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Sequestro conto cointestato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato un sequestro su un conto cointestato, nonostante la ricorrente sostenesse che i fondi provenissero dal proprio stipendio. La decisione si basa sul principio della fungibilità del denaro: una volta versate, le somme diventano di proprietà e disponibilità di entrambi i cointestatari, rendendo irrilevante la loro origine lecita ai fini del sequestro penale a carico di uno di essi. La Corte ha ritenuto l’appello inammissibile per carenza di prove adeguate da parte della ricorrente.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Conto Cointestato: Quando i Soldi del Coniuge Possono Essere Toccati?

La gestione di un conto corrente cointestato è una prassi comune per molte famiglie, ma può nascondere insidie legali significative, specialmente quando uno dei titolari è coinvolto in un procedimento penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di sequestro conto cointestato, chiarendo perché anche i fondi di provenienza lecita, come uno stipendio, possono essere aggrediti. Analizziamo questa importante decisione per capire i rischi e le implicazioni.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda una donna, cointestataria di un conto corrente con il marito. Quest’ultimo era indagato per reati fiscali previsti dal D.Lgs. 74/2000. Le autorità giudiziarie disponevano il sequestro preventivo di una somma di circa 19.000 euro presente sul conto comune. La donna si opponeva, presentando un’istanza di revoca del sequestro e, in seguito, un appello. La sua tesi era semplice: i soldi sul conto erano in gran parte frutto del suo stipendio, della NASpI e dell’assegno unico erogato dall’INPS, somme che, a suo dire, non avrebbero dovuto essere toccate. Sia il G.I.P. che il Tribunale del Riesame rigettavano le sue richieste, spingendola a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. La decisione ha confermato la legittimità del sequestro operato sul conto cointestato, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, offrendo chiarimenti cruciali sulla natura del denaro e dei conti cointestati in ambito penale.

Le Motivazioni dietro il sequestro conto cointestato

Le motivazioni della Corte sono il cuore della sentenza e si articolano su tre punti principali.

In primo luogo, il principio della fungibilità del denaro. Una volta che il denaro, indipendentemente dalla sua origine (stipendio, risparmi, etc.), viene versato su un conto cointestato, si “fonde” con le altre somme presenti. Perde la sua identità specifica e diventa indistinguibile. Di conseguenza, l’intera giacenza diventa di proprietà e nella piena disponibilità di entrambi i cointestatari. Secondo la Corte, depositando i propri emolumenti sul conto comune, la moglie li ha messi a disposizione del marito, rendendoli aggredibili per i reati a lui contestati.

In secondo luogo, la Cassazione ha richiamato una sentenza delle Sezioni Unite (n. 42415/2021) per specificare che la confisca di denaro trovato nel patrimonio dell’indagato è sempre da considerarsi “diretta” e non “per equivalente”. Questo significa che non è necessario dimostrare un nesso di causalità tra la somma specifica sequestrata e il reato commesso. La natura fungibile del denaro fa sì che qualsiasi somma nella disponibilità dell’indagato sia considerata profitto del reato, rendendo irrilevante la prova della sua origine lecita.

Infine, la Corte ha sottolineato la carenza probatoria da parte della ricorrente. La donna non ha fornito documenti adeguati a dimostrare le spese del nucleo familiare, il tenore di vita o le condizioni economiche generali. Questa mancanza di prove ha impedito al giudice di valutare se le somme sequestrate fossero effettivamente necessarie a soddisfare le esigenze minime di vita, unico limite che la giurisprudenza penale talvolta considera, a differenza dei più rigidi limiti di impignorabilità previsti dal codice di procedura civile, che non si applicano in sede penale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un messaggio chiaro: la cointestazione di un conto corrente comporta la condivisione non solo dei fondi, ma anche dei rischi legali associati a ciascun titolare. Chiunque condivida un conto con una persona indagata per reati che prevedono la confisca di beni si espone al rischio concreto di vedere i propri fondi sequestrati. La presunzione di proprietà comune e la fungibilità del denaro rendono estremamente difficile, se non impossibile, separare le somme “pulite” da quelle potenzialmente derivanti da attività illecite. Questa decisione serve come monito sull’importanza di una gestione finanziaria attenta e consapevole, soprattutto in situazioni di potenziale rischio legale per uno dei cointestatari.

I soldi provenienti dal mio stipendio e depositati su un conto cointestato possono essere sequestrati se l’altro intestatario è indagato per un reato?
Sì. Secondo la sentenza, una volta che il denaro viene versato su un conto cointestato, diventa fungibile e si presume di proprietà di entrambi i titolari. Pertanto, l’intera somma è considerata nella disponibilità dell’indagato e può essere soggetta a sequestro preventivo, indipendentemente dalla sua origine lecita.

È possibile dimostrare che una parte dei soldi sul conto cointestato è di mia esclusiva proprietà per evitarne il sequestro?
È molto difficile. La Corte ha stabilito che, a causa della natura fungibile del denaro, non è sufficiente provare l’origine lecita dei fondi. La ricorrente avrebbe dovuto fornire una documentazione completa sulle condizioni economiche e le spese familiari, ma anche in quel caso la presunzione di commistione dei patrimoni è difficile da superare.

I limiti di impignorabilità previsti dalla legge per stipendi e pensioni si applicano anche in caso di sequestro penale?
No. La sentenza conferma l’orientamento consolidato secondo cui i limiti alla pignorabilità stabiliti dall’art. 545 del codice di procedura civile non sono applicabili nel procedimento penale. Il giudice penale deve solo valutare la proporzionalità del sequestro per non compromettere le esigenze minime di vita, ma l’onere di dimostrare tale necessità ricade interamente sulla parte che si oppone al sequestro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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