolazione è normalmente lecita. La sua detenzione diventa un reato solo in presenza di specifiche violazioni (nel caso di specie, la mancanza o l’alterazione degli anelli identificativi), ma questo non rende l’animale stesso un oggetto la cui detenzione sia vietata in modo assoluto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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