Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35385 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35385 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Massa di Somma (NA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/03/2024 del Tribunale di Napoli;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è la moglie di NOME COGNOME, indagato per il delitto di riciclaggio continuato ed aggravato dalla finalità di agevolare un clan di camorra.
Secondo l’accusa, egli era l’effettivo titolare di una serie di società di comodo, intestate a soggetti indigenti che fungevano da prestanome, le quali emettevano fatture per operazioni inesistenti a fronte di bonifici in loro favore da parte di società riconducibili a membri del clan, quindi bonificando a loro a volta le somme così ottenute a società estere, per lo più cinesi, riferibili a cittadini strani
dimoranti in Italia, che, detratta la quota pattuita a titolo di corrispettivo per servizio, provvedevano poi a riversarle in contanti al gruppo mafioso.
1.1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha disposto il sequestro della somma di 63.100 euro in contanti, rinvenuta nell’abitazione del COGNOME e di sua moglie, ritenendola prodotto o profitto del reato e ravvisandone il pericolo di dispersione.
1.2. Il Tribunale del riesame, adito dalla COGNOME, la quale sosteneva che quella somma derivasse da incassi del bar-tabaccheria da lei gestito, ha confermato il sequestro con ordinanza del 21 novembre scorso.
1.3. La Corte di cassazione, con sentenza del 13 febbraio seguente (n° 10228/2024), accogliendo il ricorso di COGNOME, ha annullato con rinvio detto provvedimento, ritenendo meramente apparente la motivazione in tema di riferibilità di detta somma al reato, in quanto:
mancava uno specifico confronto con la documentazione prodotta dalla difesa in sede di riesame (relazione tecnica del commercialista, dichiarazione dei redditi dell’impresa individuale della ricorrente, conto economico relativo agli anni 2021 e 2022, lista dei movimenti del conto corrente bancario della ditta), dalla quale risultavano versamenti di contanti mediante sportello bancario sistematici e per importi nel complesso assai considerevoli;
l’argomento di confutazione utilizzato dal Tribunale, per cui la maggior parte degli introiti del bar-tabaccheria sarebbe derivato da pagamenti elettronici, non era conferente, anche perché quei giudici non avevano indicato la misura del termine di raffronto, l’entità, cioè, degli incassi a mezzo pos;
sulla scorta di tanto, l’assunto per cui la detenzione in casa di una siffatta somma in contanti fosse anomala risultava apodittico.
1.4. Il Tribunale di Napoli, decidendo in sede di rinvio, ha confermato la misura cautelare, ricollegando detta somma all’attività di riciclaggio addebitata a COGNOME, in quanto:
questi, pur avendo altrove la residenza formale, abitava insieme alla moglie nella casa in cui è stato rinvenuto il denaro;
il suo ruolo, in quel sistema criminale, era particolarmente quello di ricevere il denaro “ripulito” in contanti dai soggetti stranieri e consegnarlo agli uomini del clan;
l’affermazione del consulente di parte, secondo cui gli incassi del bartabaccheria della RAGIONE_SOCIALE avvenivano esclusivamente “per cassa”, attiene alle modalità di contabilizzazione del reddito d’impresa, non dovendo essere intesa nel senso che quelli avvenissero per contanti;
nella lista dei movimenti del conto corrente bancario della ditta, numerosi sono gli accrediti tramite pos;
dal medesimo documento si evince che i versamenti di contanti tramite sportello bancario solo raramente sono stati superiori ai 10.000 euro, e comunque per un massimo di 25.650 euro, peraltro in una sola occasione;
l’interessata non ha prodotto documentazione contabile relativa agli scontrini emessi, sicché non è possibile ricollegare quei versamenti bancari ad incassi dell’attività commerciale;
non sono stati prodotti neppure i libri contabili dell’impresa, al fine di avere un riscontro documentale degli eventuali incassi in contanti;
il denaro rinvenuto si presentava in tagli incompatibili con gli incassi di un esercizio commerciale di tal specie, ovvero: cinque banconote da 500 euro, quarantatre da 200, cinquantadue da 50 e le restanti da 100;
insieme al denaro sono stati rinvenuti e sequestrati in casa appunti manoscritti, che COGNOME, presente all’incombente, ha riconosciuto come propri, senza nulla dire, invece, sulla riferibilità di quel denaro all’attività della propr moglie.
Quanto, poi, al periculum in mora, il Tribunale lo ha ravvisato in ragione dei rilevanti introiti garantiti da quell’attività criminale, dal correlativo danno ingent causato all’Erario, dai rapporti intrattenuti dall’indagato con società estere, dalla facilità con cui egli opera proprio al fine di ostacolare la rintracciabilità dei profi illegali, dalla necessità di evitare che tali somme siano utilizzate per proseguire nell’attività illecita oggetto di addebito.
Impugna tale decisione la COGNOME, attraverso il proprio difensore e procuratore speciale, sostenendo che anche la relativa motivazione presenti i medesimi limiti di quella del provvedimento già annullato dalla Corte di cassazione, sia per quel che riguarda la provenienza della somma in sequestro, che per quanto concerne le esigenze di cautela.
3.1. Quanto al primo profilo, il ricorso deduce che:
sull’entità dei versamenti per contanti tramite sportello, il Tribunale è smentito dai documenti prodotti dalla difesa, dai quali si evincono anche versamenti superiori ai 10.000 euro;
apodittico è il riferimento alla mancanza degli scontrini, dato che non si tratta di un’indagine di tipo fiscale, essendo perciò sufficienti i documenti già prodotti;
il taglio delle banconote è inconferente, considerando che l’attività commerciale era diversificata (vendita di articoli vari, ricevitoria del lotto, lotteri istantanee, servizi di pagamento mediante Internet point) e che, peraltro, su 594 banconote sequestrate, solo cinque erano da 500 euro, mentre 546 erano di taglio da 100 o 50);
è irragionevole utilizzare come riferimento l’incasso di una giornata, poiché i relativi versamenti non avvenivano con cadenza quotidiana;
COGNOME ha attribuito a sé soltanto gli appunti rinvenuti insieme al denaro, ma non quest’ultimo, sul quale – secondo quanto risulta dal verbale – non ha riferito nulla;
da tale verbale non è possibile evincere alcun collegamento funzionale tra quelle somme ed il reato, né che le stesse fossero custodite insieme alla documentazione di pertinenza del COGNOME;
la conversazione intercettata e riportata nell’ordinanza impugnata per dimostrare il ruolo del COGNOME di “collettore” delle somme in contanti tra i cinesi ed il clan (pag. 6) risale a molti mesi prima del sequestro ed è avvenuta tra terzi soggetti, i quali, peraltro, fanno riferimento ad importi del tutto diversi dalla somma in sequestro.
3.2. Quanto al “periculum in mora”, il ricorso, con richiami di giurisprudenza di legittimità, deduce che il sequestro possa giustificarsi soltanto in assenza di un’adeguata solidità finanziaria del soggetto destinatario della misura, e quindi della garanzia patrimoniale per tal via da esso offerta, oppure, in alternativa, laddove possa comunque ravvisarsi il pericolo di un depauperamento nel tempo di tale garanzia. Lamenta, dunque, l’assenza di specifici accertamenti e di motivazione su tali aspetti, nonché l’irrilevanza dei profili della natura e della tipologia del reato o del danno erariale da esso derivato, invece valorizzati dal Tribunale.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale del riesame ha compiutamente assolto il compito rimessogli dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio del suo precedente provvedimento.
L’ordinanza impugnata si sofferma, infatti, su ciascuno dei punti segnalati dal giudice di legittimità nella sua decisione, dando una spiegazione effettiva e logicamente ineccepibile della riferibilità delle somme sequestrate all’attività illecita per cui COGNOME è indagato e non a quella imprenditoriale esercitata da sua moglie.
Invero, l’ammontare della somma rinvenuta nella loro abitazione, l’esuberanza di essa rispetto a quelle solitamente oggetto dei riversamenti in banca (e probabilmente riferibili agli incassi di volta in volta realizzati per alcuni
giorni dal GLYPH bar-tabaccheria, GLYPH come GLYPH rappresentato dagli interessati), la conformazione della stessa (per lo più in banconote di taglio elevato, difficilmente conciliabili con i generi merceologici trattati da tal specie di esercizio) e l’impossibilità di ricostruire in modo effettivo il volume d’affari dell’impresa – non solamente, cioè, per il tramite delle considerazioni del consulente di parte, verosimilmente non disinteressate, od attraverso la produzione di documentazione incapace di attestare effettivamente tale dato, come invece sarebbe quella fiscale e contabile, però non prodotta dalla difesa, pur dovendo ritenersi nella disponibilità della stessa – offrono un robusto sostegno logico alle conclusioni del Tribunale.
Peraltro, il ricorso si risolve nella censura dell’interpretazione di quei dati istruttori offerta da quei giudici, e quindi nella denuncia – a tutto voler concedere – di un vizio della motivazione: il quale, nella materia in esame, non è però deducibile con il ricorso per Cassazione (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).
2. Sintetica, ma non di meno effettiva e sufficiente, è anche la motivazione del periculum, avendo il Tribunale plausibilmente posto in rilievo la specifica abilità del COGNOME nella circolazione del denaro e nell’occultamento della sua provenienza illecita nonché la rete di rapporti da lui intrattenuti a tal fine anche con soggetti operanti all’estero, altresì correttamente evidenziando come la restituzione di tali somme determinerebbe con ogni verosimiglianza la prosecuzione della lucrosa attività delittuosa oggetto di giudizio.
Non è conferente, infine, l’argomento difensivo che fa leva sulla necessità di valutare il pericolo di dispersione delle cose sequestrabili anche con riferimento alla solidità patrimoniale e finanziaria del destinatario della misura e sul difetto di motivazione dell’ordinanza sul punto.
È sufficiente osservare, in proposito, che il destinatario del sequestro, sul presupposto dell’effettiva titolarità da parte sua della somma staggita, è COGNOME e non sua moglie, e che, pertanto, la verifica invocata dalla difesa dovrebbe riguardare lui e non l’azienda di COGNOME: ma, sull’esistenza e l’adeguatezza delle disponibilità finanziarie o patrimoniali del COGNOME, è lo stesso ricorso a non dir nulla.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna della proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (yds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024.