Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1821 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1821 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Riposati NOMECOGNOME nata a Roma il 14/12/1971
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del Tribunale di Taranto visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Taranto, in funzione di Tribunale del riesame, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME quale terza interessata, avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto in data 22 maggio 2024, che, a sua volta, ne aveva rigettato l’istanza di dissequestro dei beni di sua proprietà, sottoposti a vincolo reale nel procedimento pendente nei confronti del padre NOME COGNOME e di altri soggetti, per i reati di cui agli artt. 81, 110, 483, 640 cod. pen. e 40, commi 1, lett. c), 4, e 49, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, la difesa eccepisce il vizio di motivazione, avendo i giudici della cautela escluso l’estraneità della ricorrente, ignorando gli elementi documentali prodotti dalla difesa. La ricostruzione della vicenda, e in particolare la valutazione dell’incidenza dei legami parentali tra la ricorrente e gli indagati, sarebbero fondati su una incongrua lettura del quadro investigativo.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge, poiché il Tribunale non avrebbe valutato la possibilità di garantire le esigenze cautelari reali mediante il solo sequestro dei beni di pertinenza degli indagati ovvero comunque del compendio aziendale che costoro gestivano in autonomia. Resterebbe, viceversa, del tutto eccezionale il sequestro di un bene in comproprietà con un terzo estraneo, quale la ricorrente, in tal modo assoggettata irritualmente a responsabilità per fatto altrui.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre, preliminarmente, rilevare come, in materia di cautela reale, l’art. 325 cod. proc. pen. consenta il ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge (nel cui ambito deve includersi anche la motivazione omessa o soltanto apparente). Non sono, dunque consentiti, i profili di censura diretti in concreto come nel caso di specie, per quanto attiene alle doglianze articolate nel primo motivo di ricorso – a contestare semplicemente la tenuta logica dell’apparato argomentativo (che dà conto, congruamente e confrontandosi con le valutazioni difensive, della non estraneità al reato dell’appellante, non avendo quest’ultima assolto all’onere probatorio in tema di mancata percezione di vantaggi e utilità dal reato, e di buona fede, quale impossibilità di conoscere, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l’utilizzo dell’immobile per fini illeciti).
Le stesse serrate critiche ai singoli passaggi della motivazione evidenziano, peraltro, la sua tangibile consistenza grafica e argomentativa, a cui si tenta soltanto di sostituire una ricostruzione dei fatti più favorevole alla posizione della ricorrente.
Il primo motivo non è, dunque, consentito nel giudizio di legittimità.
3. Quanto al secondo motivo, il Tribunale ha sottolineato come NOME COGNOME avesse mantenuto immutata la titolarità delle quote sociali di RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore e legale rappresentante il padre indagato; non era, pertanto, plausibile l’affermazione difensiva che la ricorrente non fosse stata messa nella condizione di non poter vigilare, neppure tenuto conto della cessione delle quote del genitore all’altro figlio NOME. Non a caso, la suddetta attività sociale aveva la medesima sede della RAGIONE_SOCIALE unipersonale, amministrata dall’odierna ricorrente. In ragioni di tali strettissimi legami familiari e commerciali non appariva sostenibile la dedotta impossibilità di vigilare con la dovuta diligenza sull’impiego sistematico dell’immobile adibito a deposito carburanti con annesso magazzino (di cui era proprietaria per il 40%) per la commissione dei delitti di falso documentale, truffa aggravata in danno dello Stato e frode in materia di accise ed Iva sugli oli minerali. Doveva, dunque, ritenersi del tutto legittima l’apposizione del vincolo a fini di futura confisca del suddetto immobile, per la quota di proprietà di NOME COGNOME.
La conclusione è conforme ai principi di diritto costantemente espressi sul punto da questa Corte. Alla condizione di “persona estranea al reato”, invero, ineriscono sia il requisito della buona fede che quello dell’affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza. Non può, invero, considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità (Sez. U, n. 9 del 28/04/1999, COGNOME, non massimata sul punto; Sez. 2, n. 35879 del 05/07/2023, Canosino, non mass.).
Sulla scorta delle riflessioni che precedono, scevre di vizi logico-giuridici e impermeabili allo scrutinio di legittimità, il Tribunale condivide, quindi, l valutazione di sussistenza del periculum in mora, avuto riguardo al rischio concreto e attuale che i beni in sequestro potessero essere dispersi, alienati o deteriorati, in considerazione della spregiudicatezza e della sistematicità delle azioni delittuose, come ricostruite sulla base del compendio investigativo.
Risulta corretta, dunque, anche la giustificazione della necessità di anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01, secondo cui tale onere argomentativo può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato).
4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr idente