Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10941 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Casal di Principe il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 12/07/2023 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari reali e di rinvio della Corte
di cassazione disposto con sentenza del 28 febbraio 2023, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 18 giugno 2022, avente ad oggetto la somma in denaro contante pari ad euro 39.850,00, rinvenuta presso l’abitazione del ricorrente e ritenuta profitto del reato di corruzione di cui al capo 3 della imputazione provvisoria, consistente – al pari di altra contestazione di cui al capo 1 -bis -nella manipolazione di una gara di appalto pubblica in un comune della provincia di Caserta, attraverso la gestione di una azienda rientrante in un “cartello” il cui controllo era riconducibile al ricorrente ed ai suoi fratelli.
Il Tribunale ha qualificato il sequestro come di tipo impeditivo, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., ravvisando il nesso di pertinen2:ialità tra la somma ed il reato di cui al capo 3, tenuto conto che il ricorrente, attraverso l’impresa a lui riconducibile, era impegnato nella esecuzione dei lavori relativi all’appalto incriminato, del valore di oltre 4 milioni di euro, sicché la somma in sequestro, in quanto profitto del reato in contestazione, è stato ritenuto che avesse accresciuto il patrimonio dell’indagato.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo, con unico motivo, violazione di legge per non avere il Tribunale osservato il principio di dritto stabilito dalla sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, che aveva imposto l’accertamento del nesso di pertinenzialità tra la somma di denaro in sequestro ed il reato contestato all’indagato.
Tale accertamento sarebbe mancato, come pure ogni motivazione volta a confutare le deduzioni difensive in ordine all’origine lecita del danaro anche in considerazione del tempo trascorso tra il fatto corruttivo e l’esecuzione della misura, pari a circa due anni e mezzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per un motivo manifestamente infondato.
Il Tribunale, pur dando atto di una giurisprudenza che si è evoluta in termini differenti rispetto al principio di diritto fissato dalla sentenza rescindente siccome volto a richiedere l’accertamento del nesso di pertinenzialità tra il reato ed una somma di danaro in sequestro ritenutane profitto, non ha mancato di adeguarsi a quanto richiesto, nel caso concreto, dalla Corte di cassazione.
A fg. 6 dell’ordinanza impugnata, infatti, il Tribunale ha specificato – dopo ampia motivazione sulla sussistenza del fumus commissi delicti dei reati di corruzione contestati e del sistema di aggiudicazione fraudolento di appalti pubblici messo in atto dal ricorrente e dai suoi fratelli attraverso un cartello di imprese a costoro
riconducibili – che il nesso di pertinenzialità tra la somma in sequestro ed il reato di cui al capo 3 doveva ravvisarsi nel fatto che l’indagato, al momento del sequestro, fosse impegnato nella esecuzione dei lavori relativi all’appalto di oltre 4 milioni di euro che l’impresa da lui gestita si era aggiudicata con modalità corruttive, sicché il denaro veniva a configurarsi come un bene che, quale profitto del reato in discorso, aveva accresciuto il patrimonio del ricorrente e per questo meritevole della misura, sia pure qualificata di tipo impeditivo.
La motivazione non è apparente e le diverse argomentazioni difensive, che il Tribunale ha tralasciato, tendono ad offrire una diversa ricostruzione in chiave lecita circa la provenienza del denaro e, così facendo, non solo ineriscono al merito del giudizio, ma censurano la motivazione del provvedimento per uno dei vizi riconducibili all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il che, in questa sede, non è consentito ai sensi dell’art. 325, c:omma 1, cod. proc. pen. e della interpretazione che di tale norma è stata fornita dalla pacifica giurisprudenza di legittimità (Sez.U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, e successive conformi).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende. Così deliberato in Roma, udienza in camera GLYPH consiglio del 13.12.2023.