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Sequestro a terzo: quando la società è dell’indagato?

La Corte di Cassazione ha confermato il sequestro delle quote di una società, formalmente intestate alla figlia di un indagato. Nel caso di un sequestro a terzo, è stato stabilito che non è sufficiente la titolarità formale per ottenere la restituzione dei beni, se emergono prove che la disponibilità effettiva sia dell’indagato. La Corte ha inoltre precisato che la motivazione sul ‘periculum in mora’ può essere implicita, specialmente quando la confisca è obbligatoria e il bene è intestato a un terzo, poiché il rischio di dispersione è considerato inerente alla situazione stessa.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro a Terzo: Quando la Società è solo uno Schermo? L’Analisi della Cassazione

Il tema dell’intestazione fittizia di beni è un classico del diritto penale patrimoniale. Ma cosa succede quando una società, formalmente di proprietà di un familiare, viene sottoposta a sequestro nell’ambito di un’indagine a carico di un’altra persona? Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta proprio un caso di sequestro a terzo, chiarendo i limiti del ricorso e i criteri per stabilire la reale disponibilità dei beni.

I Fatti del Caso: Sequestro di Quote Sociali

La vicenda ha origine da un’ordinanza di sequestro preventivo emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari a carico di un soggetto, indagato per gravi reati. Il sequestro, finalizzato alla confisca, riguardava una somma di oltre 175.000 euro e altri beni nella sua disponibilità, anche per interposta persona.

Durante l’esecuzione del provvedimento, le forze dell’ordine hanno sequestrato il conto corrente e il 100% delle quote di una S.r.l., interamente posseduta e legalmente rappresentata dalla figlia dell’indagato. Quest’ultima, ritenendosi un terzo estraneo ai fatti e proprietaria esclusiva della società, ha immediatamente proposto riesame avverso il provvedimento.

La Difesa della Terza Interessata

La difesa della ricorrente sosteneva che la società e tutti i suoi beni fossero nella sua piena ed esclusiva disponibilità, e non in quella del padre. L’obiettivo era dimostrare che l’intestazione non era fittizia, ma rifletteva la reale situazione proprietaria, chiedendo di conseguenza la restituzione di quanto sequestrato.

Il Tribunale del riesame, pur disponendo la restituzione del conto corrente, ha rigettato la richiesta per quanto riguarda le quote sociali, confermando di fatto che la società fosse riconducibile all’indagato.

Il Sequestro a Terzo e il Ricorso in Cassazione

Contro la decisione del Tribunale, la figlia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere la società riconducibile al padre e, inoltre, avrebbe omesso completamente di motivare sulla sussistenza del periculum in mora, ovvero il rischio concreto di dispersione dei beni.

La Corte di Cassazione ha però dichiarato il ricorso infondato, cogliendo l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di sequestro a terzo. In primo luogo, il ricorso in cassazione contro le ordinanze cautelari reali è ammesso solo per violazione di legge. Questo vizio comprende non solo l’applicazione errata di una norma, ma anche una motivazione talmente carente o illogica da risultare incomprensibile.

In secondo luogo, quando un terzo afferma di avere diritto alla restituzione di un bene, i motivi del ricorso devono concentrarsi esclusivamente sulla titolarità effettiva e sulla disponibilità del bene, al fine di dimostrare che l’intestazione è reale e non fittizia.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse fornito una motivazione adeguata e coerente sulla riconducibilità delle quote della società all’indagato. Questa conclusione si basava sugli accertamenti investigativi e sulle dichiarazioni di un testimone. Di fronte a una motivazione logicamente strutturata, la Cassazione non può entrare nel merito dei fatti e sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente. La critica della difesa è stata quindi considerata un tentativo inammissibile di riesaminare il merito della vicenda.

Particolarmente interessante è il passaggio sul periculum in mora. La Corte ha osservato che la motivazione su questo punto, sebbene non esplicita, era da considerarsi implicita e sufficiente. La ragione è duplice:
1. La confisca per il tipo di reato contestato è obbligatoria.
2. Quando un bene è intestato a un terzo (in questo caso, una persona giuridica distinta dall’indagato), il pericolo che venga sottratto alla giustizia è considerato in re ipsa, cioè connaturato alla situazione stessa, e non necessita di una specifica e dettagliata dimostrazione.

Inoltre, la questione del periculum in mora non era stata sollevata come specifico motivo di riesame, pertanto il Tribunale non era tenuto a fornire una risposta esplicita sul punto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma la difficoltà per un terzo di ottenere la restituzione di un bene in sede cautelare quando vi siano solidi indizi che ne colleghino la disponibilità effettiva all’indagato. La semplice titolarità formale non è uno scudo sufficiente. In secondo luogo, stabilisce un principio di economia processuale: nei casi di confisca obbligatoria e di intestazione a terzi, la motivazione sul pericolo di dispersione può essere considerata implicita, alleggerendo l’onere argomentativo del giudice. Per i terzi interessati, ciò significa che la battaglia legale deve concentrarsi quasi esclusivamente nel fornire prove inconfutabili della propria estraneità e della reale ed effettiva titolarità del bene sequestrato.

Un terzo può opporsi al sequestro di un bene a lui intestato se l’indagato è un’altra persona?
Sì, un terzo che vanta un diritto su un bene sequestrato può opporsi e chiederne la restituzione. Tuttavia, deve dimostrare non solo la titolarità formale (ad esempio, l’iscrizione nel registro delle imprese), ma anche la titolarità e la disponibilità effettiva e reale del bene, provando che l’intestazione non è fittizia e finalizzata a eludere la misura cautelare.

È sufficiente dimostrare la titolarità formale di una società per evitarne il sequestro?
No. Secondo la sentenza, la titolarità formale non è sufficiente se gli elementi investigativi indicano che la disponibilità e la gestione effettiva della società sono riconducibili all’indagato. Il giudice valuta la situazione sostanziale, non quella puramente formale.

Il giudice deve sempre spiegare perché esiste il rischio che i beni vengano dispersi (periculum in mora) quando dispone un sequestro?
Non sempre in modo esplicito. La Corte ha chiarito che, in casi come quello esaminato (dove la confisca è obbligatoria e il bene è intestato a un terzo), il rischio di dispersione si considera ‘in re ipsa’, cioè implicito nella situazione stessa. Pertanto, una motivazione dettagliata su questo specifico punto non è strettamente necessaria se non viene contestato specificamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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