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Sequestro a terzi e disponibilità del bene

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza di sequestro sui conti correnti di una società terza, estranea ai reati fiscali commessi dal suo socio di maggioranza. Per procedere al sequestro a terzi per equivalente, non basta la partecipazione societaria, ma occorre la prova rigorosa della concreta disponibilità dei beni da parte dell’indagato. La Corte ha ritenuto errato qualificare tali somme come profitto diretto del reato, poiché la società non aveva beneficiato dell’illecito.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro a Terzi: la Disponibilità del Bene va Provata

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta sui limiti del sequestro a terzi nell’ambito dei reati tributari. Il caso riguardava il sequestro di somme giacenti sui conti di una società, ritenute profitto di reati fiscali commessi dall’imprenditore che la controllava, ma per conto di un’altra azienda. La Suprema Corte ha annullato il provvedimento, chiarendo che non si può presumere la ‘disponibilità’ dei beni solo sulla base della struttura societaria, ma è necessaria una prova rigorosa.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da un’indagine per gravi reati fiscali a carico di un amministratore di fatto di una società petrolifera. Il GIP del Tribunale di Napoli aveva emesso un decreto di sequestro preventivo per un valore di oltre 52 milioni di euro, corrispondente al profitto dei reati contestati. Il sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente, veniva eseguito non solo sui beni dell’indagato, ma anche su beni di proprietà di un’altra società di servizi, terza ed estranea ai reati.

Nello specifico, venivano sequestrati automezzi e i saldi attivi dei conti correnti di questa seconda società. Il collegamento? L’indagato, tramite una holding, risultava essere il titolare del 100% delle quote della società di servizi. Quest’ultima, ritenendosi ingiustamente colpita, proponeva appello cautelare, ottenendo la restituzione dei soli beni strumentali (gli automezzi), ma non delle somme di denaro, che il Tribunale continuava a ritenere sequestrabili.

La questione giuridica: un difficile equilibrio nel sequestro a terzi

La società ricorreva quindi in Cassazione, sollevando due questioni fondamentali. In primo luogo, contestava l’illogicità della decisione del Tribunale, che aveva considerato le somme sui conti correnti come profitto diretto del reato. Questo era palesemente errato, poiché i reati fiscali erano stati commessi nell’interesse esclusivo della società petrolifera, non della società di servizi, la quale peraltro poteva dimostrare la provenienza lecita di quei fondi dalla propria attività imprenditoriale.

In secondo luogo, la ricorrente denunciava la violazione di legge: il sequestro diretto nei confronti di una persona giuridica è ammissibile solo per reati commessi dal suo legale rappresentante nel suo interesse. In questo caso, l’illecito era stato commesso dall’amministratore in una veste diversa e a vantaggio di un’altra entità. Il Tribunale aveva confuso il concetto di confisca diretta con quello di confisca per equivalente, applicando il primo a una situazione che poteva, al più, giustificare la seconda.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, smontando l’impianto logico-giuridico dell’ordinanza impugnata. I giudici hanno sottolineato un errore cruciale commesso dal Tribunale: pur avendo riconosciuto che la società di servizi era un soggetto giuridico autonomo e non un mero ‘schermo’ per le attività dell’indagato, aveva poi contraddittoriamente qualificato le somme sui suoi conti come ‘profitto diretto’ del reato.

La Suprema Corte ha chiarito che, essendo pacifico che i reati non erano stati commessi nell’interesse o a vantaggio della società di servizi, le somme sequestrate non potevano in alcun modo costituire il profitto diretto dell’illecito. L’unica via per giustificare il sequestro sarebbe stata quella della confisca ‘per equivalente’, che però richiede un presupposto fondamentale: la prova della ‘disponibilità’ concreta ed effettiva di quei beni da parte dell’indagato. Il Tribunale ha omesso completamente questa valutazione, basando la sua decisione su un presupposto errato. In sostanza, ha trasformato un sequestro per equivalente, che richiede una prova rigorosa, in un sequestro diretto illegittimo.

Conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione ha annullato l’ordinanza e ha rinviato il caso al Tribunale di Napoli per un nuovo esame. Il principio stabilito è di fondamentale importanza per la tutela delle società terze estranee ai reati. Per procedere al sequestro a terzi di beni per equivalente, non è sufficiente dimostrare un collegamento proprietario, anche totalitario, tra l’indagato e la società. È indispensabile che l’accusa fornisca la prova concreta che l’indagato abbia il potere di fatto, la reale e attuale ‘disponibilità’, di quei beni come se fossero suoi. Questa pronuncia rafforza la barriera protettiva dell’autonomia patrimoniale delle persone giuridiche, impedendo che esse rispondano automaticamente per illeciti commessi dai loro soci in contesti estranei all’attività sociale.

È possibile sequestrare i beni di una società per reati fiscali commessi dal suo socio nell’interesse di un’altra azienda?
No, non a titolo di profitto diretto del reato. I beni della società terza possono essere aggrediti solo tramite un sequestro per equivalente, ma a condizione che l’accusa dimostri in modo rigoroso e concreto che l’indagato abbia l’effettiva disponibilità di tali beni, come se fossero propri. La sola titolarità delle quote non è sufficiente.

Qual è la differenza tra confisca diretta e confisca per equivalente secondo questa sentenza?
La confisca diretta colpisce il profitto specifico generato dal reato (ad esempio, il denaro evaso) e può essere applicata alla società che ne ha beneficiato. La confisca per equivalente, invece, interviene quando il profitto diretto non è rintracciabile e colpisce beni di valore corrispondente nel patrimonio del reo o, come in questo caso, di un terzo, ma solo se si prova che tali beni sono nella sua concreta disponibilità.

Cosa si intende per ‘disponibilità’ di un bene intestato a una società terza?
Per ‘disponibilità’ non si intende la mera proprietà formale delle quote societarie. La sentenza chiarisce che si tratta di un potere di fatto, concreto ed effettivo, che consente all’indagato di disporre dei beni della società come se fossero suoi, al di là degli schermi societari. Questa disponibilità deve essere oggetto di una prova specifica e non può essere semplicemente presunta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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