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Sequestro corrispondenza digitale: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un dipendente di un’ambasciata accusato di corruzione. La difesa contestava l’uso di prove come messaggi WhatsApp e registrazioni audio, definendolo un illegittimo sequestro corrispondenza digitale. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che i messaggi WhatsApp rientrano nel concetto di ‘corrispondenza’ e che le registrazioni fatte da un partecipante alla conversazione sono ammissibili, stabilendo importanti principi sulla validità delle prove digitali nel processo penale.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Corrispondenza Digitale: WhatsApp e Registrazioni come Prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso di corruzione internazionale, offrendo chiarimenti cruciali sulla validità delle prove digitali. Al centro del dibattito vi è il sequestro corrispondenza digitale, con specifico riferimento a messaggi WhatsApp e registrazioni audio-video. La decisione consolida importanti principi procedurali, sottolineando come l’evoluzione tecnologica impatti l’acquisizione della prova nel processo penale.

I Fatti: Corruzione all’Ambasciata e le Prove Digitali

Il caso riguarda un dipendente di un’ambasciata italiana all’estero, indagato per corruzione. L’accusa sosteneva che l’impiegato avesse ricevuto denaro e altre utilità per accelerare e favorire il rilascio di visti d’ingresso in Italia. A seguito delle indagini preliminari, l’uomo era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, confermata anche in sede di riesame.

Le prove principali a carico dell’indagato includevano messaggi scambiati tramite l’applicazione WhatsApp e file audio-video di conversazioni intrattenute con un parlamentare, che aveva registrato di nascosto i colloqui. La difesa ha basato il proprio ricorso in Cassazione proprio sulla presunta illegittimità di queste prove digitali.

I Motivi del Ricorso e la Questione del Sequestro Corrispondenza Digitale

La difesa ha sollevato diverse obiezioni procedurali per contestare il quadro indiziario, incentrate principalmente sull’inutilizzabilità delle prove digitali. I motivi principali erano:

* Inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp: Secondo la difesa, i messaggi costituivano ‘corrispondenza’ e il loro sequestro richiedeva un decreto specifico e motivato ai sensi dell’art. 254 del codice di procedura penale. Il decreto emesso, invece, faceva generico riferimento a ‘missive’ e ‘mails’ ex art. 252 c.p.p., risultando quindi inadeguato.
* Inutilizzabilità delle registrazioni audio-video: La difesa ha contestato queste prove per due ragioni. In primo luogo, perché agli atti era stata depositata solo una copia e non il supporto informatico originale, violando i principi di integrità e autenticità. In secondo luogo, perché la registrazione di un parlamentare costituirebbe un’intercettazione vietata dall’art. 68 della Costituzione senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza.
* Ruolo di ‘agente provocatore’: Si sosteneva che il parlamentare avesse agito come un agente provocatore, istigando il reato, al di fuori dei limiti previsti dalla legge.
* Carenza delle esigenze cautelari: Infine, il ricorso lamentava una motivazione carente sui pericoli di inquinamento probatorio, reiterazione del reato e fuga.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Utilizzo delle Prove Digitali

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la validità del quadro probatorio e della misura cautelare. La sentenza ha fornito chiarimenti essenziali sull’acquisizione di prove digitali.

In merito al sequestro corrispondenza digitale, i giudici hanno stabilito che i messaggi WhatsApp rientrano a pieno titolo nel concetto di ‘corrispondenza’. Di conseguenza, un decreto di perquisizione e sequestro che menziona ‘missive’ e ‘mails’ è da intendersi esteso a qualsiasi forma di comunicazione digitale, senza necessità di una menzione esplicita. L’erroneo riferimento normativo è stato considerato un mero formalismo irrilevante.

Sulle registrazioni, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la registrazione di una conversazione effettuata da uno dei partecipanti non è un’intercettazione, ma la memorizzazione di un fatto storico. Pertanto, non richiede le garanzie previste per le intercettazioni e le tutele dell’art. 68 della Costituzione non si applicano se è lo stesso parlamentare a registrare.

Infine, gli altri motivi sono stati respinti come inammissibili o infondati, poiché reiterativi di questioni già decise, non sollevati in sede di riesame o basati su una valutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni pilastri argomentativi fondamentali.

1. WhatsApp è Corrispondenza: Richiamando la sentenza n. 170 del 2023 della Corte Costituzionale, la Cassazione ha affermato che lo scambio di messaggi elettronici (e-mail, sms, WhatsApp) rappresenta una forma di corrispondenza tutelata dall’art. 15 della Costituzione. Il concetto di ‘corrispondenza’ è ampio e abbraccia ‘ogni comunicazione di pensiero umano’. Di conseguenza, le app di messaggistica istantanea sono ‘versioni contemporanee della corrispondenza epistolare’ e possono essere legittimamente acquisite con un decreto di sequestro che faccia riferimento a ‘missive’ e ‘mails’, essendo queste espressioni sufficientemente generiche da includere le nuove forme di comunicazione. La prevalenza della sostanza sulla forma rende irrilevante l’eventuale errore nell’indicazione dell’articolo di legge.

2. Registrazione non è Intercettazione: Viene ribadita la distinzione fondamentale tra la registrazione da parte di un partecipante e l’intercettazione da parte di un terzo. L’intercettazione implica una captazione occulta da parte di un soggetto estraneo al colloquio. La registrazione, invece, è la semplice documentazione di un evento (la conversazione) a cui il soggetto registrante ha preso parte. Essa costituisce una prova documentale pienamente ammissibile e non è soggetta alle garanzie previste per le intercettazioni, incluse quelle costituzionali a tutela dei parlamentari.

3. Principi Processuali: La Corte ha inoltre rigettato i motivi ‘nuovi’ o reiterativi in base a principi cardine del processo. Il ‘principio devolutivo’ impedisce di presentare per la prima volta in Cassazione motivi non sollevati nel precedente grado di giudizio (il riesame). La ‘prova di resistenza’ richiede invece che la parte che lamenta l’inutilizzabilità di una prova dimostri come la sua esclusione farebbe venir meno l’intero quadro indiziario, cosa che nel caso di specie non è stata argomentata.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma della piena legittimità del sequestro corrispondenza digitale come strumento di indagine. Essa chiarisce che le garanzie costituzionali si adattano all’evoluzione tecnologica, includendo nel concetto di corrispondenza anche le moderne app di messaggistica. Per gli operatori del diritto, la decisione rafforza la validità delle registrazioni private come fonte di prova, distinguendole nettamente dalle intercettazioni e semplificandone l’utilizzo processuale. In definitiva, la Corte promuove un approccio sostanzialista, dove il rispetto delle garanzie fondamentali prevale sui meri formalismi procedurali.

I messaggi WhatsApp possono essere sequestrati con un decreto che menziona solo “missive” e “mails”?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando una sentenza della Corte Costituzionale, ha stabilito che i messaggi WhatsApp sono una forma di “corrispondenza” al pari di email e lettere. Pertanto, un decreto di sequestro che si riferisce genericamente alla corrispondenza è sufficiente per includere anche le chat di messaggistica istantanea, senza che sia necessario nominarle esplicitamente.

Una registrazione di una conversazione fatta da uno dei partecipanti è una prova valida?
Sì, la registrazione è una prova valida. La Corte ha chiarito che non si tratta di un’intercettazione (che richiede l’intervento segreto di un terzo estraneo alla conversazione), ma della memorizzazione di un fatto storico a cui il registrante ha partecipato. Come tale, è pienamente utilizzabile come prova documentale.

Se un parlamentare registra di nascosto una conversazione, si applicano le garanzie costituzionali previste dall’art. 68 della Costituzione?
No. La Corte ha specificato che le tutele previste per i parlamentari contro le intercettazioni non si applicano quando è lo stesso parlamentare a registrare una conversazione a cui partecipa. Tali garanzie servono a proteggere il parlamentare da intrusioni esterne, non a limitare la sua capacità di documentare un colloquio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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