Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33656 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33656 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Cetraro il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 4/2/2025 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non è stata avanzata richiesta di trattazione orale dell’udienza; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse della ricorrente,
12/09/2025.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, nella veste di terza non indagata, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Paola, con cui è stata respinta l’istanza di dissequestro di un immobile sito in Scalea INDIRIZZO, magazzino ritenuto nella piena disponibilità dell’indagato NOME COGNOME, genitore della ricorrente, indagato per i reati di usura aggravata ed estorsione e sottoposto a sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso COGNOME NOME, nella veste di terza interessata, deducendo quanto segue:
2.1. violazione di legge e assenza di motivazione in ordine all’art. 321 cod. proc. pen. circa la sussistenza del periculum in mora nel provvedimento genetico, in quanto né il Giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione del sequestro preventivo, né il Tribunale hanno esplicitato sia pure sinteticamente le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione in via cautelare dell’effetto ablativo, rispetto alla definizio del giudizio.
Il Tribunale non ha integrato l’ordinanza genetica sul periculum in mora, nonostante il principio affermato dalle Sezioni unite nella sentenza “Ellade”, secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora; il Collegio del riesame, anche in sede di giudizio di appello, avverso un provvedimento cautelare reale avrebbe dovuto in virtù dell’effetto devolutivo porre rimedio alla mancanza di motivazione sul punto nella ordinanza genetica; rileva la ricorrente che l’interesse del terzo può essere diretto non soltanto a contestare la validità degli elementi introdotti dall’accusa a sostegno della fittizietà dell’intestazione, ma può dirigersi anche verso la dimostrazione dell’assenza di altri presupposti legali della confisca, tra cui la esigenza di ragionevolezza temporale tra acquisto e commissione del fatto di reato che legittima l’ablazione.
2.2. Violazione di legge, in particolare dell’art. 321 cod. proc. pen. rispetto a reato di cui all’art. 644 cod. pen. e all’esclusiva disponibilità del bene da parte del ricorrente.
Secondo consolidata giurisprudenza, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere applicato ai beni che, pur non essendo intestati all’indagato, siano nella sua disponibilità, intesa come possesso ancorchè esercitato per il tramite di terzi. Il Tribunale, tuttavia, non spiega come l’imputato, conduttore di immobile, abbia esercitato poteri equivalenti a quelli del proprietario, mentre la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo beni formalmente appartenenti a terzi estranei al reato richiede la valutazione da parte del giudice del collegamento di questi beni con le attività delittuose dell’indagato, sulla base di elementi che appaiano indicativi della loro effettiva disponibilità da parte del predetto.
Lamenta la ricorrente che, nel caso in esame, è stato prodotto il contratto di locazione registrato e i bonifici di pagamento effettuati per i relativi canoni, ed è sta dimostrata la provenienza della provvista necessaria per l’acquisto, tramite il ricavato di una polizza regolarmente sottoscritta dalla compagnia assicurativa; il padre della ricorrente COGNOME è sempre stato conduttore del magazzino, ma il bene non è mai stato nella sua disponibilità.
2.3. Con memoria trasmessa il 12 settembre, il difensore della ricorrente propone motivi nuovi a sostegno del ricorso osservando che, secondo la giurisprudenza più recente, grava sull’accusa l’onere di provare l’esistenza della discordanza tra
intestazione formale e disponibilità effettiva del bene in capo all’indagato e richiama la sentenza n. 25521 della Sesta sezione di questa Corte del 10 luglio 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che il ricorso avverso le misure cautelari reali può avere ad oggetto soltanto violazioni di legge e non anche pretesi vizi della motivazione: nel caso in esame, non ricorrono i presupposti della violazione di legge, intesa come falsa applicazione dei criteri di cui all’art. 321 cod. proc. pen. in quanto il Collegio del riesam ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza e ha reso articolata e non apparente motivazione, confrontandosi con gli assunti difensivi.
Non può, pertanto, essere dedotto quale vizio di motivazione mancante o apparente la pretesa sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dal tenore complessivo delle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
1.2. Inoltre, secondo un orientamento assai diffuso nella giurisprudenza di legittimità, in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto a restituzione del bene oggetto di sequestro, può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del ben l’inesistenza di un proprio contributo al reato attribuito all’indagato, senza poter contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare (così, ex multis, Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, COGNOME, Rv. 276700-01; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268070-01; Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165 – 01, nella cui parte motiva la Corte ha altresì evidenziato che, se si ritenesse il terz legittimato a contestare i presupposti della misura, il ricorso dallo stesso azionato risulterebbe in ogni caso inammissibile per aspecificità dei motivi, atteso che il predetto, in quanto soggetto estraneo al reato, non sarebbe in grado di contestare il “fumus commissi delicti” o il “periculum in mora”).
Tale orientamento, cui il Collegio ritiene di dover aderire, ha ricevuto di recente l’avallo delle Sezioni unite con la recente sentenza “Putignano” (n. 30355 del 27/03/2025, Rv. 288300 – 01) che, pur essendo stata pronunziata nell’ambito delle misure di prevenzione, afferma un principio AVV_NOTAIO che può trovare logica applicazione al terzo interessato dal sequestro penale: risolvendo un contrasto giurisprudenziale che si era delineato sul punto, la sentenza ha ribadito che, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati, senza pote prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dal proposto. Trattasi di principio che conforta anche la giurisprudenza soprarichiamata in tema di sequestri penali per l’evidente analogia della ratio sottesa.
1.2. Nell’atto di appello cautelare l’AVV_NOTAIO lamentava che il provvedimento di rigetto dell’istanza di restituzione non avrebbe spiegato le ragioni per cui il bene immobile fosse stato ritenuto riconducibile a NOME COGNOME, essendo invece di proprietà della figlia NOME, e non avrebbe motivato in ordine al periculum in mora e cioè al rischio che il bene immobile venisse disperso modificato o deteriorato nelle more del giudizio.
Con il primo motivo di ricorso si invoca la carenza di motivazione in ordine al periculum in mora, reiterando la censura formulata con l’appello.
Il motivo non è consentito poiché il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità più recente secondo cui in caso di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, ma non è legittimat contestare i presupposti per l’applicazione della misura quali la condizione di pericolosità, la sproporzione tra il valore del bene e il reddito e la provenienza del bene stesso.
Va, poi, osservato che il motivo è generico poiché reitera la censura proposta con l’appello cautelare e non si confronta con la motivazione assunta dal Tribunale, che a pag. 2 dell’ordinanza impugnata, dopo avere rilevato il difetto di legittimazione del terzo interessato a proporre la censura in questione, ha comunque affermato che il provvedimento cautelare era corretto e completo in ordine alla motivazione sul periculum.
Quanto al secondo motivo va osservato che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’operatività della confisca di cui all’art bis cod. pen. nei confronti del terzo estraneo alla commissione di uno dei reati indicati da detta norma, grava sull’accusa l’onere di provare, in forza di elementi fattuali che palesino l’esistenza della discordanza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente, al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, non essendo sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore dei beni intestati e reddito dichiarato dal terzo, atteso che tale presunzione è prevista dall’art. 240-bis cod. pen. solo nei confronti dell’imputato (Sez. 2, n. 37880 del 15/06/2023, COGNOME, Rv. 285028 – 01).
Il giudice ha, a sua volta, l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenu interposizione fittizia, adducendo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, in relazione alla fase processuale in cui è disposto il sequestro, del superamento della
coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Sez. 5, n. 13084 del 06/03/2017, COGNOME, Rv. 269711 – 01).
Non va però trascurato che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella legge del 7 agosto 1992, n. 356, opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche in riferimento ai beni intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolari tali soggetti e l’attività lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle ulteriori circo del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell’intestazione (Sez. 6, n. 26638 del 30/05/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, COGNOME, Rv. 283177 – 01).
Nella fattispecie non si discute della prova dei presupposti della confisca bensì, trattandosi di misura cautelare disposta nella fase delle indagini, della sussistenza della gravità indiziaria in ordine all’intestazione fittizia dei beni nella disponib dell’indagato.
Il Tribunale ha correttamente evidenziato che l’indagato ha effettivamente la disponibilità materiale dell’immobile intestato alla figlia e da lei formalmente locato a padre; che NOME COGNOME lo aveva acquistato appena maggiorenne e in assenza di propri redditi autonomi; che il contratto di locazione registrato in favore dell’indagat da parte della figlia appena diciottenne, in assenza di prova della effettività de pagamenti dei relativi canoni, deve ritenersi funzionale a costruire uno schermo rispetto alla effettiva disponibilità e titolarità dell’immobile in capo all’indagato; che l’ass difensivo secondo cui l’acquisto sarebbe stato realizzato con la liquidazione di una polizza assicurativa stipulata dai nonni della minore è rimasto privo di riscontri concreti, in quanto dagli atti risulta che in favore della ricorrente sia stata liquidata una poli assicurativa, ma non emerge con quali risorse sia stata accantonata la provvista per la stipula della polizza, poi liquidata. Il Tribunale ne ha desunto logicamente che la somma depositata nella polizza escussa dall’appellante provenga invece da risorse illecite del padre, che attraverso la fittizia intestazione alla figlia ha schermato l’acquisto di immobile che utilizza.
La ricorrente sostiene che la documentazione prodotta dimostrerebbe che i bonifici di pagamento del canone erano stati effettivamente versati, ma il Tribunale offre sul punto una specifica motivazione osservando che nell’atto notarile vi è solo una generica indicazione che la provvista proviene dalle escussione di una polizza assicurativa e che il documento del 20 settembre 2024 prodotto dalla difesa si limita a individuare la COGNOME, nonna delle COGNOME, come cliente della compagnia assicurativa, mentre il riferimento alla polizza numero 377864 è indicato in un foglio separato. Osserva inoltre che anche la consulenza di parte si limita ad asserzioni non supportate documentalmente.
In conclusione, il Tribunale afferma che non vi è prova che la provvista derivi da una somma messa a disposizione dei nonni in favore della nipote che l’avrebbe destinata all’acquisto del magazzino, poi dato in locazione al padre, né vi sarebbe la prova dei bonifici regolarmente versati in pagamento dei canoni di locazione.
Entrambe queste asserzioni non vengono fatte oggetto di specifica contestazione da parte della difesa, che si limita a reiterare con argomentazioni del tutto apodittiche e generiche le questioni già agitate dinanzi al tribunale e del riesame e non consentite in questa sede.
Il richiamo operato nella memoria difensiva alla pronunzia della Sesta Sezione penale di questa Corte (n. 25521 del 06/05/2025, ric. COGNOME) non è conducente poiché quella sentenza si riferisce ad una decisione in tema di confisca disposta dal giudice dell’esecuzione e non di sequestro; comunque, i principi in essa ribaditi non si pongono in contrasto con le ragioni addotte dal Tribunale a sostegno della qualificata verosimiglianza dell’intestazione fittizia del bene sequestrato.
Per queste considerazioni il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda che si ritiene congruo liquidare nella misura di euro tremila in ragione del grado di colpa nella presentazione della impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma 25 settembre 2025
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Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente