Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12469 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12469 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ERICE il 07/03/1988
avverso la sentenza del 30/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME – condannato in primo e secondo grado alla pena di un anno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per detenzione illecita, a fini di spaccio, di 12,86 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashish, occultato nel vano portaoggetti di uno scooter nella sua disponibilità, nonché per la contravvenzione ex art. 4 della legge n. 110 del 1975, a lui contestata per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello a serramanico con lama di circa 9 cm – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di censura, si denuncia la presunta illegittimità dell’attività di perquisizione del ciclomotore, posta in essere dalla polizia giudiziaria in assenza di flagranza di reato o di fondati motivi – quando il mezzo, sottoposto a fermo amministrativo poiché privo di targa, era già nella piena disponibilità degli operanti – e la conseguente inutilizzabilità dei sequestri effettuati;
che, con una seconda doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ed il connesso vizio di motivazione, con riguardo alla penale responsabilità dell’imputato per entrambi i reati in contestazione, essendosi erroneamente omesso di valutare gli elementi di prova a discarico emersi nel corso del giudizio, in punto di incerta riferibilità al ricorrente della sostanza stupefacente e dell’arma rinvenute nel ciclomotore;
che, con un terzo motivo di ricorso, si censurano la violazione di legge ed il difetto motivazionale in relazione all’art. 4 della legge n. 110 del 1975, per avere gli operanti di P.G. erroneamente eseguito l’ispezione sul ciclomotore in assenza dell’imputato, così mancando di richiedere o accertare il possibile “giustificato motivo”, sussistente in relazione al contestato porto abusivo di arma impropria;
che, in via subordinata, si denuncia il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità, tenuto conto delle modeste dimensioni dell’arma, dell’assenza di un utilizzo effettivo della stessa nonché del contesto in cui è avvenuto il fatto, privo di connotazioni di allarme sociale;
che, con un quarto motivo di gravame, ci si duole della mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. relativamente al reato di porto abusivo di arma impropria, essendosi erroneamente valorizzato l’automatismo con il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 110 del 1975, e non essendosi considerate le modalità della condotta, l’assenza di precedenti specifici ed il contesto in cui è avvenuto il fatto;
che, con un’ultima doglianza, si deducono la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione all’aumento di pena applicato per effetto della recidiva reiterata infraquinquennale contestata ex art. 99, quarto comma, cod. pen.
Considerato che il ricorso è inammissibile perché diretto a sollecitare una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che la difesa non prende in considerazione, nemmeno a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a formulare alcune asserzioni che rappresentano la ripetizione di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado;
che, nello specifico, il primo motivo di gravame è inammissibile, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione dei principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di legittimità in tema di sequestro, secondo cui l’accertata illegittimità della perquisizione non produce alcun rilievo preclusivo, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro – che costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. 2, n. 16065 del 10/0172020, Rv. 278996) – in quanto riferito a cosa obiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, ma è condizionato unicamente alla acquisibilità del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti univocamente enucleabili dal sistema (ex multis, Sez. 2, n. n. 15784 del 23/12/2016, dep. 2017, Rv. 269856; Sez. 2, n. 26819 del 23/04/2010, Rv. 247679; Sez. 6, n. 6842 del 09/01/2004, Rv. 227880);
che, nel caso di specie, dunque, deve ritenersi del tutto legittimo il sequestro della sostanza stupefacente, del coltello a serramanico e del bilancino di precisione rinvenuti all’interno del vano portaoggetti del ciclomotore, trattandosi, per i primi due, dei corpi del reato, relativi alle fattispecie contestate, per il terzo, di un bene strumentale alla commissione del delitto di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;
che, in punto di responsabilità penale, i giudici di merito hanno opportunamente dato conto del quadro probatorio a carico dell’imputato, apprezzando sia la disponibilità dello scooter, sia il rinvenimento di un borsello contenente diverse banconote;
che è ragionevolmente implausibile la versione alternativa resa dalla difesa basata sulla possibilità per chiunque di disporre del ciclomotore, secondo cui la sostanza sarebbe stata posta nel veicolo da terzi ignoti con l’intenzione di recuperarla in un secondo momento, mentre il denaro contante avrebbe giustificazione nell’asserita attività di posteggiatore svolta dall’imputato medesimo;
che, con riguardo al reato di cui all’art. 4 della legge n. 110 del 1975, è principio costante nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui gli oggetti
indicati specificatamente nella prima parte del citato art. 4, comma 2 sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga “senza giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della citata disposizio occorre anche che appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona” (ex plurimis, Sez. 1, n. 45148 del 11/10/2023, Rv. 285506; Sez. 2, n. 15908 del 08/03/2022, Rv. 283101); di talché, del tutto correttamente i giudici di secondo grado hanno ritenuto irrilevante l’affermazione della difesa secondo cui l’imputato non aveva alcuna intenzione di arrecare offesa a qualcuno;
che anche il terzo motivo di impugnazione deve ritenersi inammissibile;
che, nella prima parte della censura, la difesa prospetta doglianze parzialmente nuove, sotto il profilo della presunta mancata acquisizione del giustificato motivo del porto abusivo di arma impropria a causa dell’assenza dell’imputato – che, non risultando riportato nel riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza di secondo grado e non avendo costituito oggetto del giudizio di appello, non può perciò essere proposto per la prima volta nel giudizio di legittimità – e comunque formulate in maniera aspecifica, non allegandosi, nemmeno in via di mera prospettazione nello stesso ricorso per cassazione, l’invocato “giustificato motivo” in ragione del quale i giudici dell’appello avrebbero dovuto ritenere insussistente il contestato fatto di reato;
che, analogamente, deve ritenersi inammissibile poiché manifestamente infondato il rilievo afferente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 110 del 1975, avendo la Corte di secondo grado correttamente valorizzato le dimensioni complessive e la natura dell’arma rinvenuta, nonché la negativa personalità dell’imputato, gravato da plurimi precedenti penali, considerato che, in materia di reati concernenti le armi, ai fini della configurabilità del caso di lieve entità previsto dal comma 3 dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975, deve tenersi conto, non solo delle dimensioni dello strumento atto ad offendere, ma anche di tutte le modalità del fatto e della personalità del reato, che possono dare un particolare significato al fatto obiettivo del porto ingiustificato (ex plurimis, Sez. 1, n. 26636 del 19/03/2019, Rv. 276195);
che, quanto al quarto motivo di gravame, in punto di diritto, osserva il Collegio che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità relativamente al porto abusivo di un’arma impropria impedisce la declaratoria di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., non potendosi ritenere particolarmente tenue ai fini del riconoscimento del beneficio un fatto che
è stato già ritenuto non lieve dal giudice di merito (ex multis, Sez. 1, n. 13630 del 12/02/2019, Rv. 275242); con la conseguenza che correttamente i giudici di secondo grado hanno rigettato, con motivazione giuridicamente corretta in diritto e adeguata in fatto, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto;
che il quinto motivo di censura è inammissibile in quanto nuovo, giacché inerente ad un profilo non dedotto in precedenza; di talché la Corte di appello non aveva alcun onere di motivazione sul punto;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.