Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44240 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44240 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE
in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro-tempore dott. NOME COGNOME rappresentata ed assistita dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso l’ordinanza n. 49/2024 in data 30/5/2024 del Tribunale di Foggia in funzione di giudice del riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che è stata richiesta dalla difesa della ricorrente la trattazione orale del procedimento;
letta la memoria difensiva nell’interesse della società ricorrente, trasmessa in data 8/11/2024, di replica alle conclusioni scritte già depositate dal Procuratore Generale;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della società ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 30 maggio 2024, a seguito giudizio ex art. 322bis cod. proc. pen., il Tribunale di Foggia ha rigettato l’appello proposto nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 17 gennaio 2024.
Al fine di far luce sulla vicenda,occorre brevemente ricostruire gli sviluppi procedimentali della stessa.
Con decreto del 16 ottobre 2023, il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Foggia, nell’ambito del procedimento penale a carico di COGNOME NOME ed altri, disponeva, tra l’altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito di imposta pari ad euro 1.785.502,25 nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE in quanto ritenuto profitto dell’illecit amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001 derivante dal reato di truffa in danno dello Stato ai sensi dell’art. 640, comma 2, n. 1, cod. pen.
In sede di esecuzione del predetto decreto, l’Agenzia delle Entrate sottoponeva a sequestro crediti del portafoglio della RAGIONE_SOCIALE – già RAGIONE_SOCIALE a seguito di modifica della denominazione sociale deliberata il 17 gennaio 2024 – parzialmente diversi da quelli ritenuti profitto di reato fino all’ammontare della somma indicata.
Per tale ragione, la RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del proprio difensore, in data 4 dicembre 2023 proponeva istanza al pubblico ministero affinché disponesse la modifica dell’esecuzione del sequestro preventivo rappresentando che, in sede di esecuzione del provvedimento, l’Agenzia delle Entrate aveva per errore eseguito il sequestro vincolando crediti diversi da quelli indicati nel provvedimento cautelare e chiedeva, per l’effetto, che la misura venisse eseguita sugli effettivi crediti oggetto di sequestro.
Il pubblico ministero con provvedimento del 12 dicembre 2023 rigettava l’istanza ed avverso tale decisione veniva proposto incidente di esecuzione innanzi al G.i.p. il quale, con ordinanza in data 17 gennaio 2024, rigettava la richiesta argomentando che nel dispositivo del provvedimento cautelare il credito da sottoporre a vincolo è indicato solo in base al suo importo senza ulteriori limiti o specificazioni e tantomeno qualificazioni in termini di profitto del reato, nonché osservando che ogni questione inerente la presunta non pertinenza dell’oggetto colpito dalla esecuzione rispetto a quello oggetto del sequestro doveva essere esposta in sede di riesame cui, invece, la parte, pur avendo promosso il relativo giudizio, aveva rinunciato rendendo in tal modo definitivo il provvedimento.
Contro tale decisione la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per Cassazione.
Con ordinanza del 7 maggio 2024 la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione, qualificato il ricorso come appello cautelare disponeva trasmettersi gli atti al Tribunale di Foggia che emetteva l’ordinanza in questa sede impugnata.
Ricorre per cassazione avverso quest’ultima ordinanza il difensore della RAGIONE_SOCIALE deducendo con un unico articolato motivo la violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 19 e 53 del d.lgs. n. 231/2001.
Premette, innanzitutto, parte ricorrente che i crediti di imposta, conservati nella piattaforma elettronica denominata Cassetto Fiscale, solo quando visibili in detto Cassetto producono i loro effetti giuridici e risultano opponibili all’Erario.
Detti crediti sono poi contrassegnati da un codice identificativo relativo alla categoria di appartenenza che individua il regime giuridico degli stessi come previsto per legge e, qualora “spalnnabili” nel tempo, risultano essere indicate per essi le quote annuali di detraibilità. Anche in caso di cessione, detti crediti mantengono lo stesso regime giuridico di detraibilità legato all’annualità nei quali gli stessi possono essere goduti, con la conseguenza che più è lontano il momento della loro detraibilità,inferiore è il loro valore in caso di cessione.
Nel caso in esame, i crediti pertinenti ai fatti in contestazione, formatisi a far tempo dal 2021, risultano contraddistinti all’interno del Cassetto Fiscale della società con il codice tributo 6922 (riguardante il cosiddetto bonus per gli interventi di riqualificazione energetica), situazione che consente la detraibilità delle spese sostenute dai committenti condomini nella misura dell’85% e la ripartizione del credito in dieci quote annuali fra loro autonome e distinte.
Tutto ciò premesso, rileva la difesa della ricorrente che l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto elidere per ogni annualità la quota riconducibile al credito contestato mentre, invece, ha eseguito il sequestro in modo del tutto arbitrario sottoponendo a vincolo crediti relativi alle annualità 2021, 2023 e 2024 (fino al valore complessivo di 1.785.489,00 euro), lasciando invece nella disponibilità della società le quote del credito asseritamente illecito che rimangono presenti nel Cassetto Fiscale fino al 2030.
Secondo la difesa della ricorrente i crediti sequestrabili per le annualità 2023 e 2024 potevano ammontare al massimo a 178.550,22 euro mentre sono stati sottoposti a sequestro – e quindi “neutralizzati” – crediti del tutto estranei a reato contestato in quanto acquisiti dalla società in relazione a diversi ed ulteriori interventi di riqualificazione energetica dei quali non è contestata l’esistenza e la liceità.
Da ciò ne conseguirebbe – secondo parte ricorrente – che l’Agenzia delle Entrate sottoponendo a vincolo i crediti presenti nel cassetto fiscale relativi agli anni 2023 e 2024 è andata oltre il perimetro tracciato dal decreto di sequestro emesso dal Giudice in quanto il provvedimento cautelare avrebbe dovuto colpire pro quota i crediti presenti nel cassetto fiscale riguardanti le annualità dal 2025 al 2030 fino all’ammontare della somma complessiva oggetto del provvedimento di sequestro così lasciando alla società la possibilità di avvalersi nell’immediatezza dei crediti non contestati.
Il Tribunale del riesame nell’ordinanza impugnata avrebbe.quindi,dato alle doglianze difensive una risposta incoerente ed illogica, oltre che caratterizzata da una violazione di legge, sostenendo che il provvedimento del G.i.p. disposto ai sensi degli artt. 19 e 53 del d.lgs. n. 231/2001 ha natura di sequestro anche “per equivalente” trascurando il fatto che l’esecuzione di quest’ultimo tipo di sequestro è possibile solo in via subordinata, cioè allorquando non è possibile una esecuzione in via diretta.
In sostanza, avrebbe errato il Tribunale del riesame rilevando che la confisca “per equivalente” si è resa necessaria in quanto era impossibile sottoporre a sequestro la quota parte del credito per le annualità 2021, 2023 e 2024.in quanto tale impossibilità al momento dell’esecuzione del sequestro (16 ottobre 2023) poteva, al più, riguardare i crediti di imposta degli anni 2021 e 2022 in quanto non più presenti nel Cassetto Fiscale della società perché già goduti dalla stessa, ma non certo i crediti presenti nelle sezioni dal 2023 al 2030 regolarmente presenti nelle rispettive sezioni del menzionato Cassetto Fiscale.
Infine, osserva parte ricorrente, che non fondata è l’affermazione del Tribunale del riesame laddove afferma che «la divisione del credito e la conseguente necessità di colpire pro quota tutte le successive annualità rappresenta una questione attinente alla esigibilità del credito e non di attuale esistenza del credito» in quanto tale affermazione è del tutto inconferente ed ancora una volta contraria alla disciplina del sequestro ex d.lgs. 231/2001, in quantoisolo nel sequestro “per equivalente” l’organo dell’esecuzione può andare a ricercare nel patrimonio dell’attinto beni di valore economico non aventi connessione diretta con il reato.
3. La difesa della ricorrente ha fatto pervenire in data 8 novembre 2024 una memoria di replica alle conclusioni scritte già depositate dal Procuratore Generale.
Nell’atto sono state sostanzialmente ribadite ed ampliate le argomentazioni già indicate nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Giova, innanzitutto, premettere che non è in contestazione in questa sede la legittimità del provvedimento di sequestro preventivo adottato dal G.i.p. ma solo le modalità di esecuzione dello stesso.
Emerge, tra l’altro, dalla lettura dell’ordinanza di rigetto di applicazione di misure cautelari personali e dal contestuale decreto di sequestro preventivo una gravità indiziaria relativa alla consumazione da parte di persone fisiche del reato di cui agli artt. 110, 640, comma 2, n. 1 cod. pen., attività delittuosa sostanzialmente consistita nel far fittiziamente risultare l’esecuzione di interventi di efficientannento energetico e sismico su di un immobile sito in Manfredonia e mai terminato.
Detta attività delittuosa, nell’ipotesi accusatoria, ha tra l’altro portato alla maturazione di un credito di imposta, da intendersi come “profitto” del reato, pari ad euro 1.785.502,25 a favore della società RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE.
Risulta altresì evidenziato nell’ordinanza qui in esame / e dato anche per assodato della difesa della ricorrente,che detto credito di imposta – come detto “profitto” del reato – è stato inserito nel Cassetto Fiscale della società e può essere portato in detrazione dalla stessa (o dagli eventuali cessionari di detto credito) in dieci annualità fino all’anno 2030.
Pacifico è poi anche il fatto che nel caso in esame, per effetto del combinato disposto degli artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., può legittimamente essere ordinato il sequestro preventivo ai fini di confisca del prezzo o del profitto del reato e che, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. 231/2001, il giudice può disporre nei confronti dell’Ente «il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’art. 19».
Infine, è doveroso ricordare che il richiamato art. 19 del d.lgs. 231/2001 prescrive al comma 1 che «Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisit dai terzi in buona fede» ed aggiunge, poi, al comma 2, che «Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato›.>.
E’ quindi espressamente indicato dalla legge che il sequestro “per equivalente” finalizzato alla confisca può essere disposto solo se «non è possibile» eseguire la confisca “diretta” di cui all’art. 19, comma 1.
Traslando detti principi nel caso in esame, il corretto modus operandi dell’Agenzia delle Entrate per l’esecuzione del sequestro avrebbe dovuto seguire in seguente iter:
accertamento della presenza nel cassetto fiscale dell’odierna ricorrente dei crediti di imposta ricollegabili all’azione delittuosa de qua come ripartiti nelle dieci annualità ed individuabili in base allo specifico codice tributo;
sequestro “diretto” di detti crediti di imposta pro-quota nelle relative annualità;
sequestro “per equivalente” di altri crediti di imposta o di altre utilità della società solo per l’importo attualmente non più sequestrabile in via “diretta” trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse il cui ammontare è determinabile attraverso il semplice calcolo matematico concernente la differenza tra la somma complessiva di 1.785.489,00 euro e l’ammontare dei crediti di imposta legati al reato ancora presenti nel Cassetto Fiscale fino al 2030.
E’ quindi ravvisabile una violazione di legge nelle modalità esecutive del sequestro che ha attinto crediti presenti nel Cassetto Fiscale della ricorrente maturati per attività per le quali non è emersa la illiceità per un ammontare superiore alla differenza (a questo punto da accertare nell’attualità) tra il profitto del reato ancora presente nel Cassetto Fiscale della società e ripartito pro quota fino al 2030 e l’ammontare complessivo dell’importo sequestrabile.
Detta violazione di legge si ripercuote anche sull’ordinanza impugnata nella parte in cui nel respingere l’appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. ha convalidato le modalità esecutive del sequestro.
Infine, e solo per ragioni di completezza, è doveroso rilevare che non è pertinente ai fini del decidere l’affermazione contenuta nella motivazione dell’ordinanza impugnata secondo cui «la divisione del credito e la conseguente necessità di colpire pro quota tutte le successive annualità rappresenta una questione attinente alla esigibilità del credito e non di attuale esistenza del ‘.k credito», ciò in quanto ci si trova in presenza di un credito esiste ed il mero fatto che non sia immediatamente esigibile non consente di escludere che lo stesso rappresenta pur sempre il “profitto” del reato tenuto conto del valore economico del credito stesso costituito nell’immediatezza dalla sua cedibilità dietro corrispettivo.
Per le considerazioni or ora esposte, l’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Foggia per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Foggia competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.
Così deciso il 13 novembre 2024.