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Sequestro di denaro: nesso di pertinenzialità

Un imprenditore ricorre contro un sequestro preventivo di contanti, ritenuti profitto di corruzione per appalti pubblici. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, confermando il sequestro. Il nesso di pertinenzialità è provato dal fatto che l’indagato stava eseguendo l’appalto ottenuto illecitamente, considerando la somma un incremento patrimoniale derivante dal reato.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro di denaro e corruzione: quando sussiste il nesso di pertinenzialità?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10941 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sul tema del sequestro preventivo di somme di denaro e sul concetto di nesso di pertinenzialità con il reato contestato. Il caso riguarda un imprenditore, indagato per corruzione nella manipolazione di una gara d’appalto pubblica, al quale era stata sequestrata una cospicua somma in contanti. La Suprema Corte ha stabilito che il legame tra il denaro e il reato può essere dimostrato anche in via indiretta, analizzando il contesto in cui opera l’indagato.

Il caso: sequestro di contanti e accusa di corruzione

La vicenda giudiziaria ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari. Oggetto della misura era la somma di 39.850,00 euro in contanti, rinvenuta presso l’abitazione di un imprenditore. Tale somma è stata ritenuta profitto del reato di corruzione. L’accusa provvisoria ipotizzava la manipolazione di una gara d’appalto per lavori pubblici di oltre 4 milioni di euro, attraverso la gestione di un “cartello” di aziende riconducibili all’imprenditore e ai suoi fratelli. Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro, qualificandolo come “impeditivo” e ravvisando il nesso di pertinenzialità nel fatto che l’indagato fosse impegnato nell’esecuzione dell’appalto illecitamente ottenuto.

La decisione del Tribunale e il ricorso in Cassazione

L’imprenditore ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che il Tribunale non avesse adeguatamente accertato il legame diretto tra il denaro sequestrato e il presunto reato di corruzione, come invece richiesto da una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione che aveva annullato con rinvio una prima ordinanza. La difesa lamentava inoltre che non fossero state considerate le argomentazioni sull’origine lecita del denaro, anche in virtù del notevole lasso di tempo trascorso tra il fatto corruttivo e il sequestro.

Il nesso di pertinenzialità secondo la Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, il Tribunale ha correttamente adempiuto al mandato della precedente sentenza. Il nesso di pertinenzialità tra la somma e il reato di corruzione è stato adeguatamente motivato. La Corte ha chiarito che tale legame non deve essere necessariamente diretto e provato in modo granitico nella fase cautelare. Nel caso di specie, è stato considerato sufficiente il fatto che l’indagato, al momento del sequestro, fosse attivamente impegnato nell’esecuzione dei lavori relativi all’appalto milionario che, secondo l’accusa, era stato aggiudicato con modalità corruttive. In tale contesto, il denaro contante viene a configurarsi come un bene che ha accresciuto il patrimonio dell’indagato quale profitto del reato, legittimandone il sequestro.

I limiti del ricorso contro le misure cautelari reali

La sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali, come il sequestro, è consentito solo per violazione di legge. Non è possibile, in tale sede, contestare la logicità o la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, né tantomeno tentare una diversa ricostruzione dei fatti. La Corte, citando la nota sentenza “Bevilacqua” delle Sezioni Unite, ha sottolineato che le argomentazioni difensive circa la provenienza lecita del denaro attengono al merito del giudizio e non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità sulla misura cautelare.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché mirava a ottenere una rivalutazione dei fatti e della logicità della motivazione, attività preclusa nel giudizio di legittimità avverso le misure cautelari reali. Il Tribunale, secondo la Corte, ha applicato correttamente i principi di diritto, individuando il nesso di pertinenzialità nel fatto che l’indagato stesse attivamente eseguendo un appalto di ingente valore, frutto di corruzione. Questo elemento è stato considerato sufficiente a collegare la somma di denaro sequestrata, quale profitto del reato, all’attività illecita contestata. La motivazione del provvedimento impugnato non è stata giudicata apparente, ma adeguata a sostenere la misura cautelare.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha confermato la legittimità del sequestro preventivo. Questa decisione consolida l’orientamento secondo cui, per giustificare una misura cautelare reale, il nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato può essere desunto da elementi logici e contestuali, come l’esecuzione di un contratto illecitamente acquisito. Si tratta di un monito importante che evidenzia come il possesso di ingenti somme di contante da parte di chi è coinvolto in attività economiche sospette possa facilmente condurre a un sequestro, essendo l’onere di dimostrarne la provenienza lecita una questione da affrontare nel successivo giudizio di merito.

Quando può essere sequestrata una somma di denaro trovata in casa di un indagato per corruzione?
Può essere sequestrata quando esiste un legame logico e plausibile, definito ‘nesso di pertinenzialità’, tra il denaro e il reato. Secondo questa sentenza, tale legame sussiste se l’indagato è impegnato nell’esecuzione di un contratto di valore significativo ottenuto illecitamente, poiché il denaro viene considerato un incremento patrimoniale derivante da tale attività.

È necessario provare che le banconote sequestrate provengano direttamente dalla tangente pagata?
No, in fase cautelare non è necessaria una prova così stringente. La Corte ha ritenuto sufficiente che la somma rappresenti un accrescimento del patrimonio dell’indagato, reso possibile dall’attività illecita in corso, come l’esecuzione di un appalto ottenuto tramite corruzione, per giustificare il sequestro come profitto del reato.

È possibile contestare l’origine lecita del denaro in un ricorso per cassazione contro un sequestro?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che le argomentazioni relative all’origine lecita del denaro attengono al merito del processo e non possono essere valutate in sede di ricorso contro una misura cautelare reale. Tale ricorso è limitato al solo controllo sulla corretta applicazione della legge (violazione di legge), escludendo un riesame dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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