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Sequestro di denaro: sproporzione con il reddito

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo indagato per spaccio, confermando il sequestro di denaro per 6.000 euro. La decisione si fonda sulla manifesta sproporzione tra la somma rinvenuta e il reddito dichiarato dall’indagato, il quale non ha fornito prove concrete e credibili sulla provenienza lecita del contante. La sentenza ribadisce che le generiche allegazioni non sono sufficienti a superare la presunzione di illecita provenienza.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro di denaro e Sproporzione del Reddito: La Decisione della Cassazione

Il sequestro di denaro contante trovato nella disponibilità di un soggetto indagato è una misura cautelare spesso oggetto di dibattito legale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 20817/2024) ha fornito importanti chiarimenti sul tema, confermando la legittimità del sequestro quando la somma è palesemente sproporzionata rispetto al reddito noto dell’indagato e quest’ultimo non è in grado di fornire una giustificazione plausibile e documentata della sua provenienza.

I Fatti: Il Ritrovamento di 6.000 Euro in Contanti

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato il sequestro preventivo di 6.000 euro in contanti, rinvenuti durante una perquisizione domiciliare a carico di un individuo.

L’indagine per spaccio e la misura cautelare

L’uomo era indagato per numerosi episodi di cessione di sostanze stupefacenti pesanti, commessi nei mesi precedenti al ritrovamento del denaro. Sulla base di questi gravi indizi, era già stata disposta nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Durante l’esecuzione di tale misura, la polizia giudiziaria aveva proceduto alla perquisizione, trovando la somma in questione.

Le decisioni dei tribunali di merito

Sia il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) che, in un secondo momento, il Tribunale del Riesame hanno ritenuto legittimo il sequestro. Il fondamento della decisione risiedeva nella palese sproporzione tra la somma di denaro e la situazione reddituale dell’indagato. L’unica fonte di reddito ufficialmente nota era un lavoro dipendente presso la ditta del padre, che nel 2021 aveva fruttato meno di 3.800 euro. Le giustificazioni fornite dall’indagato, relative a presunte donazioni paterne o guadagni “in nero”, sono state ritenute generiche e prive di riscontri probatori.

I Motivi del Ricorso: La Difesa Contesta il Sequestro di Denaro

L’indagato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diverse violazioni di legge e un vizio di motivazione del provvedimento impugnato.

La mancanza del nesso di pertinenzialità

La difesa sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente motivato il collegamento (nesso di pertinenzialità) tra i reati di spaccio, risalenti a quasi un anno prima, e il denaro contante sequestrato. In assenza di questo nesso, il sequestro come profitto diretto del reato sarebbe stato illegittimo.

L’asserita prova della provenienza lecita

Inoltre, si contestava il fatto che il Tribunale avesse ignorato le dichiarazioni del padre dell’indagato, il quale aveva affermato di versare mensilmente al figlio una somma di denaro e che quest’ultimo svolgeva lavori extra “in nero”. Secondo la difesa, queste entrate avrebbero giustificato il possesso dei 6.000 euro, escludendo la sproporzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno chiarito i principi che regolano il sequestro di denaro in questi contesti.

La sproporzione tra denaro e reddito come fulcro della decisione

La Cassazione ha affermato che il giudizio di sproporzione condotto dal Tribunale del Riesame era corretto e logicamente motivato. Di fronte a un reddito dichiarato molto basso e a gravi indizi di colpevolezza per reati ad alto profitto illecito come lo spaccio, l’onere di giustificare la provenienza del denaro ricade sull’indagato. Le spiegazioni fornite sono state ritenute “genericamente affermate” e non supportate da prove sufficienti, legittimando così l’applicazione della confisca allargata ai sensi dell’art. 240-bis del codice penale.

Il ricorso inammissibile per vizio di motivazione

La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione contro i provvedimenti in materia di sequestro è ammesso solo per violazione di legge. Il vizio di motivazione può essere dedotto solo quando è talmente radicale da rendere l’argomentazione del giudice incomprensibile, illogica o del tutto assente. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale, sebbene sintetica, era chiara, coerente e fondata su principi giurisprudenziali consolidati, rendendo la contestazione della difesa un mero tentativo di riesaminare il merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida l’orientamento secondo cui, in presenza di gravi indizi per reati con finalità di lucro, il possesso di una somma di denaro contante sproporzionata rispetto ai redditi leciti costituisce un presupposto solido per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Per l’indagato, non è sufficiente addurre giustificazioni generiche o non documentate per vincere la presunzione di provenienza illecita. È necessario fornire prove concrete e credibili in grado di dimostrare l’origine legittima dei fondi. La decisione sottolinea inoltre i limiti del sindacato della Corte di Cassazione in materia di misure cautelari reali, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito delle valutazioni probatorie.

Quando è legittimo il sequestro di denaro trovato in possesso di un indagato?
Secondo la sentenza, il sequestro di denaro è legittimo quando esiste una significativa sproporzione tra la somma e il reddito ufficialmente dichiarato dall’indagato, soprattutto se quest’ultimo è coinvolto in indagini per reati che generano profitti illeciti. In tali circostanze, se l’indagato non fornisce una giustificazione credibile e provata sull’origine del denaro, la misura cautelare è giustificata.

È sufficiente una generica affermazione sulla provenienza lecita del denaro per evitarne il sequestro?
No, non è sufficiente. La Corte ha stabilito che affermazioni generiche, come quelle relative a donazioni familiari non documentate o a guadagni derivanti da lavoro non dichiarato, non sono idonee a superare la presunzione di provenienza illecita del denaro quando sussiste una chiara sproporzione con le entrate lecite note.

In un ricorso per cassazione contro un sequestro, si possono contestare le valutazioni di fatto del giudice?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il ricorso avverso i provvedimenti di sequestro è consentito solo per violazione di legge. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, a meno che la motivazione del provvedimento non sia talmente viziata (perché mancante, palesemente illogica o contraddittoria) da equivalere a una violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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