Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 323 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 323 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 11/12/2024
R.G.N. 35988/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME nato a Andria il 05/07/1969 avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del Tribunale del Riesame di Bari udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Il procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME conclude chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e dei motivi nuovi, come da requisitoria già depositata.
E’ presente l’avv. NOME COGNOME del foro di Trani, in difesa di COGNOME NOME, il quale preliminarmente chiede di depositare motivi nuovi. Il procuratore generale nulla osserva. Il collegio non si oppone, e l’avv. COGNOME deposita quanto sopra.
L’avv. COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ai motivi aggiunti.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 25 luglio 2024 il Tribunale del riesame di Bari ha respinto l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari in data 26 giugno 2024, quale indagato per i reati di cui agli artt. 56-629 cod. pen., 56-630 cod. pen., 648 cod. pen., aggravati dall’uso del metodo mafioso.
L’ordinanza, riepilogati l’ iter delle indagini e gli elementi indiziari a carico dell’istante, per i singoli delitti a lui contestati, ha confermato la sussistenza dei gravi indizi della sua colpevolezza per
tutti gli episodi, la corretta qualificazione giuridica dei fatti, la sussistenza delle esigenze cautelari stante la presunzione relativa di pericolosità sociale, il concreto pericolo di recidiva, e l’adeguatezza e necessità della misura cautelare piø severa.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale contesta solo la sussistenza della gravità indiziaria in relazione al delitto di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione commesso l’11/11/2021 in danno di NOME COGNOME e la sua corretta qualificazione giuridica.
La condotta tenuta dal ricorrente e dai coindagati, come descritta nell’ordinanza genetica, non supera la soglia del tentativo di sequestro di persona a fini estorsivi, e può configurare, al massimo, il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 cod. pen., in quanto gli atti compiuti erano idonei solo a tentare di fermare la marcia del veicolo guidato dalla vittima, contro la quale non sono stati neppure messi in atto gesti di coercizione fisica. L’ordinanza viola l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., non avendo il Tribunale valutato l’inidoneità degli atti per dimostrare la sussistenza del tentativo di sequestro a scopo di estorsione, sia per la non univocità e concordanza degli indizi, sia per la loro incapacità di provare l’elemento psicologico degli autori. La condotta riferita, cioŁ il fermare l’auto guidata dalla vittima, poteva infatti essere diretta a commettere una rapina, un furto, un omicidio.
La motivazione dell’ordinanza Ł illogica perchØ trae la convinzione che gli atti fossero finalizzati ad un sequestro a scopo di estorsione dall’asserito fatto che nella zona si erano verificati, in quel periodo, vari delitti di tal genere in danno di altre persone, senza considerare che tali delitti non sono attribuiti al gruppo criminale facente capo al ricorrente, e non possono, quindi, riscontrare una sua presunta attitudine o volontà criminale. L’ipotesi alternativa avanzata dal ricorrente, di sussistenza del solo reato di cui all’art. 610 cod. pen., Ł stata respinta dal Tribunale richiamando i tentativi di estorsione che sarebbero stati da lui compiuti mediante lettere inviate alla medesima vittima, ma tali condotte non possono dimostrare la direzione all’estorsione anche degli atti compiuti in occasione del delitto in questione.
Il sillogismo utilizzato dal Tribunale, secondo cui, poichØ in quella zona le estorsioni venivano compiute mediante sequestri di persona e il sequestro richiede un previo pedinamento della vittima, perciò il pedinamento compiuto contro l’Attimonelli da criminali di quella zona aveva finalità estorsive, Ł manifestamente illogico sia perchØ, come detto, i sequestri compiuti in danno di altre vittime non sono attribuiti al ricorrente o al suo gruppo, sia perchØ le estorsioni possono essere commesse anche con altre modalità, e il pedinamento della vittima designata non Ł univocamente diretto al suo sequestro.
Pertanto, non sussistendo l’univocità degli atti necessaria per asserire la sussistenza del reato di cui agli artt. 56-630 cod. pen., la corretta qualificazione del fatto, come descritto dalla vittima, Ł quella di cui all’art. 610 cod. pen., non essendo certo che, in assenza di interruzioni, la condotta sarebbe evoluta in un tentativo di sequestro di persona o di estorsione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta a cui si Ł riportato nella discussione orale, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Nell’udienza di trattazione il difensore del ricorrente ha depositato motivi nuovi, con i quali ha ribadito la censura di illogicità e assenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, in ordine alla univocità e inequivocità dell’azione come diretta a commettere un sequestro di persona a scopo estorsivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
2. In materia di misure cautelari la gravità indiziaria, richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per la loro emissione, deve essere interpretata quale insieme di elementi che fornisce una elevata probabilità della sussistenza del reato ipotizzato dalla pubblica accusa e della responsabilità per esso dell’indagato. Questa Corte, ha, infatti, affermato che «In tema di misure cautelari personali, un indizio può definirsi “grave” qualora sia pertinente rispetto al fatto da provare, idoneo ad esprimere una elevata probabilità di derivazione del fatto noto da quello ignoto e dotato di un elevato grado di capacità dimostrativa del fatto da provare» (Sez. 6, n. 26115 del 11/06/2020, Rv. 279610).
Il ricorrente non nega la sussistenza dei numerosi indizi indicati nell’ordinanza impugnata, ma nega che essi siano dotati, pur nel loro insieme, della gravità necessaria per dimostrare, in modo univoco e concordante, la loro direzione a commettere il delitto di cui agli artt. 56-630 cod. pen., come contestato, piuttosto che altri delitti, di natura diversa.
Il ricorrente censura la omessa applicazione del criterio valutativo degli indizi stabilito dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.: sul punto deve ricordarsi che la giurisprudenza di legittimità non Ł univoca nel ritenere che anche ai fini dell’applicazione di una misura cautelare gli indizi debbano risultare, oltre che plurimi e gravi, anche precisi e concordanti, in quanto a fronte di pronunce secondo cui «Ai fini dell’applicabilità di misure cautelari personali, per valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in caso di presenza di “prove” indirette, Ł necessario utilizzare anche il canone posto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. là dove prevede che gli indizi devono essere plurimi, precisi e concordanti; ne consegue che, in assenza della pluralità e concordanza degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non può esercitarsi in quanto difetta della certezza del fatto da cui trarre il convincimento» (Sez. 5, n. 55410 del 26/11/2018, Rv. 274690), vi sono pronunce secondo cui «Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, Ł sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perchØ i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quali elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273, comma primo-bis, cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, Rv. 270172).
Indipendentemente dall’applicazione dell’uno o dell’altro principio, peraltro, deve ribadirsi che «I gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura cautelare personale, e la prova indiziaria, di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., operano su piani diversi, essendo sufficiente, nel primo caso, l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, indipendentemente dal tipo di prova acquisita, e occorrendo, invece, nel secondo caso, la prova critica, logica e indiretta del fatto, contrapposta alla prova diretta acquisibile con i mezzi previsti dal codice di rito» (Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, Rv. 284299). Il giudizio in merito alla sussistenza di indizi sufficienti per l’emissione di una misura cautelare, pertanto, non equivale mai alla valutazione della sussistenza della piattaforma probatoria necessaria per una condanna ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, essendo diretto a verificare non la piena colpevolezza dell’indagato, bensì la probabilità qualificata che tale colpevolezza venga accertata, all’esito del processo.
Quanto all’oggetto del ricorso in materia di applicazione di misure cautelari, deve ricordarsi che risale alla sentenza delle Sezioni Unite n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828
l’insegnamento secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (vedi anche, tra le molte, Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione). Occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare, dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213, tra le altre conformi).
Inoltre la Corte di cassazione, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965, ha chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Così ribaditi i principi che disciplinano il giudizio del giudice di legittimità sui ricorsi avverso le ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che il provvedimento impugnato non presenti i vizi di illogicità e carenza di motivazione dedotti dal ricorrente.
Il Tribunale del riesame ha valutato in modo approfondito, esaminando tutti gli indizi in modo unitario e non parcellizzato, la sussistenza del tentativo di un grave delitto commesso in danno dell’COGNOME in data 11/11/2021, e ha ritenuto corretta la sua qualificazione come un tentativo di sequestro di persona a scopo di estorsione, per la non plausibilità di una diversa qualificazione della condotta concretamente tenuta, sia alla luce delle sue oggettive modalità, sia alla luce dei fatti successivi.
Alle pagine 37 e 38 dell’ordinanza ha descritto il fatto materiale verificatosi la sera dell’11/11/2021 e lo ha, con motivazione logica e non contestata dal ricorrente, attribuito alle stesse persone che, in precedenza, avevano inviato alla medesima vittima una lettera estorsiva, che avevano sottoposto quest’ultima ad un accurato pedinamento, protrattosi per circa dieci giorni, e che successivamente gli hanno inviato altre lettere e messaggi con finalità estorsive, facendo esplicito riferimento all’episodio in questione e formulando ulteriori minacce in caso di rifiuto di provvedere ai pagamenti richiesti. Da questo complesso di elementi il Tribunale ha in primo luogo dedotto, con argomentazione priva di vizi logici e giuridici, che si sia trattato di una condotta diretta ad estorcere denaro alla vittima, avendo i criminali univocamente manifestato, sia prima sia dopo quell’episodio, tale finalità: l’ordinanza, in particolare, ha ritenuto che «l’azione di commando della sera dell’11 novembre 2021 deve ritenersi, quindi, tassello di un unico disegno criminale finalizzato al
conseguimento di un profitto ingiusto da parte degli agenti».
Altrettanto priva di vizi logici e giuridici Ł la valutazione secondo cui le concrete modalità dell’azione dimostrano che l’intenzione degli autori era univocamente diretta a commettere l’estorsione mediante il sequestro della vittima. L’ordinanza ha sottolineato, infatti, che la sera del fatto l’auto guidata dall’COGNOME, che già era stata seguita e controllata nei giorni precedenti, fu pedinata da piø persone, le quali davano indicazioni circa i suoi spostamenti ad un ‘commando’ composto da due veicoli su cui viaggiavano almeno quattro soggetti, muniti di armi. Questi ultimi due veicoli accerchiarono l’COGNOME, in particolare affiancando la sua auto, i loro occupanti gli intimarono di fermarsi, e compirono manovre che lo costrinsero, in effetti, a fermarsi; i passeggeri di uno dei due veicoli si accinsero a scendere, ma la vittima riuscì a sfuggire all’agguato e ad allontanarsi velocemente, così sottraendosi all’abbordaggio. La complessità di tale operazione, compiuta con un rilevante dispiegamento di uomini e di mezzi, e le sue concrete modalità, dirette dagli autori a porre la vittima in loro pieno potere, sono state logicamente valutate, dal Tribunale, come finalizzate univocamente a privare quest’ultima della libertà, per realizzare l’estorsione già in precedenza tentata mediante l’invio di minacce scritte.
4.1. Il Tribunale del riesame ha valutato i rilievi difensivi, ed ha motivatamente respinto le ipotesi di qualificabilità di quella condotta come un delitto di rapina o di mera violenza privata. L’inseguimento compiuto, infatti, «non nasceva in via estemporanea al fine, ad esempio, di limitarsi a bloccare l’autovettura dell’imprenditore … ma seguiva ben precise richieste estorsive ed una continuativa condotta di studio delle abitudini della vittima finalizzate ad un obiettivo ben piø sicuro e remunerativo».
Risulta, in effetti, logica la valutazione del Tribunale, secondo cui dal fatto che già in precedenza alla medesima vittima fossero state inviate richieste estorsive, e che tali richieste siano state inviate anche successivamente richiamando, con finalità minatorie, l’agguato dell’11/11/2021, si debba dedurre che anche quest’ultimo fosse diretto a realizzare un’estorsione, che, per le sue concrete modalità esecutive, sopra richiamate, doveva essere compiuta mediante la privazione di libertà della vittima. Il richiamo alla tipologia di reato frequentemente messa in atto in quel periodo, quella dei sequestri-lampo a scopo di estorsione in danno di facoltosi imprenditori, non ha la finalità di trarre da tali fatti degli indizi a carico dell’odierno ricorrente, ma solo quella di mostrare l’analogia della condotta a lui contestata, rimasta a livello di tentativo, con quella preparatoria di sequestri a scopo di estorsione consumati, al fine di ribadire, come affermato esplicitamente nell’ordinanza, la logicità di una interpretazione diretta a valutarla, «secondo il criterio giurisprudenziale della prognosi postuma», come diretta a commettere un reato della stessa natura.
Il Tribunale, perciò, ha ritenuto assolutamente infondata la tesi difensiva di una qualificabilità di quella condotta come violazione dell’art. 610 cod. pen., perchØ la sua valutazione all’interno della complessiva azione criminosa svolta in danno di quella vittima, caratterizzata dalla continuità di richieste estorsive fondate su minacce, alle quali Ł stato ricondotto, dagli stessi autori, anche l’agguato in questione, impone di ritenerla non un gesto isolato, ma un’azione diretta, anch’essa, a conseguire un profitto ingiusto mediante, in questo caso, la privazione della libertà della vittima.
Il ricorso non si confronta adeguatamente con questa motivazione, ma reitera la propria, diversa interpretazione della vicenda avvenuta l’11/11/2021 ribadendo la possibilità di una sua diversa qualificazione. Deve, pertanto, ribadirsi che esula dai poteri della Corte di cassazione la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il giudizio di legittimità limitato alla verifica dell’ iter argomentativo seguito dal giudice, accertando se nel provvedimento impugnato egli abbia abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, come detto, risulta logica, completa e non contraddittoria, mentre appare illogica l’ipotesi di qualificazione di quella condotta come una semplice azione di violenza privata, priva di ogni finalità di profitto ingiusto, o di altre azioni violente, come una rapina o un omicidio, che non necessitavano di una tale preparazione e approntamento di mezzi e che, inoltre, non sono state mai messe in atto, neppure a livello di mero tentativo, mentre i tentativi di estorsione, come detto, hanno sia preceduto sia seguito l’agguato compiuto l’11/11/2021, venendo inoltre esplicitamente ricollegati a tale vicenda dai loro stessi autori.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
PoichØ la presente decisione non comporta la rimessione in libertà del ricorrente, deve altresì disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 11/12/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME