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Sequestro conto terzo: quando è nullo? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo su un conto corrente intestato a una società terza. Il provvedimento era stato emesso nell’ambito di un’indagine per bancarotta fraudolenta a carico di un soggetto che gestiva tale conto. Secondo la Corte, per legittimare il sequestro conto terzo non è sufficiente dimostrare la mera gestione del bene da parte dell’indagato, ma è necessario provare che egli ne sia l’effettivo titolare (agendo ‘uti dominus’) e che la società intestataria sia solo uno schermo fittizio. In assenza di tale prova, il vincolo è illegittimo.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Conto Terzo: Quando la Gestione Non Significa Proprietà

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34073/2024, ha tracciato una linea netta tra la gestione di un bene e la sua effettiva titolarità, un principio cruciale in materia di sequestro conto terzo. Questa decisione annulla un provvedimento di sequestro preventivo su un conto corrente intestato a una società, poiché non era stato adeguatamente provato che l’indagato ne fosse il proprietario di fatto, nonostante ne avesse la piena disponibilità operativa. L’analisi della Corte offre importanti chiarimenti su come e quando le autorità possono vincolare i beni di soggetti estranei a un procedimento penale.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un’indagine per bancarotta fraudolenta a carico di un individuo, relativa al fallimento di una società consortile (la ‘Società Beta’). Nell’ambito di questa indagine, il Tribunale disponeva il sequestro preventivo, a fini di confisca, di un conto corrente formalmente intestato a un’altra azienda, la ‘Società Alfa S.r.l.s.’.

La decisione di estendere il vincolo al conto della Società Alfa si basava sulla convinzione che l’indagato, pur non essendo formalmente l’intestatario, ne avesse l’effettiva disponibilità e lo utilizzasse come se fosse proprio. In particolare, il Tribunale del Riesame aveva confermato il sequestro valorizzando il fatto che l’indagato avesse disposto pagamenti dal conto a favore di se stesso, in relazione all’acquisto di un’imbarcazione.

Contro questa decisione, la Società Alfa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la motivazione fosse apparente e che non fosse stata fornita la prova che la società costituisse un mero schermo fittizio per celare la reale proprietà dei fondi da parte dell’indagato.

La Decisione della Corte sul sequestro conto terzo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando il caso al Tribunale di Roma per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nella distinzione fondamentale tra agire come gestore di un bene e agire uti dominus, ovvero ‘come se si fosse il proprietario’.

Secondo i giudici, per giustificare un sequestro conto terzo, non è sufficiente dimostrare che l’indagato abbia il potere di disporre del conto (ad esempio, tramite una delega o in qualità di amministratore). È invece indispensabile fornire prove concrete che superino lo ‘schermo societario’, dimostrando che l’intestazione formale alla società terza è fittizia e che l’indagato è il reale dominus del patrimonio.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su alcuni punti chiave, fondamentali per comprendere i limiti del potere di sequestro nei confronti di terzi.

La Prova della Titolarità di Fatto Oltre la Gestione

La motivazione del Tribunale del Riesame è stata giudicata ‘apparente’ perché si era fermata a un dato superficiale: la capacità dell’indagato di effettuare pagamenti dal conto. La Cassazione ha chiarito che tale potere di disposizione non dimostra, di per sé, la titolarità di fatto. L’indagato avrebbe potuto agire come amministratore o delegato nell’interesse della società, anche compiendo un’operazione come l’acquisto di un’imbarcazione, se rientrante nell’oggetto sociale dell’azienda (circostanza, peraltro, documentata dalla difesa).

Per superare la presunzione di appartenenza del bene al soggetto intestatario, l’accusa deve fornire indici sintomatici di una commistione patrimoniale, quali:

* Indebiti trasferimenti di patrimonio dalla società al socio.
* Atti di disposizione per finalità palesemente estranee all’oggetto sociale.
* Rilascio di garanzie societarie a favore esclusivo del socio.

In assenza di tali elementi, la gestione del conto, anche se ampia, deve essere presunta come svolta nell’interesse dell’ente e non a titolo personale.

Lo Schermo Societario Non Può Essere Superato da Mere Presunzioni

La Corte ha ribadito che il patrimonio di una persona giuridica è destinato a garanzia dei creditori sociali e gode di una sua autonomia. Per affermare che tale patrimonio sia, in realtà, nella disponibilità di un individuo, è necessaria una dimostrazione rigorosa. Il fatto che l’indagato avesse eseguito pagamenti a proprio favore non era conclusivo; poteva trattarsi di una lecita operazione commerciale (la vendita dell’imbarcazione alla società) o, al più, di un’ipotesi di sottrazione di denaro altrui, che è cosa diversa dall’affermare che ‘tutto il denaro su quel conto fosse suo’.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza la tutela dei terzi estranei ai reati, stabilendo che il sequestro dei loro beni è una misura eccezionale che richiede una prova robusta e non presuntiva della titolarità effettiva da parte dell’indagato. Non basta dimostrare che l’indagato ‘usa’ il conto; bisogna provare che il conto ‘è suo’, al di là dell’intestazione formale. Per le imprese, ciò significa una maggiore protezione contro vincoli patrimoniali derivanti dalle vicende penali dei propri amministratori, a condizione che sia mantenuta una chiara distinzione tra il patrimonio sociale e quello personale.

È possibile sequestrare il conto corrente di una società terza se è gestito dall’indagato?
No, non automaticamente. Secondo la Cassazione, la mera gestione del conto, anche in virtù di un’ampia delega o della carica di amministratore, non è sufficiente a giustificare il sequestro. È necessario dimostrare che l’indagato sia il proprietario di fatto del denaro.

Cosa deve provare l’accusa per legittimare un sequestro conto terzo?
L’accusa deve fornire prove concrete che dimostrino che l’indagato agisce ‘uti dominus’, cioè come effettivo proprietario del conto, e che la società intestataria è solo uno schermo fittizio utilizzato per celare la reale appartenenza dei beni.

Il fatto che un indagato esegua pagamenti a proprio favore dal conto di una società è una prova sufficiente per il sequestro?
No, di per sé non è una prova sufficiente. La Corte ha chiarito che tale operazione potrebbe essere riconducibile a un legittimo rapporto commerciale tra l’indagato e la società (ad esempio, il pagamento del prezzo per un bene venduto alla società), soprattutto se l’operazione rientra nell’oggetto sociale dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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