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Sequestro conto cointestato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna che chiedeva il dissequestro del 50% delle somme presenti su un conto corrente cointestato con il marito, indagato per reati fiscali e associativi. La Corte ha stabilito che, ai fini del sequestro preventivo per equivalente, non valgono le presunzioni del codice civile sulla proprietà al 50%. Ciò che rileva è la piena disponibilità delle somme da parte dell’indagato. Di conseguenza, se l’indagato può disporre dell’intero importo, l’intero importo può essere oggetto di sequestro conto cointestato, a prescindere dalla formale cointestazione.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro conto cointestato: la disponibilità dell’indagato prevale sulla proprietà formale

Il conto corrente cointestato è uno strumento comune per la gestione delle finanze familiari. Ma cosa succede quando uno dei cointestatari viene coinvolto in un procedimento penale? La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 17894/2025, offre un chiarimento cruciale sul tema del sequestro conto cointestato, stabilendo un principio fondamentale: nel sequestro preventivo per equivalente, la possibilità per l’indagato di disporre dell’intera somma prevale sulle presunzioni di comproprietà del codice civile.

I Fatti di Causa: la richiesta di dissequestro del 50%

Il caso trae origine da un’indagine penale per reati di associazione per delinquere, frode e illeciti fiscali a carico di un imprenditore. Nell’ambito di tale procedimento, veniva disposto un ingente sequestro preventivo per equivalente. Poiché i beni della società dell’indagato erano insufficienti, la misura cautelare veniva estesa ai conti correnti, depositi titoli e altri rapporti finanziari cointestati con la moglie.

La donna, estranea ai fatti contestati, presentava istanza per ottenere il dissequestro del 50% delle somme giacenti, sostenendo che tale quota fosse di sua esclusiva proprietà, derivante anche dalle sue retribuzioni. La sua richiesta veniva però respinta sia dal Giudice per le indagini preliminari sia, in sede di appello, dal Tribunale del riesame. La vicenda giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e il principio sul sequestro conto cointestato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della donna inammissibile, confermando integralmente i provvedimenti precedenti e consolidando un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. La Corte ha ribadito che il ricorso in Cassazione contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo è consentito solo per ‘violazione di legge’ e non per contestare l’analisi dei fatti o la valutazione delle prove operata dai giudici di merito. La doglianza della ricorrente, basata su un presunto travisamento delle prove, è stata quindi ritenuta inammissibile.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra le norme civilistiche sulla comproprietà e la disciplina del sequestro penale. Secondo la Cassazione, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il criterio determinante non è la titolarità formale dei beni, ma la loro effettiva ‘disponibilità’ da parte dell’indagato.

I giudici hanno spiegato che le presunzioni del codice civile, come quella che stabilisce la divisione in parti uguali delle somme su un conto cointestato (art. 1834 c.c.), regolano i rapporti interni tra i depositanti o tra questi e la banca, ma non possono limitare l’efficacia di una misura cautelare penale.

Se l’indagato ha la facoltà di prelevare e utilizzare liberamente l’intera somma depositata sul conto cointestato, allora l’intero importo è considerato nella sua ‘disponibilità’ e, come tale, è interamente aggredibile dal sequestro. Nel caso specifico, il Tribunale aveva ritenuto, sulla base della documentazione bancaria, che vi fosse la prova della piena riferibilità delle somme all’indagato, superando così ogni presunzione contraria.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un principio chiave: in un procedimento penale, la realtà sostanziale prevale sulla forma. Per il terzo cointestatario, non è sufficiente invocare la cointestazione del conto per mettere al riparo la propria ‘quota’. Per ottenere il dissequestro, il terzo deve fornire la prova rigorosa che le somme sono di sua esclusiva pertinenza e non rientrano nella sfera di disponibilità dell’indagato. Questa decisione sottolinea i rischi associati alla cointestazione di rapporti finanziari e l’importanza di poter tracciare in modo inequivocabile la provenienza dei fondi per tutelarsi da eventuali misure cautelari a carico dell’altro titolare.

In caso di sequestro preventivo per equivalente, il coniuge non indagato può ottenere la restituzione del 50% delle somme presenti su un conto cointestato?
No, non automaticamente. Secondo la sentenza, non è sufficiente invocare la presunzione di comproprietà al 50% prevista dal codice civile. Se l’indagato ha la piena disponibilità di tutte le somme presenti sul conto, l’intero saldo può essere sequestrato.

Le regole del Codice Civile sulla comproprietà dei fondi in un conto cointestato si applicano al sequestro penale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che le norme civilistiche regolano i rapporti interni tra i cointestatari e la banca, ma non limitano il potere dello Stato di applicare una misura cautelare penale. Nel contesto penale, il criterio decisivo è la disponibilità effettiva del bene da parte dell’indagato.

Cosa deve dimostrare il terzo cointestatario per ottenere il dissequestro della sua quota?
Il terzo cointestatario deve fornire una prova positiva e rigorosa che una determinata quota dei fondi sia di sua esclusiva proprietà e, soprattutto, che non sia nella concreta disponibilità dell’indagato. Non basta la semplice cointestazione o l’affermazione di aver contribuito con le proprie retribuzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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