Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44726 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44726 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME COGNOME nato a Monza il 16/12/1968 Di Paolo MariaCOGNOME nata a Torino il 21/05/1965
avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del Tribunale di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
letta la memoria di replica dell’avv. NOME COGNOME per i ricorrenti, che ha insistit nella richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Venezia, in funzione di Tribunale del riesame, ha integralmente confermato il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia in data 16 aprile 2024, che aveva disposto – nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110 e
640-bis cod. pen. e 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – il sequestro preventivo impeditivo sino alla concorrenza di euro 6.289.248, in relazione ai crediti di imposta fraudolentemente ottenuti mediante le false attestazioni contestate ai capi 1-3-5-6-8-10-12-14-15-17-18-19-20 e il sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche per equivalente sino alla concorrenza di euro 1.989.818,53 in ordine ai suddetti reati (ad eccezione del capo 19), nonché per ulteriori euro 70.832,30 in ordine al profitto del delitto di indebita compensazione di cui al capo 22 a carico di RAGIONE_SOCIALE e, per la parte non coperta, dei suddetti indagati, nonché per ulteriori euro 452.626,56 (per i capi 2-4-7-9-11-13-16), analogamente a carico di RAGIONE_SOCIALE e, per la parte non coperta, dei suddetti indagati.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti indagati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di COGNOME
3.1. Violazione degli artt. 309, comma 9, e 327, comma 7, cod. proc. pen., deducendo la mancanza di un’autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento di convalida del decreto emesso in via di urgenza dal Pubblico Ministero.
3.2. Violazione degli artt. 56, 322-ter, 640-bis, 640-quater cod. pen. e 12bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, con riferimento al momento consumativo del reato di truffa ai danni dello Stato (che dovrebbe essere individuato sulla base della effettiva riscossione dei crediti o del loro utilizzo mediante compensazione con altri debiti erariali, e non al momento della loro mera acquisizione). In conseguenza di tale approccio ermeneutico, dato che la confisca per equivalente non può essere ritenuta applicabile in caso di tentativo, la misura ablatoria dovrebbe reputarsi ritualmente disposta solo per quanto attiene alle somme oggetto dell’indebita compensazione di cui al capo 22 (per complessivi euro 70.832,70, ai sensi dell’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, e non dell’art. 640quater cod. pen.) e per i delitti ex artt. 640-bis cod. pen. effettivamente consumati nei termini sopra descritti (capi 5-6-20, per complessivi euro 70.832,30).
3.3. Violazione degli artt. 640 e 640-bis cod. pen., 121, comma 1-bis, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, e 2-ter, I. 11 aprile 2023, n. 38, per quanto attiene all’interpretazione che esclude la possibilità di ottenere il credito di imposta per il cosiddetto Bonus facciate in assenza di Stato Avanzamento dei Lavori. Infatti, secondo la normativa sopravvenuta, tale requisito per la liquidazione sarebbe meramente facoltativo.
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3.4. Violazione degli artt. 240 e 322-ter cod. pen., poiché l’esecuzione del sequestro ai fini della successiva confisca per equivalente sarebbe ricaduta irritualmente su crediti di imposta acquisiti al di fuori delle operazioni oggetto di contestazione e sarebbe stata estesa anche su altri cespiti di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e su beni personali degli indagati (omettendone, peraltro, la stima, con conseguente carenza motivazionale). D’altronde, anche per i crediti di imposta fraudolentemente ottenuti, in ipotesi, dalla società suddetta, non potrebbe procedersi per equivalente, trattandosi di prodotto del reato, alla luce di quanto disposto dagli att. 321 e 322-ter cod. proc. pen.
4. Ricorso di COGNOME
4.1. Violazione degli artt. 309, comma 9, e 327, comma 7, cod. proc. pen. (motivo formulato in termini di pressoché palmare sovrapponibilità al motivo di cui al precedente paragrafo 3.1, salve le deduzioni relative all’asserita carenza di valutazione della posizione di COGNOME, quale presunta testa di legno).
4.2. Violazione degli artt. 640 e 640-bis cod. pen., 121, comma 1-bis, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, e 2-ter, I. 11 aprile 2023, n. 38 (motivo formulato in termini di pressoché palmare sovrapponibilità al motivo di cui al precedente paragrafo 3.3).
4.3. Violazione degli artt. 240 e 322-ter cod. pen. e omessa motivazione (motivo formulato in termini di pressoché palmare sovrapponibilità al motivo di cui al precedente paragrafo 3.4).
4.4. La ricorrente ha presentato motivi aggiunti con i quali ripropone deduzioni analoghe a quelle contenute nel secondo motivo del ricorso di COGNOME (del quale, ad ogni buon conto, chiede comunque l’estensione, ex art. 587 cod. proc. pen.).
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché proposti con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
Quanto al primo motivo di entrambi i ricorsi, il Collegio rileva che l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari evita di ricorrere alla tecnica del copia e incolla e richiama, invece, per condivisione, le risultanze investigative esposte dagli inquirenti (in particolare, l’informativa finale della Guardia di Finanza), ripercorrendone, poi, lo sviluppo in fatto e in diritto con valutazione
autonoma, seppure sintetica rispetto alla cospicua mole del compendio investigativo, capo per capo (e, quindi, con approccio non supino), in tema sia di fumus commissi delicti (ricostruendo, per ogni singolo appalto, la mancata esecuzione delle opere e la percezione di indebite utilità) che di periculum in mora (sottolineando il rischio altissimo di dispersione, e in tal modo provvedendo anche in ordine alla convalida del sequestro d’urgenza), così – espressamente (pp. 13 e 16) – disattendendo anche gli opposti rilievi difensivi. D’altronde, la motivazione dei provvedimenti cautelari è coerente con la prescrizione della necessaria autonoma valutazione del giudicante anche quando si operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, purché sia svolto – come nel caso di specie – un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 273658-01, che ricorda, altresì, come, in presenza di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa).
Sotto l’abito della violazione di legge (sub specie della carenza di motivazione), i ricorrenti sviluppano invece, surrettiziamente, generiche censure in ordine alle singole loro posizioni rispetto ai delitti loro ascritti e al rischi dispersione dei beni, nonché alla sussistenza del requisito dell’urgenza del provvedimento del pubblico ministero. In tal modo, vengono introdotte puntuali contestazioni all’ordito motivazionale (dunque effettivamente esistente), precluse dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Il secondo motivo del ricorso di COGNOME (avente contenuto analogo ai quello del motivo aggiunto della ricorrente COGNOME) risulta oltremodo generico.
La difesa, invero, contesta – senza censurare minimamente, in questa sede’ il fumus dell’ipotesi accusatoria – l’irritualità del sequestro a fini di confisca di cu al combinato disposto degli artt. 322-ter e 640-quater cod. pen., in difetto di consumazione di gran parte dei delitti contestati. Tuttavia, ferma restando l’astratta correttezza del rilievo in ordine alla non ancora realizzata verificazione dell’evento di danno in assenza di una già avvenuta compensazione dei crediti erariali (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216429-01; Sez. 3, n. 23402 del 07/03/2024, COGNOME, Rv. 286554-01), i ricorrenti trascurano, in primo luogo, il dato fondamentale, ben evidenziato nell’ordinanza impugnata, che il sequestro preventivo è stato eseguito, per la frazione nettamente maggiore dell’importo complessivamente sottoposto a vincolo, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., allo scopo, cioè di impedire che la libera disponibilità dei crediti potesse aggravare o protrarre le conseguenze dei reati per cui si procede (ad esempio, operando la ventilata compensazione o cedendo i crediti a terzi) ovvero
agevolare la commissione di altri reati (ad esempio, autoriciclaggio, truffa, etc.). La finalità anticipatoria rispetto alla successiva confisca, ai sensi dell’art. 321, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen., invece, in parte concorre in ordine alle stesse condotte e in parte è tutelata di per sé.
A fronte di tredici capi di imputazione provvisoria (per i delitti di cui all’art 640-bis cod. pen., oltre alle ulteriori numerose contestazioni per le truffe ai danni di privati e per la violazione tributaria) posti a fondamento della misura reale impugnata in questa sede, l’atto di ricorso non distingue minimamente – al contrario di quanto illustrato nel decreto del Giudice per le indagini preliminari, come confermato dalla rilettura del Tribunale – rispetto alle singole condotte ascritte agli indagati, riferendosi sempre ad esse cumulativamente, né chiarisce gli eventuali limiti rispetto a ciascun credito dei due diversi vincoli di sequestro esistenti per tutti i capi suddetti (rectius, per solo dodici di essi, posto che per i: capo 19 non era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca).
I ricorrenti risultano, dunque, inottemperanti allo specifico onere di indicare gli elementi che hanno posto alla base delle censure formulate, non consentendo, di fatto, al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare compiutamente il proprio sindacato. Le doglianze restano, dunque, incise da un’insuperabile indeterminatezza in ordine all’effettivo svolgimento delle singole vicende concrete (e, in particolare, al mancato conseguimento, per ciascuna posizione, dell’ingiusto profitto), alla conseguente corretta qualificazione giuridica dei fatti e alla ritualità dei successivi sviluppi procedimentali, anche tenuto conto della fisiologica fluidità ed evoluzione degli accertamenti durante la fase delle indagini.
Il terzo motivo del ricorso di COGNOME e il secondo motivo del ricorso di COGNOME sono manifestamente infondati.
La legge di interpretazione autentica, pur avente efficacia retroattiva, al contrario dell’esegesi della difesa, si limita – in un’ottica, peraltro, di contenimento della spesa pubblica – a rilevare che per i bonus diversi dal cosiddetto superbonus (tra cui il “bonus facciate” che qui occupa) la liquidazione delle spese in base a stati di avanzamento lavori costituisce una mera facoltà e non un obbligo: è possibile rilasciare l’attestazione della congruità dei costi, necessaria per effettuare lo sconto in fattura, anche in assenza di un SAL o di una dichiarazione di fine lavori, purché l’intervento a cui le spese attestate si riferivano fosse almeno iniziato.
Nello specifico, l’art. 2-ter del decreto-legge 16 febbraio 2023, n. 11, recante misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all’art. 121, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (cosiddetto “Decreto blocca crediti”), dispone che, al fine di garantire la certezza del diritto e di prevenire e ridurre il contenzioso in materia di incentivi
per le spese relative agli interventi di cui all’art. 121, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, norme di interpretazione autentica in materia di condizioni per la detraibilità delle spese con riferimento all’art. 121, comma 1-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (rubricato «Opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali» e avente ad oggetto, per quanto qui rileva, il «recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti, ivi inclusi quelli di sola pulitura o tinteggiatura esterna, di all’articolo 1, commi 219 e 220, della legge 27 dicembre 2019, n. 160»), il suddetto comma 1-bis, deve essere interpretato nel senso che, «per gli interventi diversi da quelli di cui all’articolo 119 del citato decreto-legge, la liquidazione delle spese per i lavori in base a stati di avanzamento costituisce una mera facoltà e non un obbligo».
Pertanto, i soggetti che hanno sostenuto, negli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024, spese per gli interventi in questione possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente, per un contributo o per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti. E non sussiste, dunque, più l’obbligo di procedere unicamente «in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori». Nulla però dice la Novella in merito alla documentazione che deve comprovare la fondatezza del preteso diritto, né tantomeno afferma che possono essere erogati contributi o concesse detrazioni o crediti di imposta in relazione a lavori mai svolti (e, giova ripetere, non è stata devoluta a questa Corte alcuna censura in merito all’inesistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, , indicativi della fattispecie dedotta, in particolare in merito alla mancata esecuzione delle opere).
3.4. Quanto, infine, al quarto motivo del ricorso di COGNOME e al terzo motivo del ricorso di COGNOME, occorre osservare come le questioni che attengono alle modalità di esecuzione del sequestro preventivo – quali quelle denunciate nel caso di specie, anche in tema di individuazione dei beni assoggettabili a vincolo, sia pure in relazione alla posizione dei singoli indagati – non possono essere fatte valere con una richiesta di riesame (né con una istanza di dissequestro). Considerato che spetta al pubblico ministero il potere di fissazione delle modalità esecutive del sequestro preventivo e che i provvedimenti con cui è esercitato tale potere sono impugnabili con la procedura dell’incidente di esecuzione, si tratta, dunque, di questioni che devono essere portate all’attenzione del giudice competente con la suddetta distinta procedura non impugnatoria (Sez. 1, ord. n. 8283 del 24/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280604-01; Sez. 2, n. 44504 del
03/07/2015, COGNOME, Rv. 265103-01; Sez. 6, n. 16170 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 259769-01).
Le doglianze in questione sono, pertanto, non consentite in questa sede.
Le deduzioni relative alla natura di prodotto del reato di taluni crediti di imposta scontano, data la mancata di adeguata indicazione in riferimento a ciascuna condotta, la mancanza di specificità già stigmatizzata al precedente paragrafo 3.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente