Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 52115 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 6 Num. 52115 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/11/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino nel procedimento a carico di
RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 05/07/2019 del Tribunale del riesame di Avellino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare l’inarnmissibilità del ricorso; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che hanno concluso
per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino ha proposto ricorso avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame, decidendo in sede di rinvio, ha revocato il decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.i.p. del medesimo Tribunale il 7 novembre 2018, avente ad oggetto le somme nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, sequestrate, al pari di
quelle nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, per l’importo di euro 1.940.082,85 corrispondente al profitto del reato di estorsione, commesso dai legali rappresentanti delle due società (Capaldo Gerardo e COGNOME Giovanni), contestato al capo B) dell’imputazione provvisoria e consistente nella differenza tra quanto spettante ai dipendenti, secondo l’accertamento dell’ispettorato del lavoro, e quanto corrisposto ai lavoratori, costretti a firmare i verbali d conciliazione, in misura inferiore a quanto loro dovuto per legge.
Ne chiede l’annullamento per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 29 d.lgs. 276/03 nonché per mancanza di motivazione.
Il ricorrente censura la valutazione del Tribunale, secondo la quale il profitto conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE è individuabile esclusivamente nel risparmio fiscale, derivante dalla rinuncia, oggetto dell’illecita transazione, da parte dei lavoratori alla facoltà di costituire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con la committente ex art. 29 d.lgs.276103, non sequestrabile, in quanto profitto non quantificato né quantificabile.
Osserva che, sebbene nel decreto il G.i.p. avesse individuato il profitto della RAGIONE_SOCIALE nel risparmio fiscale derivante dalla mancata assunzione dei lavoratori utilizzati, grazie alla loro rinuncia ad ogni diritto nei confronti de RAGIONE_SOCIALE in sede conciliativa, aveva altresì, affermato che il profitto di euro 1.940.082,85 era indubbiamente riferito ad entrambe le società, precisando che “diretti beneficiari del profitto illecito sono in via solidale la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE“.
Il ragionamento del Tribunale, secondo il quale il profitto illecito è riferibil solo alla RAGIONE_SOCIALE, è erroneo, in quanto l’accertamento ispettivo è stato eseguito non nei confronti di detta società, ma delle ditte subappaltatrici, individuate dalla DTL quali formali datori di lavoro; l’esito dell’accertamento è stato notificato sia a queste ultime e alla RAGIONE_SOCIALE, sia alla RAGIONE_SOCIALE per gli obblighi derivanti dall’art. 29 d.lgs. cit., avendo gli ispettori accert l’appalto illecito e rilevato, quale ulteriore profilo di illiceità, la circostanza c RAGIONE_SOCIALE, proponente la illecita conciliazione, che integra l’estorsione, non era legittimata a conciliare, non essendo il datore di lavoro. Rileva che, seguendo il ragionamento del Tribunale, né la RAGIONE_SOCIALE e neanche la RAGIONE_SOCIALE potrebbe essere considerata beneficiaria del profitto illecito, dovendo individuarsi nelle subappaltatrici, formali datori di lavori, le beneficiarie d profitto illecito, ma in tal modo si finisce per avallare la pratica illeg dell’appalto illecito, ordito dalla committente RAGIONE_SOCIALE, che ha utilizzato la forza lavoro, assunta formalmente da altre ditte, senza versare né retribuzioni né oneri previdenziali, in contrasto con la ritenuta sussistenza del fumus del
reato di estorsione, ascritto in concorso ai legali rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente sottolinea che il Tribunale ha trascurato che si è in presenza di un appalto illecito e che il profitto del reato di estorsione consiste nel mancato versamento ai lavoratori concilianti delle differenze retributive loro spettanti per il quinquennio in esame e che tale profitto è riferibile direttamente alla RAGIONE_SOCIALE, essendo le ditte subappaltatrici meri soggetti interposti, su cui venivano a ricadere gli oneri retributivi e previdenziali, e ciò spiega l’interesse della RAGIONE_SOCIALE e della NOME RAGIONE_SOCIALE a porre in essere, prima della conclusione dell’accertamento ispettivo, le condotte estorsive finalizzate alla sottoscrizione di transazioni illecite con i dipendenti, ai quali venivano corrisposti importi irrisori.
Evidenzia che la RAGIONE_SOCIALE aveva interesse alle conciliazioni sia per evitare azioni dei lavoratori per ottenere le differenze retributive non corrisposte, sia per evitare l’azione ex art. 29 d.lgs. cit., costituente il profitto non quantificato quantificabile in ragione della natura potestativa del diritto del singolo lavoratore, azionabile nei confronti del committente e dell’appaltatore, per i quali la norma indicata prevedeva la responsabilità solidale per le retribuzioni non versate. Il ricorrente segnala che, a seguito della modifica dell’art. 29 cit., introdotta dal d.l. n. 25/17 convertito in legge n. 49 del 20/04/2017, il lavoratore, dipendente dell’appaltatore e di eventuali subappaltatori, può agire in giudizio direttamente nei confronti del committente; sottolinea, inoltre, che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca, era stato disposto per entrambe le ditte, in quanto beneficiarie della condotta illecita e partecipi della utilizzazion degli incrementi economici derivati dal reato, a nulla rilevando la mancata previsione della responsabilità amministrativa degli enti per il delitto di estorsione. Conclusivamente il ricorrente sostiene l’illogicità del ragionamento del Tribunale, che individua nella RAGIONE_SOCIALE il datore di lavoro e l’unico soggetto interessato a conseguire l’ingiusto profitto in contrasto con la contestazione formulata, che riferisce il profitto illecito ad entrambe le società. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Con memoria depositata il 31 ottobre 2019 i difensori della RAGIONE_SOCIALE sostengono, in via principale, l’inammissibilità del ricorso del P.m., in quanto proposto per motivi non consentiti ovvero per vizi di motivazione e di merito, nonostante si contesti formalmente la violazione dell’art. 29 d.lgs. 276/03. Si deduce che il ricorrente chiede una rilettura in fatto delle evidenze processuali, criticando la valutazione del Tribunale circa l’impossibilità di estendere la misura cautelare nei confronti della ricorrente, che non ha incamerato il profitto del reato.
In subordine, si sostiene l’infondatezza del ricorso, in quanto le precisazioni del P.m. si scontrano con la non quantificabilità dell’eventuale profitto della RAGIONE_SOCIALE, atteso che l’unico profitto calcolato (e calcolabile) dal G.i.p. è quello della RAGIONE_SOCIALE. Si evidenzia sul punto che in concreto solo la RAGIONE_SOCIALE ha beneficiato delle conciliazioni, asseritamente estorte, sotto il profilo della minor retribuzione versata, mentre la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto astrattamente trarre solo un diverso vantaggio di natura fiscale, correlato alla mancata assunzione dei dipendenti concilianti. Si segnala che è stato, inoltre, dimostrato il versamento dei corrispettivi dovuti dalla committente RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE secondo il contratto, comprensivi delle somme per le retribuzioni dei dipendenti, sicché nessun risparmio poteva derivare alla RAGIONE_SOCIALE dalle conciliazioni. Si sottolinea, peraltro, che le modifiche normative indicate nel ricorso sono successive all’epoca di consumazione dei reati e che le azioni che i lavoratori avrebbero potuto intraprendere costituiscono una mera eventualità.
Ribadito che l’unico profitto riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE sarebbe quello derivante dalla mancata assunzione dei lavoratori, come stabilito da questa Corte e ritenuto dal Tribunale, detto profitto non è quantificabile in ragione della mera eventualità della costituzione dei rapporti di lavoro, né è possibile il sequestro nei confronti di un soggetto non concorrente nel reato, essendo la RAGIONE_SOCIALE rimasta estranea alle conciliazioni, avvenute tra il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e i singoli lavoratori, né sussiste il perículum in mora indicato dal ricorrente e genericamente individuato nel rischio che il profitto illecito costituisca un incentivo a commettere ulteriori reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, in quanto, nonostante deduca la violazione di legge indicata e la mancanza di motivazione, il ricorso si concentra sulla tenuta argomentativa della motivazione, della quale denuncia l’erroneità, l’illogicità e la contraddittorietà, vizi no censurabili in questa sede, dal momento che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione rientrando solo quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o meramente apparente (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv.239692; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119).
Il ricorrente propone una rilettura della vicenda e delle emergenze investigative, illustrando l’interesse della RAGIONE_SOCIALE ad ottenere le transazioni
illecite al fine di dimostrare l’erroneità della valutazione del Tribunale, che ha ritenuto non estensibile alla RAGIONE_SOCIALE il sequestro del profitto del reato, in quanto non direttamente percepito dalla stessa, ma solo dalla RAGIONE_SOCIALE
Essendo questo il nucleo centrale della critica, il ricorrente trascura il vincolo discendente per il giudice del rinvio dalla sentenza di annullamento, nella quale questa Corte rilevava che il profitto della condotta estorsiva, contestata ai legali rappresentanti delle due società, era stato determinato in misura pari al risparmio di spesa derivante dall’aver corrisposto ai lavoratori aderenti alla conciliazione importi inferiori a quelli loro realmente spettanti nonché che il decreto di sequestro distingueva il vantaggio tratto direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE, sotto forma di risparmio di spesa per differenze retributive non erogate, dal diverso vantaggio, riferibile alla RAGIONE_SOCIALE, individuato dal G.i.p. nei A. Capa risparmio fiscale conseguente alla mancata assunzione dei lavoratori addivenuti alla conciliazione, ma tale ulteriore profitto non era indicato nel capo di imputazione né risultava quantificato nel dispositivo, sicché non poteva essere disposto a carico di detta società, terzo sequestrato, il sequestro funzionale alla confisca di una somma corrispondente al profitto del reato, riferito nel decreto impositivo ad un soggetto giuridico diverso.
Trattandosi di un punto già devoluto a questa Corte e deciso (con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente denunciava la violazione dell’art. 322 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen e 240 cod. pen., deducendo la non assoggettabilità a sequestro in via diretta del risparmio fiscale non conseguito), lo stesso delimita la cognizione e il potere di accertamento del giudice del rinvio.
Va ricordato, infatti, che nell’ordinanza annullata il Tribunale del riesame aveva ritenuto legittimo il sequestro disposto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di sequestro diretto, e non per equivalente, disposto nei confronti delle società nel cui patrimonio era confluito il profitto derivante dalla condotta illecita dei legali rappresentanti, e aveva considerato irrilevante la circostanza che nel decreto applicativo della misura non fosse specificata l’entità del profitto costituito dal risparmio di spesa e dal risparmio fiscale, rispettivamente ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, e che non vi fosse distinzione dell’ammontare del profitto conseguito dall’una e dall’altra società.
Ma proprio su tale punto, questa Corte aveva rilevato l’esistenza di una obiettiva discrasia tra l’ipotesi accusatoria e la ragione giustificativa de sequestro.
Non potendo replicare il vizio contenuto nel provvedimento annullato, il Tribunale ha doverosamente tenuto conto di quanto statuito da questa Corte circa la non assoggettabilità a sequestro del profitto della o spa, A. COGNOME
individuato dal G.i.p. nel decreto impositivo, non quantificato e diverso da quello conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE, e, dovendo verificare l’esistenza di un profitto immediato e diretto, inteso come vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264436), riferibile alla RAGIONE_SOCIALE e suscettibile di confisca, lo ha escluso con motivazione congrua e coerente.
Il Tribunale ha evidenziato che nel capo di imputazione è indicato unicamente l’importo di 1.940.082,85 euro, pari al risparmio di spesa derivante dalla corresponsione ai lavoratori, costretti con minacce ad aderire alla conciliazione, di retribuzioni di importo inferiore a quello loro spettante per legge, e ha ritenuto che tale importo costituisse l’unico profitto quantificabile, calcolabile e calcolato dal G.i.p., sottraendo dalla somma dovuta ai lavoratori quella erogata in sede di conciliazione, conseguito direttamente solo dalla RAGIONE_SOCIALE, quale datore di lavoro dei dipendenti addivenuti alla conciliazione e proponente la conciliazione, come affermato dallo stesso ricorrente, mentre il decreto non quantificava il diverso e distinto profitto della RAGIONE_SOCIALE, derivante dalla mancata assunzione dei lavoratori concilianti. A fronte della specificazione dei diversi vantaggi conseguiti dalle due società, contenuta nel decreto di sequestro preventivo, è stata considerata irrilevante la circostanza che nel capo di imputazione detto profitto fosse riferito sia alla RAGIONE_SOCIALE che alla RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale ha, conseguentemente, ritenuto che il profitto della RAGIONE_SOCIALE consistesse unicamente nella mancata assunzione dei lavoratori ex art 29 d.lgs 276/03, come indicato dal G.i.p. nel decreto impositivo della misura reale, considerando decisiva ed ostativa al sequestro delle somme nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, la mancata quantificazione di detto profitto e l’impossibilità di quantificarlo perché correlato al diritto del singolo lavoratore all’instaurazione di un rapporto di lavoro, eventualmente azionabile, facendo corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte sul punto, secondo i quali il sequestro funzionale alla confisca, incidendo sulla proprietà, deve avere una base legale ed essere commisurato all’entità per la quale è previsto e disciplinato, in quanto solo in tal modo è compatibile con la previsione della CEDU, Prot. 2, art. 1, come interpretato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Varvara contro Italia.
Di tale impossibilità è peraltro, consapevole lo stesso ricorrente, che infatti, ammette che detto profitto non era inserito nell’imputazione proprio perché non quantificabile, sicché risulta del tutto coerente la ritenuta impossibilità di disporre il sequestro nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in relazione ad un vantaggio futuro ed eventuale, non ancora conseguito, finendo altrimenti, il sequestro disposto per risultare non un sequestro diretto, ma il sequestro di una somma equivalente
al profitto conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE come eccepito dai difensori della RAGIONE_SOCIALE nel motivo di ricorso accolto nella sentenza di annullamento.
Ne deriva che la violazione di legge dedotta nel ricorso ed il rilievo della responsabilità solidale di entrambe le società ai sensi dell’art. 29 d.lgs 276/03 per le retribuzioni non erogate, confermata dalle circostanze di fatto indicate dal ricorrente (accertata illiceità del contratto di appalto di manodopera e notifica dell’accertamento ispettivo anche alla RAGIONE_SOCIALE, i cui ricorsi sono stati definitivamente respinti), si risolvono in una rilettura della vicenda ed in una prospettazione in fatto, che trova un limite invalicabile nella circostanza che, in concreto, solo la RAGIONE_SOCIALE ha tratto un diretto vantaggio dalle conciliazioni illecite, versando ai lavoratori importi inferiori a quelli dovuti.
Infatti, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 29 d.lgs. 276/03, ma sottolinea che il risparmio fiscale della Capaldo, derivante dalla violazione della norma indicata, non costituiva l’unico vantaggio conseguito da detta società per essere il profitto indicato nell’imputazione riferito ad entrambe le società in ragione dell’appalto illecito di manodopera, accertato dall’Ispettorato del lavoro, senza, tuttavia, contrastare l’argomentazione difensiva relativa al documentato versamento delle somme dovute dalla committente RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, comprensive, secondo il contratto di appalto, delle somme per le retribuzioni dei dipendenti, che l’appaltatore si impegnava a versare nella misura prevista dal CCNL, con conseguente impossibilità per la RAGIONE_SOCIALE di conseguire un diretto risparmio di spesa dalle conciliazioni stipulate tra la RAGIONE_SOCIALE e i lavoratori dipendenti.
Ne consegue che la motivazione dell’ordinanza impugnata non risulta né mancante né in contrasto con la sentenza rescindente in relazione al diverso vantaggio conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE, individuato dallo stesso RAGIONE_SOCIALE emittente come vantaggio eventuale, non quantificato né quantificabile.
Per le ragioni esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 15/11/2019.