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Sequestro criptovalute: Cassazione annulla sequestro

Un contribuente ha subito il sequestro di Bitcoin, ritenuti dalla Procura il profitto di un’evasione fiscale. La Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento, stabilendo che il profitto del reato tributario è l’importo in euro dell’imposta evasa, non la criptovaluta. Di conseguenza, il sequestro criptovalute in questo contesto non è un sequestro diretto del profitto, ma un sequestro per equivalente, soggetto a regole diverse. Il caso è stato rinviato al Tribunale per un nuovo esame.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Criptovalute e Reati Tributari: La Cassazione Traccia il Confine

Il mondo delle criptovalute continua a intersecarsi con il diritto penale tributario, sollevando questioni complesse per la giurisprudenza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale: la legittimità del sequestro criptovalute come profitto derivante da un’evasione fiscale. La Corte ha stabilito un principio fondamentale, distinguendo nettamente tra il profitto diretto del reato e il sequestro per equivalente, con importanti conseguenze pratiche per gli operatori del settore.

I Fatti del Caso: Il Sequestro di Bitcoin

La vicenda trae origine da un’indagine per reati fiscali a carico di un contribuente. La Procura della Repubblica disponeva il sequestro probatorio di una certa quantità di Bitcoin (1,88805294 BTC), il cui controvalore in euro al momento del trasferimento, pari a circa 120.000 euro, era ritenuto corrispondente all’imposta evasa per l’anno 2021. Il Tribunale del riesame confermava il provvedimento, ritenendo che la criptovaluta rappresentasse il profitto del reato tributario contestato.

Le Ragioni del Ricorrente: Perché il sequestro criptovalute era illegittimo?

Il contribuente, attraverso il suo difensore, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del riesame dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi principali:
1. Errata qualificazione del profitto del reato: La difesa ha sostenuto che il profitto dell’evasione fiscale è costituito dall’importo dell’imposta non versata, ovvero una somma di denaro avente corso legale (l’euro). Le criptovalute, come i Bitcoin, non sono moneta legale ma un asset digitale volatile. Pertanto, il sequestro dei Bitcoin non poteva essere un sequestro diretto del profitto, ma si configurava come un sequestro per equivalente, illegittimo in quel contesto procedurale.
2. Motivazione apparente: Il ricorrente ha lamentato che il Tribunale avesse fornito una motivazione solo apparente, senza analizzare in modo approfondito le specifiche ragioni di diritto sollevate dalla difesa riguardo alla natura delle valute virtuali e alla loro non assimilabilità al profitto del reato di evasione.

La Decisione della Cassazione sul sequestro criptovalute

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando gli atti al Tribunale di Firenze per un nuovo esame. La decisione si fonda su un’attenta analisi della natura giuridica delle criptovalute e della nozione di profitto del reato.

La Natura Giuridica delle Criptovalute

La Corte ha ribadito che le valute virtuali sono una ‘rappresentazione digitale di valore non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico’. Non possiedono lo status giuridico di valuta o moneta, ma sono accettate come mezzo di scambio e possono essere trasferite, memorizzate e scambiate elettronicamente. La loro principale caratteristica è l’estrema volatilità del valore, che le distingue nettamente dalla moneta a corso legale.

Profitto Diretto vs. Sequestro per Equivalente

Il punto centrale della sentenza è la distinzione tra profitto diretto del reato e sequestro per equivalente. In caso di evasione fiscale, il profitto diretto è il risparmio di spesa ottenuto dal contribuente, che corrisponde all’esatto ammontare dell’imposta non versata allo Stato. Questo profitto è, per sua natura, una somma di denaro in valuta legale.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema sono state chiare e nette. I giudici hanno stabilito che qualificare i Bitcoin come profitto diretto del reato tributario è un errore giuridico. Il sequestro di un bene diverso dal denaro (in questo caso, un asset digitale come il Bitcoin) per un valore corrispondente all’imposta evasa non è un sequestro del profitto diretto, ma un sequestro per equivalente.

La Corte ha evidenziato la contraddizione nell’ordinanza del Tribunale del riesame: da un lato valorizzava il nesso tra i Bitcoin sequestrati e il reato, dall’altro finiva per legittimare un sequestro probatorio del profitto ‘non diretto, ma per equivalente’. Questa operazione è giuridicamente problematica, poiché il sequestro probatorio si applica al corpo del reato o alle cose pertinenti al reato, mentre il sequestro per equivalente è una misura cautelare con presupposti e finalità differenti. L’ordinanza impugnata è stata quindi ritenuta carente di motivazione, poiché non ha adeguatamente giustificato la finalità probatoria del sequestro né si è confrontata con le critiche sollevate dalla difesa.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un punto fermo nel dibattito sul rapporto tra criptovalute e diritto penale tributario. Le conclusioni che se ne possono trarre sono di grande rilevanza pratica:
* Chiarezza sulla nozione di profitto: Il profitto dell’evasione fiscale è l’imposta evasa in euro, non gli asset digitali con cui eventualmente è stata generata la plusvalenza tassabile.
* Limiti al sequestro probatorio: Non è possibile utilizzare lo strumento del sequestro probatorio per colpire beni ‘per equivalente’. Le autorità inquirenti devono ricorrere agli strumenti giuridici corretti, come il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, rispettandone i relativi presupposti.
* Tutela per i possessori di criptovalute: La decisione rafforza le garanzie per chi detiene cripto-asset, evitando che possano essere oggetto di sequestri impropri. Si impone agli organi giudiziari un’analisi più rigorosa e una motivazione più solida quando si tratta di aggredire patrimoni in valuta virtuale.

Le criptovalute possono essere considerate il profitto diretto di un reato di evasione fiscale?
No, secondo questa sentenza della Cassazione, il profitto diretto del reato di evasione fiscale è l’imposta evasa, ovvero una somma di denaro in valuta legale (euro). Le criptovalute sono considerate un asset digitale distinto, pertanto il loro sequestro in luogo dell’imposta evasa configura un sequestro per equivalente.

Qual è la differenza tra sequestro probatorio del profitto diretto e sequestro per equivalente?
Il sequestro probatorio del profitto diretto colpisce i beni che costituiscono il vantaggio economico immediato derivante dal reato. Il sequestro per equivalente, invece, interviene quando non è possibile sequestrare il profitto diretto e colpisce altri beni del patrimonio dell’indagato per un valore corrispondente. La sentenza chiarisce che il sequestro di bitcoin in questo caso rientra nella seconda categoria.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché il Tribunale ha erroneamente legittimato un sequestro probatorio che, nei fatti, era ‘per equivalente’. Ha qualificato i bitcoin come profitto diretto del reato, senza confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni difensive sulla natura delle criptovalute, che non sono moneta a corso legale e hanno un valore fluttuante. La motivazione è stata ritenuta carente e contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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