Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8982 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Roma del 4.4.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2.12.2022 il GUP del Tribunale di Roma, procedendo con rito abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti, ovvero del sequestro di persona di cui al capo a), del delitto di violenza privata di cui al capo b) e del delitto di rapina di cui al capo c) per cui, applicata la contestata recidiva e ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge, lo aveva condannato alla pena complessiva e finale di anni 6 di reclusione ed euro 3.000 di multa, così ridotta per la scelta del rito, oltre al pagamento delle spese processuali;
la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’COGNOME, ha riconosciuto dall’imputato le circostanze attenuanti generiche che ha stimato equivalenti alla contestata e ritenuta recidiva rideterminando così la pena in quella di anni 3, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 2.113 di multa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore che deduce:
3.1 violazione di legge con riferimento agli artt. 605 e 610 cod. pen. ed erronea applicazione degli artt. 533 e 192 cod. proc. pen.; carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità per i capi A) e B): rileva che, a fronte dei rilievi operati con l’atto di appello, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado, in punto di responsabilità, limitandosi a ripercorrere pedissequamente la denuncia sporta dalla persona offesa di cui ha riportato quasi integralmente il contenuto e, perciò, affidandosi esclusivamente alle parole del COGNOME; rileva, in particolare, che il delitto di sequestro di persona sussiste soltanto laddove venga limitata la libertà fisica e di locomozione della persona offesa che, nel caso di specie, aveva sempre conservato la possibilità di scendere dall’auto o chiedere aiuto; segnala la inconsistenza della motivazione resa dalla Corte d’appello in merito ai rilievi difensivi circa le incongruità delle dichiarazioni della persona offesa in punto di identificazione dell’agente; aggiunge che in alcun modo la Corte poteva trarre argomenti a carico dell’imputato dalla legittima scelta di non offrire una propria versione dei fatti;
3.2 violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 628 cod. pen.; carenza e illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato per il capo C): segnala il carattere scarno ed illogico della motivazione con cui la Corte ha confermato la responsabilità per il delitto di rapina pur a fronte di una condotta che i giudici di merito hanno definito genericamente intimidatoria senza tuttavia spiegare in cosa la minaccia si sarebbe manifestata;
3.3 carenza e illogicità della motivazione in ordine alla omessa riqualificazione dei fatti di cui al capo A) nella ipotesi delittuosa contemplata
dall’art. 610 cod. pen.: segnala che la Corte ha escluso di poter ricondurre la condotta di cui al capo A) nella ipotesi della violenza privata non considerando, tuttavia, che mai il ricorrente aveva limitato o compresso la libertà di movimento della persona offesa;
3.4 violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’applicazione della recidiva: ribadisce come, alla luce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, tutte le ipotesi di recidiva sono ormai facoltative e la sua applicazione va motivata spiegando le ragioni per le quali la ricaduta nel reato sia espressione di maggiore colpevolezza e pericolosità dell’imputato non automaticamente desumibile dai precedenti penali;
3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: osserva, infatti, che censure ricalcano i motivi di appello in relazione ai quali la sentenza impugnata ha fornito una risposta adeguata e logica,- oltre che corretta in punto di diritto, dando atto della sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di sequestro di persona.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e giudicato responsabile, all’esito di un conforme apprezzamento, nei due gradi di merito, delle medesime emergenze istruttorie, in primo luogo del delitto di cui all’art. 605 cod. pen. “… perché privava della libertà personale NOME NOME per alcune ore, limitandone la libertà di movimento introducendosi all’interno della vettura da questi condotta e, con minaccia, obbligandolo a trasportarlo in diversi luoghi, sottraendogli le chiavi del veicolo in occasione delle soste ed avvertendo una donna ivi presente di non farlo allontanare dalla vettura”; del delitto di cui all’art. 610 cod. pen. “… perché, con violenza e minaccia – consistite nell’introdursi all’interno della vettura della vittima, lanciare gli oggetti ivi presenti per terra, impedire alla persona offesa di uscire dalla stessa, tenerla costantemente sotto controllo, dirle che avrebbe pisciato sulla tomba dei suoi genitori, vantarsi di precedenti aggressioni ed insultarla – costringeva NOME COGNOME ad accompagnarlo in diversi luoghi che gli imponeva di raggiungere e a comprargli una birra”; infine, del delitto di cui all’art. 628 cod. pen. “… poiché, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con violenza e minaccia, consistite in tutte le condotte descritte ai capo A) e B), sottraeva a COGNOME NOME la somma di euro 20,00 circa, presente all’interno della vettura”.
La ricostruzione della vicenda era stata operata, essendosi proceduto nelle forme del rito abbreviato, sulla scorta del contenuto della articolata denuncia sporta dal COGNOME il quale aveva riferito che, nel primo pomeriggio del 13.3.2022, era partito dalla sua abitazione per recarsi, con la sua autovettura, in INDIRIZZO Barberini di Roma, quando, transitando su INDIRIZZO, aveva dovuto diminuire la velocità a causa di lavori in corso e, in quel frangente, una persona che era sul marciapiede gli si era rivolta con un cenno come a chiedere un’informazione, sicché egli aveva arrestato la marcia ed il soggetto ne aveva approfittato per aprire lo sportello, entrare, e sedersi al posto del passeggero; la persona offesa aveva proseguito nel suo racconto, testualmente riportato nelle due sentenze di merito, facendo presente che lo sconosciuto aveva preso a lanciare gli oggetti rinvenuti nell’auto sul tappetino tant’è che egli aveva iniziato ad avere paura dicendogli che non poteva accompagnarlo ed invitandolo a scendere ma, in tal modo, determinando la alterata reazione dell’uomo il quale gli aveva detto che gli serviva del denaro impadronendosi così delle monete conservate nel porta oggetti ed invitandolo, con modi spicci, a procurarsi 20 euro ed a darglieli per prendere il tassì e tornare a casa.
Il COGNOME aveva riferito che, giunti in INDIRIZZO, l’uomo era sceso dall’autovettura ed aveva portato con sé le chiavi di accensione rivolgendosi ad una donna ivi presente cui aveva dato incarico di non lasciarlo andare.
I due, sempre alla luce del racconto della persona offesa, si erano diretti in direzione Casal Monastero e l’uomo aveva continuato ad intimidirlo dicendogli che il giorno precedente aveva “pistato” un tale e che la ferita al piede era frutto della colluttazione, tanto da suscitargli sempre più paura portandolo anche a pensare di lanciarsi dalla macchina.
Una volta giunti a Casal Monastero l’uomo, aveva concluso il COGNOME, lo aveva fatto scendere e digitare un codice su un cancello che si era allora aperto per poi allontanarsi indicandogli una donna affacciata al balcone che aveva detto essere sua madre ed invitandolo a salutarla; l’uomo “mi ha invitato anche a salire a casa sua per mangiare, invito che ho declinato, dopo di che mi ha stretto la mano e mi ha lasciato andare”.
Con il primo ed il terzo motivo la difesa deduce violazione di legge e vizio della motivazione in punto di responsabilità, con specifico riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa (sulle cui parole, ed in assenza di riscontri, era stata fondata la condanna) ed alla acquisizione di tutti gli elementi in grado di ritenere integrato il delitto di cui all’art. 605 cod. pen..
1.1 Quanto al primo profilo, della violazione di legge, è allora opportuno rilevare che il ricorrente, lungi dal delineare un vizio di legittimità, finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado nel ritenere al contrario tali elementi riscontrati nella ricostruzione della concreta vicenda processuale.
Vale la pena, allora, ribadire che il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito.
Con specifico riguardo al vizio di motivazione non è d’altra parte inutile sottolineare che il sindacato di legittimità deve essere mirato a verificare che la motivazione: a) sia ‘!effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del
17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
1.2 Nel caso di specie, la Corte territoriale, a fronte dei rilievi pur genericamente articolati nell’atto di appello, ha in primo luogo vagliato la attendibilità della persona offesa argomentando sul punto (cfr., in particolare, pag. 8 della sentenza qui impugnata) in termini che non si prestano a rilievi in sede di legittimità e, in particolare, alle altrettanto generiche deduzioni contenute nel primo motivo del ricorso.
È appena il caso di ribadire che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone – (cfr., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01; Sez. 4 – , n. 410 del 09/11/2021, COGNOME, Rv. 282558 – 01; Sez. 5 – , n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01).
Per altro verso, la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria atteso che l’attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il Giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr., Sez. 4 – , n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01).
Infondato è, inoltre, il rilievo, comune al primo ed al secondo motivo di ricorso, concernente il delitto di sequestro di persone e, in particolare, la sussistenza degli elementi fattuali per ritenere integrata la fattispecie incriminatrice (in caso contrario dovendosi risolvere la condotta dell’imputato nella più lieve ipotesi delittuosa di cui all’art. 610 cod. pen),.
La questione è stata puntualmente affrontata dalla Corte d’appello che l’ha risolta correttamente richiamando il contenuto della denunzia del COGNOME (cfr., pag. 9 della sentenza laddove i giudici di secondo grado hanno commentato che “… è sufficiente avere riguardo a tale passo della denuncia per affermare che il COGNOME ha
subito una seria limitazione della libertà personale tale da integrare il delitto di sequestro di persona che non richiede che la privazione della libertà sia assoluta”); su tale premessa fattuale, la Corte d’appello ha inoltre, ed in diritto, dato continuità al consolidato orientamento secondo cui il delitto di sequestro di persona, non implicando necessariamente l’assoluta costrizione della libertà di movimento della vittima, si configura anche quando la condotta dell’imputato lasci residuare una possibilità di fuga, attuabile però soltanto con iniziative imprudenti, comportamenti elusivi della vigilanza e, comunque, con mezzi artificiosi la cui adozione sia scoraggiata dal timore di ulteriori pericoli e danni alla persona (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 4, n. 7962 del 06/12/2013, L., Rv. 259278 – 01; Sez. 2 – , n. 11634 del 10/01/2019, COGNOME, Rv. 276058 – 01).
La decisione impugnata è dunque conforme a diritto dovendosi ribadire che il delitto di violenza privata, preordinato a reprimere fatti di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma e ne differenzia perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento; ne consegue che, per il principio di specialità di cui all’art.15 cod. pen., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della libertà di movimento (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 44548 del 08/05/2015, T., Rv. 264685 – 01); il delitto di violenza privata ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia per il fatto che in esso viene lesa la libertà psichica di determinazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento dello stesso; pertanto, quando l’agente persegua un fine ulteriore rispetto alla mera privazione della libertà di movimento, volto a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, i due reati concorrono, sussistendo distinte lesioni dei beni giuridici tutelati (cfr., così, Sez. 5, n. 10543 del 31/10/2014, Pizzardi, Rv. 263453 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Infondato è anche il secondo motivo, con cui la difesa denunzia, peraltro in termini generici, violazione di legge e vizio di motivazione in merito al delitto di rapina mentre la Corte territoriale ha desunto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 628 cod. pen. dalla complessiva ricostruzione della vicenda connotata dal contegno minaccioso serbato dall’imputato sin dal momento in cui si era introdotto all’interno della vettura della persona offesa costretta a condurlo in varie parti della città.
E’ infatti appena il caso di ribadire che la minaccia costitutiva del reato di rapina, oltre che palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa versa (cfr., in tal senso, Sez. 2 – , Sentenza n. 27649 del 09/03/2021, Salvia, Rv. 281467 – 01; Sez. 2, n. 44347 del 25/11/2010, COGNOME, Rv. 249183 – 01).
Del tutto congrua è, infine, la motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno confermato la sussistenza dei presupposti per ritenere la contestata recidiva avendo richiamato le precedenti condanne per evasione, sequestro di persona, rapina, porto illegale di armi, violenza privata, lesioni personali e tentata estorsione risultanti a carico dell’COGNOME per poi rilevare che “… la commissione dei reati per i quali si procede … è sintomatica di conclamata insensibilità ai precetti” e, tenuto anche conto delle modalità delle condotte qui in rilievo, “… manifestano la maggiore capacità a delinquere che giustifica l’applicazione della circostanza aggravante” (cfr., pagg. 9-10 della sentenza).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14.2.2024