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Sequestro del profitto: limiti e non estensibilità

Con la sentenza n. 52115/2019, la Cassazione Penale, Sez. 6, dichiara inammissibile il ricorso del PM contro la revoca di un sequestro preventivo. Il caso riguarda un appalto illecito e un’estorsione ai danni dei lavoratori. La Corte stabilisce che il sequestro del profitto non può essere esteso alla società committente se il suo vantaggio economico, pur esistente, non è stato specificamente quantificato e risulta solo futuro o potenziale, a differenza del profitto diretto e calcolato della società appaltatrice.

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Pubblicato il 11 luglio 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Sequestro del profitto: quando è inapplicabile?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52115 del 2019, offre un’importante lezione sui limiti del sequestro del profitto illecito, specialmente in contesti aziendali complessi. La pronuncia stabilisce un principio cardine: una misura cautelare reale, come il sequestro, non può colpire beni di una società se il suo vantaggio economico derivante dal reato è meramente potenziale, futuro e, soprattutto, non quantificato. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria trae origine da un’indagine su un presunto sistema di appalto illecito di manodopera che coinvolgeva due società: una grande committente (Holding Company Alpha) e una società appaltatrice (Operational Company Beta). Secondo l’accusa, i legali rappresentanti di entrambe le società avrebbero commesso il reato di estorsione ai danni dei lavoratori.

In pratica, i dipendenti, formalmente assunti dalla società appaltatrice ma di fatto impiegati dalla committente, venivano costretti a firmare verbali di conciliazione accettando somme irrisorie e rinunciando a diritti retributivi ben maggiori, che sarebbero loro spettati per legge. Il profitto del reato, quantificato in quasi 2 milioni di euro, era stato identificato nel risparmio di spesa ottenuto non pagando le retribuzioni dovute.

Il Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) aveva emesso un decreto di sequestro preventivo per tale importo, colpendo i beni di entrambe le società. Tuttavia, il Tribunale del riesame, in sede di rinvio dopo un precedente annullamento della Cassazione, aveva revocato il sequestro nei confronti della società committente (Holding Company Alpha), ritenendo che questa non avesse percepito direttamente quel profitto. Il Procuratore della Repubblica ha quindi presentato ricorso in Cassazione contro tale decisione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero, confermando di fatto la decisione del Tribunale del riesame. La Suprema Corte ha ritenuto che il ricorso del PM, pur denunciando una violazione di legge, si risolvesse in una richiesta di rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Il punto centrale è che il Tribunale del riesame, in qualità di giudice del rinvio, si era correttamente attenuto ai principi stabiliti dalla stessa Cassazione in una precedente pronuncia sul medesimo caso. Il vincolo della precedente decisione era invalicabile.

Limiti al sequestro del profitto e ruolo del giudice del rinvio

La Corte ha ribadito che il giudice del rinvio ha una cognizione limitata ai punti annullati dalla Cassazione. Nel caso di specie, la precedente sentenza aveva già stabilito una distinzione cruciale tra i vantaggi ottenuti dalle due società:

1. Profitto diretto (Operational Company Beta): Un risparmio di spesa diretto, calcolato e quantificato, derivante dal pagamento di retribuzioni inferiori al dovuto. Questo era l’unico profitto chiaramente indicato nell’imputazione e quantificato nel decreto di sequestro.
2. Profitto indiretto (Holding Company Alpha): Un vantaggio diverso, identificato nel risparmio fiscale conseguente alla mancata assunzione diretta dei lavoratori. Questo profitto, però, non era stato né quantificato nel decreto di sequestro né specificato nell’imputazione, configurandosi come un vantaggio futuro, eventuale e non direttamente percepito.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di legalità e determinatezza. Il sequestro funzionale alla confisca, incidendo sul diritto di proprietà tutelato anche dalla CEDU, deve avere una base legale solida e deve essere commisurato all’entità del profitto per cui è previsto. Non è possibile disporre un sequestro per un importo non quantificato o basato su un vantaggio solo potenziale.

La Corte ha sottolineato che il Tribunale del riesame ha agito correttamente nel considerare ostativa al sequestro nei confronti della Holding Company Alpha proprio la mancata quantificazione del suo specifico profitto. Ammettere il sequestro in queste condizioni avrebbe significato trasformarlo da sequestro diretto a sequestro per equivalente, ma in assenza dei presupposti di legge.

Il ricorrente (il PM) cercava di dimostrare l’interesse della società committente alle conciliazioni illecite, ma, come evidenziato dai giudici, tale interesse non è sufficiente a giustificare un sequestro se il profitto non è immediato, diretto e calcolato. Il profitto quantificato di 1.940.082,85 euro era riferibile unicamente al risparmio di spesa della società appaltatrice, l’unica formalmente datrice di lavoro.

le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di diritto in materia di misure cautelari reali: il sequestro del profitto del reato richiede rigore e precisione. Non può essere esteso a soggetti che, pur coinvolti nell’illecito, hanno ottenuto un vantaggio solo potenziale, futuro o, comunque, non specificamente determinato e quantificato nell’atto impositivo. La distinzione tra profitto diretto e calcolato e vantaggio indiretto e non quantificato diventa il discrimine fondamentale per l’applicabilità della misura. Questa decisione rafforza le garanzie patrimoniali, assicurando che il sequestro colpisca solo il vantaggio economico effettivamente e direttamente conseguito tramite l’attività criminosa.

Quando il sequestro del profitto di un reato non può essere esteso a un’altra società coinvolta?
Quando il vantaggio economico per quella società non è diretto, immediato e, soprattutto, non è stato specificamente quantificato nel decreto di sequestro. Un vantaggio futuro, eventuale o solo potenziale, come un risparmio fiscale non calcolato, non è sufficiente a giustificare un sequestro diretto.

Qual è la differenza tra profitto diretto e sequestro per equivalente in questo contesto?
Il profitto diretto è il vantaggio economico che confluisce immediatamente nel patrimonio del reo a seguito del reato (es. il risparmio sui salari non pagati). Il sequestro diretto colpisce proprio questo profitto. Se questo non è possibile, si può procedere al sequestro per equivalente su altri beni di valore corrispondente. La Corte ha stabilito che non si poteva qualificare il sequestro come ‘per equivalente’ in assenza dei presupposti e, allo stesso tempo, non era un sequestro ‘diretto’ perché il profitto della società committente non era stato quantificato.

Qual è il ruolo vincolante della precedente sentenza della Cassazione per il giudice del rinvio?
Il giudice del rinvio, cioè il tribunale che deve decidere nuovamente il caso dopo un annullamento della Cassazione, è strettamente vincolato ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte. Non può riesaminare i punti già decisi, ma deve solo applicare le regole indicate dalla Cassazione al caso concreto. In questa vicenda, il Tribunale si è correttamente attenuto al principio che il profitto della società committente non era assoggettabile a sequestro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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